lunedì, 23 giugno, 2025
Sei qui: Home / E / EQUUS – regia Carlo Sciaccaluga

EQUUS – regia Carlo Sciaccaluga

“Equus”, regia Carlo Sciaccaluga. Foto Federico Pitto “Equus”, regia Carlo Sciaccaluga. Foto Federico Pitto

di Peter Shaffer
traduzione di Marco e Carlo Sciaccaluga
con: Luca Lazzareschi (MARTIN DYSART, psicanalista); Pietro Giannini (ALAN STRANG);
Paolo Cresta (FRANK STRANG, suo padre); Pia Lanciotti (DORA STRANG, sua madre);
Camilla Semino Favro (ESTER SALOMON, magistrato); Giulia Prevedello (JILL MASON/UN'INFERMIERA);
Michele De Paola (HARRY DALTON/UN GIOVANE CAVALIERE)
Regia Carlo Sciaccaluga
Scene e Costumi Anna Varaldo. Luci Aldo Mantovani
Produzione Teatro Nazionale di Genova. In accordo con la Concessionaria Antonia Brancati srl.
Al teatro Eleonora Duse di Genova in prima nazionale dal 25 marzo al 6 aprile 2025

www.Sipario.it, 27 marzo 2025

Dove si nasconde, dove si è rifugiato il Sacro in una modernità come l'attuale che quello stesso Sacro rifiuta, nega, allontana e cerca infine, fors'anche 'medicalmente', di scotomizzare ma che non può eliminare?

Equus, questa famosa drammaturgia di Peter Shaffer del 1973 ispirata a un vero fatto di cronaca, sembrano dirci che il Sacro si nasconde ormai o è stato costretto a rifugiarsi nel dolore interiore, nel disagio psichico anche fino alla Follia.

Alan Strang è un adolescente, già allora e sempre di più fino ad oggi lo stato anagrafico ed esistenziale in cui più che altrove appare manifestarsi quel dolore di vivere, quella disperazione del futuro che caratterizza la nostra modernità, è un adolescente riempito ed abbagliato da un desiderio primordiale e primigenio, che anche se continuiamo testardamente a chiarmarlo 'sessualità', etero o omo che sia, ha come suo vero nome quello, appunto, di Sacro, un Sacro la cui vitalità precede, nell'uomo e nella donna, la ragione dell'umano ma che continua ad alimentarla nel 'cuore del suo cuore'.

Un desiderio che assume nelle mitiche fattezze di Equus la metafora di una vitalità naturale che non sappiamo più comprendere ed elaborare, e che dunque ci guarda muto ma tanto profondamente, oltre gli schemi e le convenzioni sociali che siamo chiamati a 'servire' per essere alfine ammessi alla normalità, da costringerci ad accecare i suoi occhi, una, due, tre, sei volte.

Poiché non possiamo più illuderci di essere 'centauri' dentro una socialità spenta, addirittura virtuale, e rigidamente economica, di essere Umanità e Natura o Umanità nella Natura, di essere cioè padroni della nostra più intima e irriducibilmente umana natura, anche quando questa è socialmente incongrua, quella umana natura che può comporre felicemente la diade ragione e sentimento, conscio e inconscio divenuta insanabile forse proprio nel momento in cui ne abbiamo preso consapevolezza.

Martin Dysart è invece lo sguardo della normalità che ci sorveglia e che ci vuole 'curare' operando il tumore del desiderio per aprirci alla adultità che ci è richiesta, ma che di fronte a quello stesso desiderio cui credeva di aver ormai messo definitivamente le briglie si sente messo in discussione e perde ogni certezza tra ciò che è malattia e ciò che è salute, tra ciò che è guarigione e ciò che è semplice e imprigionante controllo.

Tra l'altro una messa in discussione, anche filosofica in Sartre e Foucault, che ha storicamente alimentato la revisione delle pratiche psichiatriche attraverso le quali, però, la basagliana apertura dei manicomi alla Società, ha rischiato e rischia talora di trasformare tutta quest'ultima in struttura di 'contenimento'.

La nuova messa in scena di Carlo Sciaccaluga, in prima nazionale per il Teatro Nazionale di Genova, riprendendo quella unica e mai riproposta da altri versione del padre Marco, ormai cinquant'anni fa, in un certo senso accentua la frattura, già drammaturgicamente intrinseca nella relazione tra i due personaggi principali, tra testo e scenario.

Tra un testo, che in quella temperie rinnovatrice nasce e si forma, ancora profondamente moderno, che quasi sussume nella grammatica stessa dei dialoghi la lingua della più avanzata e anche avveduta psichiatria, accendendo i riflettori sulla famiglia, prima cellula della società, e le sue dolorose distorsioni nelle due essenziali figure del padre e della madre di Alan, ed uno scenario la cui sintassi cerca le sue radici nel mito dell'antica tragedia quasi suggerendo in esso l'Edipo che uccidendo il padre uccide sé stesso e acceca il suo inconsapevole ma inaccettabile desiderio.

Nel primo non è difficile scorgere ad esempio gli accenti del R.D. Laing di La politica della Famiglia, oppure del David Cooper teorico dell'antipsichiatria e fondatore delle crisis houses, mentre il secondo nella sua costruzione evidentemente 'proiettiva' sembra volto a ricomporre l'enigma nel segno della interpretazione freudiana.

Dentro tutto questo si muovono con bravura e anche coraggio gli attori che danno tutti un'ottima prova in mimica e dizione, dal giovane ma già affermato Pietro Giannini (Alan) al tormentato Luca Lazzareschi (Martin), ai due genitori, Pia Lanciotti e Paolo Cresta, che più di tutti vivono la frattura tra ciò che accade e ciò che può essere capito, a Camilla Semino Favro (Ester Salomon), Giulia Prevedello (Jill Mason) e Michele de Paola (Harry Dalton e un giovane cavalliere).

Le suggestioni della regia trovano infine una adeguata 'rappresentazione' nella bella scenografia di Anna Varaldo (che cura anche i costumi), mutante pur restando sempre se stessa tra maneggio e manicomio, tra realtà e sogno, tra storia e mito, nelle dissocianti musiche elettroniche di Andrea e Leonardo Nicolini, nelle luci di Aldo Mantovani e nei raffinati e coerenti movimenti coreografici di Claudia Monti.

Una menzione specifica meritano le maschere, riproposte dalla prima messa in scena del 1975, realizzate da Lorenzo Rostagno e Valentina Viviano con la supervisione di Saverio Galano.

Uno spettacolo che saprà trovare nel tempo un sempre migliore amalgama, magari limando e rendendo più fluide alcune sue parti. La sala Eleonora Duse piena alla prima ha a lungo applaudito.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Giovedì, 27 Marzo 2025 09:44

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.