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EL BRAMIDO DE DUSSELDORF - regia Sergio Blanco

"El Bramido de Dusseldorf”, regia Sergio Blanco "El Bramido de Dusseldorf”, regia Sergio Blanco

testo e regia Sergio Blanco
video Miguel Grompone
scene, costumi e luci Laura Leifert, Sebastián Marrero
suoni Fernando Tato Castro
produzione e distribuzione Matilde López Espasandín
con Gustavo Saffores, Walter Rey e Soledad Frugone
produzione Marea Productora Cultural
Visto al Piccolo Teatro Grassi domenica 8 maggio 2022 nell’ambito del festival “Presente indicativo”.

www.Sipario.it, 12 maggio 2022

Una camera bianca, uno spazio spoglio, pochi elementi: un tavolino, due sedie – ospedale obitorio limbo camera d’isolamento; un luogo dove regna una luce cruda e disturbante. Che attraversa anche tutto il testo di Sergio Blanco. Luce che arriva per via di tenebra si potrebbe dire. Tenebra che lampeggia continuamente nel racconto del protagonista (nelle ombre che evoca). E’ lui – impersonato da Gustavo Saffores – che chiama di volta in volta i due altri attori (Walter Rey e Soledad Frugone) a prender figura attorno alla propria auto-confessione. Vera perché vera o vera perché falsa? I due livelli si incrociano continuamente. All’inizio dello spettacolo, il personaggio-drammaturgo dichiara: “nell’autobiografia è sempre presente un patto di verità, mentre nell’autofinzione c’è quello che chiamo un patto di menzogna”.
Il gioco di seduzione (perché di questo in fondo si tratta) si sposta dal livello di un personaggio terzo, come comunemente accade, al personaggio stesso del drammaturgo. Per intercessione di un narcisismo che può apparire ingombrante, ma che viene tuttavia “usato” come strumento di un’autoconoscenza che investe la complessità della vita, della Storia, dell’umanità, con il suo carico di violenza, e in definitiva riguarda ciascuno di noi. A partire dalla linea narrativa principale, quella del racconto della morte del padre. Tema di fondo che induce nello spettatore una continua identificazione con la vicenda del protagonista, per il resto abbastanza inverosimile e provocatoria. L’assassino seriale tra i più feroci del XX secolo, sulla figura del quale si inaugura una mostra di cui il drammaturgo ha curato i testi; il contratto da sceneggiatore che gli viene proposto da una casa di produzione di film porno; l’intenzione, frustrata, di convertirsi all’ebraismo sono i temi e le figure del racconto. Afflato religioso e fascino per il perverso cuciti insieme in una Düsseldorf nella quale il padre del protagonista-autore è venuto inconsapevolmente a morire. Tutto si innerva in un flusso mai pretestuoso che riesce ad armonizzare temi e figure apparentemente inconciliabili. L’incongruo di una maschera di cervo fatta indossare al padre finisce per accordarsi con il tema della morte: il cervo maschio infatti muore rotolandosi nei fiori per non far vedere a suoi che sta morendo, ed emette un particolarissimo bramito (da qui il titolo). Elegia e crudeltà, humor nero e assurdo, provocazione e delicatezza di sentimenti convivono in un impasto a tratti straziante, originalissimo.
E troviamo declinati temi cardine come: l’arte e il piacere sono indipendenti dalla morale? In fondo è un’arte profondamente etica questa di Blanco, anche se gli strumenti che usa sono quelli della provocazione e di una certa disposizione a indurre brevi e ripetuti shock nello spettatore. Che se da un lato svegliano l’attenzione (il gioco scenico è tutto sommato affidato alla sola schermaglia verbale), dall’altro allertano il senso di pericolo riguardo una sempre possibile caduta spirituale, personale e insieme collettiva. Può l’uomo più malvagio accorgersi dell’abisso in cui è caduto? L’assassino seriale – ci viene raccontato – alla fine chiese alla moglie di denunciarlo. La casa di produzione di film porno verrà chiusa perché complice di un traffico internazionale di organi ed esseri umani; verrà bloccata anche la mostra sul serial killer, e infine la conversione del drammaturgo all’ebraismo– pretestuosa? – gli sarà negata. Segno del risveglio di una moralità del cosmo? O di una giustizia più alta? Gioco di specchi, giostra di riflessi metateatrali che innesca ulteriori riflessi, nel quale si innesta continuamente come un gioco perverso la tentazione di fagocitare la vita con il teatro: o è necessità di indagare profondità altrimenti insondabili?

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Domenica, 15 Maggio 2022 10:37

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