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EDIPO - regia Lluìs Pasqual

Edipo Edipo Regia Lluìs Pasqual

di Sofocle
traduzione: Dario Del Corno
regia: Lluìs Pasqual
musiche: Antonio Di Pofi
costumi: Maurizio Millenotti
luci: Emidio Benezzi
con Massimo Popolizio, Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Enzo Turrin e Pippo Pattavina
Vicenza, Teatro Olimpico, dal 25 al 29 settembre 2008

www.Sipario.it, 9 ottobre 2008
Avvenire, 3 ottobre 2008
La Stampa, 1 ottobre 2008
Corriere della Sera, 28 settembre 2008
Vicenza Edipo visto da Pasqual

Si apre con “Edipo” di Lluis Pasqual il 61° Ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Olimpico: luci e ombre sul formidabile talento d’attore di Massimo Popolizio, contornato da una compagine di tutto rispetto

Il 61° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza è stato inaugurato con una libera riduzione e adattamento del regista spagnolo Lluis Pasqual, intitolata Edipo (da non confondere con l’opera originale Edipo Re di Sofocle, che è riportata sulla copertina del libretto di sala e sui manifesti, rischiando di produrre un’ingannevole comunicazione per coloro che per la prima volta incontrano Sofocle); si tratta di un montaggio tra due opere Edipo a Colono e Edipo Re (ben tradotte da Dario Del Corno), con alcuni inserimenti da Antigone, un brano sulla strage razzista di Sabra e Chatila e un testo di Genet.

Temi e forme di Edipo
Quali sono i meriti e i demeriti di questa operazione, che il Teatro Stabile del Veneto, sotto la guida di Luca De Fusco e il Teatro Stabile di Catania diretto da Giuseppe Di Pasquale, hanno voluto coprodurre con nostri buoni attori? In realtà, si tratta di una riproposizione in versione italiana di una regia che Pasqual aveva già realizzato in tempi recenti per il Teatro Antico di Merida, in Spagna.
Cominciamo dai contenuti. Attraverso la figura di Edipo, le parole di Sofocle e degli altri di cui abbiamo detto, Pasqual, che certamente è impegnato come uomo sul fronte della giustizia sociale, e per ciò merita tutta la nostra stima, ha voluto evidenziare, sottolineandoli, alcuni temi di grande attualità: l’intolleranza verso lo straniero, il diverso; l’ospitalità sacrificata a causa dell’egoismo possessivo di certi uomini; il rifiuto per il diseredato; lo strapotere del potente; la disgregazione del nucleo famigliare a causa dell’ambizione di potere…
Per meglio farci leggere la sua visione, Pasqual ha messo in atto alcune strategie: ha intrecciato con il tessuto drammaturgico tanti segni della comunicazione moderna, proiezioni di immagini televisive, suoni, rumori, effetti allegorici, tutti scaraventati sul frontale del Palladio e sulle prospettive lignee dello Scamozzi. Elementi di scrittura teatrale che potevano essere anche evitati, data la forza della parola sofoclea e dei suoi valori.
Ha chiesto al costumista Maurizio Millenotti di vestire i personaggi, oscillando tra l’Ottocento e il Novecento, facendo loro indossare, escluso Edipo, Giocasta, Antigone e Polinice, anche una maschera neutra antica, con criniera. E sia. Non è la prima volta che si ricorre ad abiti contemporanei per avvicinare sempre di più alla nostra sensibilità il significato di un’opera.
Infine, ha utilizzato il Teatro Olimpico con grande rispetto, corredandolo di sole quattro panchine color pietra bianca, defilate sul fondo e che entrano in gioco solo in alcune scene. Ha fatto agire gli attori sia sul palcoscenico, sia sulle gradinate, sia sui corridoi di comunicazione e scalette di congiungimento col palcoscenico. Questa scelta, valida sul piano della valorizzazione dello spazio, trattato da elemento drammaturgico, avrebbe avuto bisogno di una più attenta e incisiva recitazione, poiché le distanze fra i personaggi trasformano spesso la comunicazione in cantilena.

Gli attori
Popolizio, nelle vesti di Edipo, ha dimostrato una grande capacità progettuale dei moduli recitativi che rendessero tutti i passaggi emotivi del personaggio, i ragionamenti, le argomentazioni, le invettive. Avrebbe dovuto, a nostro avviso, controllare di più i movimenti espressivi della faccia (troppe smorfie), puntando sui movimenti interiori, e controllare meglio l’uso della voce che a volte raggiunge toni gutturali, strozzati, incoerenti con le emozioni del momento. Anche la gestualità merita di essere rivista: troppi movimenti di braccia, ripetuti al punto da farli diventare ovvi. Anche le voci degli altri attori non erano all’altezza delle loro capacità interpretative. E il regista aveva il compito di investire di più su questo aspetto della recitazione e delle qualità vocali, anziché farsi prendere da suggestioni visive e foniche.
La scena di apertura, l’arrivo di Edipo cieco, accompagnato dalla figlia Antigone, in Tebe, dove egli vuole andare a morire, essendo nativo di quella terra, ma osteggiato dal governo della città che lo considera uno straniero proveniente da Corinto, ci mostra un Popolizio troppo giovane, poco credibile rispetto al testo che lo vuole vecchio, e tuttavia la scelta non ha disturbato; anzi, ha dato forza al personaggio in vista dei flash-back che ci portano dentro la vicenda di Edipo Re e dei rapporti con Tiresia (ma perché gli si è data una voce amplificata su amplificatori diversi?), Giocasta (una intensa Anita Bartolucci in abito antico), il Pastore con tanto di vello realistico, di bastone, maschera e voce fortemente caratterizzata da Commedia dell’Arte. Ci ha fatto sorridere (negativamente) l’apparizione di Polinice (un esuberante Max Malatesta) in tenuta da militare, con tanto di pistola nel fodero avvinto ad una coscia: un segno troppo contrastante con la vera controversia tra Polinice e il fratello Eteocle, che si uccidono nello stesso momento infilzandosi con le proprie lame.
Le luci ci sono apparse piatte, debordanti e l’entrata degli “occhi di bue” fuorvianti, essendo ormai luci codificate per altri generi di spettacolo.
Da apprezzare, comunque la partecipazione degli attori che provavano nello stesso periodo un altro spettacolo: “Peccato che fosse una sgualdrina” di John Ford per la regia di Luca De Fusco, sempre parte del Ciclo.
Meritano tutti di essere menzionati. Di Popolizio si è detto: bravo, ma con alcuni richiami all’uso della voce e una segnalazione per la sua gestualità: troppo spesso quel braccio teso con dito puntato verso i suoi interlocutori e quella ricerca, un po’ incerta, di infilarsi spesso le mani in tasca; l’Antigone di Gaia Aprea è stata intensa sul volgere del finale; il Creonte di Pippo Pattavina, in doppio petto scuro e poi in giubbotto da vip, ha seguito diligentemente le indicazioni della regia; il Tiresia di Enzo Turrin l’avremmo voluto più intenso e senza quella voce amplificata; meritevoli gli altri attori, Alberto Fasoli, Max Malatesta, Piergiorgio Fasolo, Paolo Serra.Il pubblico è stato calorosamente plaudente. Lo spettacolo, replicato per poche sere, verrà riproposto a maggio a Catania per il Teatro Stabile della città.

Mario Mattia Giorgetti

Un multiforme Edipo esalta Vicenza

E' la tragedia più nota quella di Edipo. Viaggia da secoli il dolore e l'affanno di quest'uomo alla strenua ricerca di se stesso. Da quando, 2500 anni or sono, Sofocle prese a raccontarne con versi sublimi che sempre ci affascinano la sua terrificante vicenda. Quella vicenda inesorabile tutta riflessa sul magma della coscienza, sul subbuglio delle passioni errate. Edipo è ­l'uomo e il re infelice che si scopre non solo responsabile della morte del padre Laio, ma che viene travolto dall'altra notizia terrificante dell'aver sposato chi gli diede la vita. Macigni i due delitti che pesano sulla sua anima e che Edipo crede di poter levare solo procurandosi quella cecità che lo farà guardare meglio in se stesso e andandosene in esilio lontano dalla sua Tebe. ­E' anche Edipo la tragedia che nel 1585 inaugurò il primo teatro coperto al mondo. Lo splendido Olimpico di Vicenza, gemma del Palladio. Qui ritorna ora con un attore di razza qual è ­Massimo Popolizio e messo in scena da quel regista di talento che­ è il catalano Lluìs Pasqual. Il quale, in uno spettacolo serrato e stringato, a tratti molto emozionante, lega insieme (fatto nuovo e interessante) i due capolavori che ne rilevano la vicenda. Ovvero l'Edipo re e l'Edipo a Colono. E nel secondo dei capolavori fa rivivere il primo come un flash-back, in modo tale che le sue azioni terribili rivivano come un ricordo della giovinezza. L'Edipo di Pasqual non veste la tunica classica, ma indossa abiti moderni disegnati con somma perizia da quel costumista d'eccezione che­ è Maurizio Millenotti.
Vaga qui, il re, per i paesaggi desolati di una Grecia in guerra, cercando un rifugio e una terra più sicura. Vaga alzando la sua voce su uno sfondo di guerre imperiali, nazionalismi irrazionali che giustificano le azioni più violente. Tutto ciò senza che vada persa l'eredità poetica del grande tragico. Concentrato e ben padrone del personaggio, Massimo Popolizio dà qui una prova superba. Nel disegno netto di una solitudine e di uno smarrimento che arriva in pieno allo spettatore, il suo è un Edipo ben interiorizzato, razionale, responsabile. Furente e dolente che combatte, ma­ già vinto, contro il vigoroso Creonte di Enzo Turrin. Accanto al protagonista, il valido concorso di Gaia Aprea, Giocasta nitida e fremente, e di Enzo Turrin che dà bel rilievo a Creonte. E ancora Anita Bartolucci e Pippo Patavina, che personificano rispettivamente, con bella gravità d'accenti e ottima dizione. Lo spettacolo, sotto l'egida degli Stabili del Veneto e di Catania con la collaborazione del Teatro Olimpico, si avvale anche delle luci perfette di Emidio Benezzi e delle congeniali musiche di Antonio Pofi.

Domenico Rigotti

Pasqual, frullato di "Edipi"
Ma il pasticcio è ben recitato

Quello che più impressiona nella mostra vicentina su Andrea Palladio a 500 anni dalla nascita è il puntiglio con cui il maestro studiava i monumenti della classicità - ricavando planimetrie, copiando dettagli, calcolando proporzioni - per poi adattare alle esigenze del suo tempo quel repertorio di elementi fissi - colonna, capitello, timpano, arco, statua. Gli antichi operavano così, variazioni infinite all'interno di un linguaggio immutabile. Stesso discorso per gli affabulatori, che ripetevano con variazioni le stesse storie degli stessi mitici personaggi, ogni volta creando un'unità organica. Nella saga dei lambdàcidi, per esempio, ci sono le varie vicende di Edipo e dei suoi figli, tra cui insuperabile nel capolavoro di Sofocle quella con l'eroe che giunto all'apice della fortuna si scopre gravato da una colpa nefanda ed è quindi chiamato a una atroce espiazione.

Nel 1585 scegliere Edipo re per inaugurare il Teatro Olimpico, appunto progettato dal Palladio, fu quasi un atto dovuto, un omaggio all'apice della drammaturgia di ogni tempo. E sempre a un Edipo tocca sacrosantamente di inaugurare oggi la parte ludica delle celebrazioni suaccennate. Non proprio, però, alla gemma di Sofocle, perlomeno come ci è stata tramandata, né a una sua riscrittura moderna: bensì a un curioso ibrido perpetrato dal regista Lluìs Pasqual. Il quale ha infilato un Edipo re in versione ridotta dentro l'Edipo a Colono, aggiungendo poi qualcosina dell'Antigone. Così nel suo Edipo il re cieco, esule e mendicante, chiede asilo agli ateniesi, e per commuoverli rivive la sua disgrazia in flashback. Ottenuta l'ospitalità, va poi a morire in pace lontano da tutti, non senza che il figlio Polinice gli abbia annunciato la sua intenzione di assaltare militarmente Tebe dominata da suo fratello Eteocle. In capo a qualche minuto apprendiamo poi che Polinice, respinto, è morto; e in una coda la sorella di costui, Antigone, annuncia l'incrollabile intenzione di dargli sepoltura malgrado i divieti.

Non si capiscono bene le intenzioni di questo pasticcio, se non di comunicarci qualcosa sulle peripezie ulteriori di alcuni personaggi; meno male che Pasqual non si sofferma anche su Teseo signore di Atene. Compresso com'è - l'intera serata dura 100 minuti -, l'appassionante giallo di Edipo re perde suspense e annacqua il suo climax normalmente sconvolgente, mentre il resto non aggiunge molto. Per fortuna, l'esecuzione è encomiabile. Possiamo considerare superflue le proiezioni che in qualche momento sovrappongono alle decorazioni fintomarmoree giganteschi carabinieri e altri inquisitori minacciosi, o parà in tenuta d'assalto. Ma la maggior parte dello spettacolo si svolge sul sublime palcoscenico nudo, tramite attori incoraggiati a gesti della massima semplicità, e vestiti nel modo più spiccio (ossia, modernamente). Così per una volta, evviva, emergono le voci, e la tersa traduzione di Dario Del Corno va a segno. Massimo Popolizio è un protagonista di splendida solidità; accanto a lui vanno ricordati ancora Pippo Pattavina (Creonte), Anita Bartolucci (Giocasta) e Max Malatesta (Polinice). Non so quante attrici, infine, sarebbero riuscite a avvincere al pari di Gaia Aprea con una tirata stiracchiata come quella messa in bocca alla sua Antigone per concludere in qualche modo. Grandi applausi.

Masolino d'Amico

Se Edipo approda infine a Sabra e Chatila

Lluis Pasqual all' Olimpico di Vicenza con un ottimo Popolizio

Nell' Edipo di Lluìs Pasqual, regista e autore dell' adattamento dalla bella traduzione di Dario Del Corno, si intrecciano, con ampi tagli, Edipo Re ed Edipo a Colono le tragedie che Sofocle ha dedicato al mito del re di Tebe indotto dal fato a uccidere il padre e a sposare la madre. Un percorso drammaturgico che esalta alcuni dei significati delle tragedie, la violenza del potere, il rifiuto dello straniero, la consapevolezza che pur dovendo subire il destino l' uomo deve essere padrone di sé, perdendone inevitabilmente altri. Lo spettacolo in costumi un po' ovvii, tra l' oggi e l' epoca, e con una regia in sottotono, vive nella splendida scena dell' Olimpico inutilmente inondata, per «attualizzare», all' inizio e alla fine da brevi proiezioni, e si apre con l' arrivo del cieco Edipo e della figlia Antigone ad Atene. Il protagonista rivive poi in una sorta di flashback la sua vita come narrata nell' Edipo re. Lo spettacolo si conclude con Antigone che denuncia il conflitto mortale fra le ragioni della politica e quelle della pietà che le imporranno di seppellire il corpo del fratello Polinice in lotta fratricida con Eteocle per il potere su Tebe. Pasqual nel finale aggiunge, come se Sofocle fosse lo «ieri» e non il «sempre», un tocco di attualità, una battuta di Genet da Sabra e Chatila, per dirci come le guerre siano sempre terribili e fratricide. Ottimo Massimo Popolizio, un Edipo che attraversa, lungo il disvelarsi della sua verità, una molteplicità di toni e sentimenti, passaggi e sfumature sottolineati con una recitazione intelligente e mai ovvia. Brava anche Anita Bartolucci che sa restituire il crescendo da smarrimento a disperazione di Giocasta, moglie e madre. Gaia Aprea con bella intensità fa vivere un' Antigone forte e annientata dal dolore. Meno convincenti gli altri personaggi.

Magda Poli

Ultima modifica il Giovedì, 19 Settembre 2013 08:33

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