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DONNE GELOSE (LE)- regia Giorgio Sangati

"Le donne gelose", regia Giorgio Sangati "Le donne gelose", regia Giorgio Sangati

di Carlo Goldoni
regia Giorgio Sangati
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace
trucco e acconciature Aldo Signoretti
personaggi ed interpreti

Lugrezia Sandra Toffolatti

Giulia Valentina Picello
Boldo Paolo Pierobon
Tonina Marta Richeldi
Todero Leonardo De Colle
Orsetta Sara Lazzaro
Chiaretta Elisa Fedrizzi
Baseggio Ruggero Franceschini
Arlecchin Fausto Cabra
Siora Fabia Federica Fabiani
Maschere/servitori del ridotto Alfonso De Vreese, Benedetto Patruno e Marco Risiglione
(allievi del Corso Visconti della Scuola di Teatro Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa)

Milano, Piccolo Teatro Studio Melato dal 22 ottobre al 22 novembre 2015

www.Sipario.it, 29 ottobre 2015

MILANO - Si è soliti accostare Goldoni all'immagine di una Venezia allegra, chiassosa, a suo modo pittoresca, comunque piena di gioia di vivere. Fa eccezione il testo Le donne gelose, un'amara commedia al femminile che fotografa una Venezia intristita, abitata da una società ormai alla deriva. La regia di Sangati mantiene l'atmosfera intima del testo originale, con le sue scene lente - che si trascinano come lamenti, attraversati da lampi di amara comicità, briosi intermezzi di alterchi femminili e chiassosi siparietti d'ingenua virilità maschile -, e allestisce uno spettacolo gradevole, che ha pienamente meritati gli applausi del pubblico.
Anima dello spettacolo, le donne del titolo, ovvero Giulia, Tonina e Chiaretta, rispettivamente avverse a Lugrezia - la vicina di casa, ormai vedova, sospettata di concupire i loro mariti -, e a Orsetta, nipote di Giulia e coetanea di Chiaretta, entrambe innamorate di Baseggio. Valentina Picello e Marta Richeldi danno vita alle due mature veneziane con l'acido garbo di chi ama il pettegolezzo, unica fonte di relativa evasione in una vita fatta di noiosa quotidianità. Elisa Fedrizzi è una Chiaretta destinata a seguire le orme della madrina e dell'amica, invidiosa dell'amore sbocciato fra Orsetta e Baseggio, sul quale getta l'ombra di possibili tradimenti. Una calunnia, certo, che però, insinua Goldoni, con il tempo potrebbe far nascere pettegolezzi su vasta scala. Da parte sua, Goldoni non ha mai avuta una vena di analisi sociale o morale, ma si limita a documentare con buona attenzione al particolare la società veneziana del suo tempo, e in quella metà del Settecento ne presagisce tutta la decadenza. Senza ergersi a giudice, ci racconta di uomini dediti al gioco d'azzardo, capaci di indebitarsi pur di continuare a giocare, ben consci però del loro ruolo di mariti e padri padroni, che non esitano a usare la violenza fisica sulle proprie consorti, non appena sentano minacciate le loro prerogative. Questo sono Boldo e Todero, (Paolo Pierobon e Leonardo De Colle), rispettivamente mariti di Giulia e Tonina, orefice l'uno e merciaio l'altro, due uomini come tanti, non particolarmente intelligenti, ma appagati di poter soddisfare i loro vizi. È alla vedova Lugrezia che si rivolgono, Boldo per dividere le spese di una giocata al lotto, e Todero per chiederle in prestito quaranta ducati con cui pagare un debito di gioco. Visti entrare nella casa della donna, subito nascono pettegolezzi e maldicenze da parte di Giulia e Tonina, non tanto per gelosia nei confronti dei mariti, quanto per invidia verso Lugrezia, che è libera di disporre della propria vita, di uscire a piacimento e divertirsi al carnevale. Sandra Toffolatti interpreta con bravura questa donna volitiva, mascolina, non comune per l'epoca, indurita dalle lotte quotidiane: non avendole il defunto marito lasciatole il necessario per vivere, è costretta ad arrangiarsi praticando l'usura su piccola scala, accettando beni in pegno, noleggiando costumi per il carnevale. Toffolatti è apprezzabile sul palco per la sua capacità di rappresentare il conflitto di una donna volitiva e fragile insieme, consapevole di essere additata e giudicata. Giudizi formulati sulla base di equivoci e sospetti. Lugrezia, in realtà, non va in cerca di nessuno, ma sono gli uomini (invero assai scialbi), che si rivolgono a lei, attratti dalla sua vedovile avvenenza, e da quel piglio che non trovano nelle remissive compagne. Se Todero e Boldo incarnano il veneziano del popolo, di altro rango è Baseggio, ricco giovanotto cui presta il volto Ruggero Franceschini. Anch'egli si rivolge a Lugrezia, per chiederle un aiuto nel combinare il suo matrimonio con Orsetta. La commedia intreccia quindi i traffici dei tre uomini, con gli appostamenti, i pettegolezzi, gli sfoghi, di Giulia, Tonina e Chiaretta. Amarezze, gelosie, frustrazioni, sogni, ingenuità e desideri, il tutto sullo sfondo di una Venezia oscura, crepuscolare, fredda e umida. Alla fine, il matrimonio si combina e gli equivoci si chiariscono, ma resta in ognuno un sentimento amaro, che traduce per concetti quella che è la nera scenografia. È come se si comprendesse con chiarezza, per la prima volta, come a Venezia si trascinino esistenze vuote, abitudinarie, quasi riti che si ripetono più per tradizione che per convinzione, come il carnevale. Che qui è spettrale, appena intravisto, con poche, sparute maschere (quasi pirandelliane), che si aggirano come fantasmi. Metafora di quello che si crede, e invece non è.
Di particolare fascino, appunto, la scenografia, costituita da uno sfondo di pannelli neri, che riproducono le facciate dei palazzi affacciati sulle calli, di volta in volta la casa di Giulia, di Lugrezia, di Tonina, il Ridotto. Gli interni si svolgono su un palco nero, completamente vuoto, ma la bellezza dei costumi settecenteschi di Gianluca Sbicca, e il fragrante dialetto veneziano mantenuto dal regista, lasciano immaginare ora il fastoso Ridotto, ora le stanze di un tipico palazzetto affacciato su una stretta calle. D'indubbio fascino il tetro Ridotto, che evoca una cella dei Piombi, e le tre maschere altrettanti membri del temibile Consiglio dei Dieci.
La misura della decadenza veneziana la dà l'ingenua Chiaretta: venuta in città con la speranza di un buon matrimonio aiutata dalla sua madrina, gelosa di Orsetta, si risolve a tornare in campagna, lasciandosi alle spalle quelle mendaci atmosfere di giochi, balli, piaceri e ricchezze, per un attimo intravisti e subito svaniti. Così come sta svanendo la grandezza di Venezia, non più sorretta da una società sana, mossa da valori in cui credere. Per questo suo fotografare una società in crisi, Le donne gelose conserva una stretta attualità, sia nella piaga della violenza domestica, alla quale si assisteva con la stessa indifferenza di oggi, sia per la piaga del gioco d'azzardo, largamente diffusa nell'Italia del Duemila. A riscattare la Venezia di allora, l'ingenuo, servizievole, commovente Arlecchino (un poetico Fausto Cabra), simbolo della voce degli umili, forse gli unici abbastanza sensibili per presagire la tragicità di certi cambiamenti imminenti.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Giovedì, 29 Ottobre 2015 15:29

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