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DORIS E IRENE PARLANO DA SOLE - regia Guido De Monticelli e Veronica Cruciani

"Doris e Irene parlano da sole" - regia Guido De Monticelli e Veronica Cruciani "Doris e Irene parlano da sole" - regia Guido De Monticelli e Veronica Cruciani

da Alan Bennett
Una donna di lettere
traduzione Davide Tortorella
con Maria Grazia Bodio
regia Guido De Monticelli
assistente alla scenografia Alessia Pintor

Un biscotto sotto il sofà
traduzione Adele D'Arcangelo e Francesca Passerini
con Lia Careddu
regia Veronica Cruciani
scene e video Luca Brinchi, Daniele Spanò
costumi Adriana Geraldo
luci Stefano Damasco, Loïc François Hamelin
assistente alla regia Rosalba Ziccheddu
Produzione: Teatro Stabile della Sardegna
Cagliari, al Minimax del Teatro Massimo dal 18 al 30 marzo 2015

www.Sipario.it, 24 febbraio 2015

È stato applaudito a Cagliari, al Minimax del Teatro Massimo, e poi, per il Circuito regionale Cedac, nei teatri di Iglesias, Oristano, Nuoro, Alghero e Tempio Pausania, lo spettacolo Doris e Irene parlano da sole, allestito dal Teatro di Sardegna, con la regia di Guido De Monticelli e Veronica Cruciani e l'interpretazione di Maria Grazia Bodio e Lia Careddu. Successo straordinario eppure puntualmente previsto per un allestimento che ha accostato due monologhi di uno dei più importanti e apprezzati drammaturghi contemporanei, l'inglese Alan Bennett, di cui sono giustamente noti anche da noi lavori come The history boys (superbo l'allestimento del Teatro dell'Elfo) ma anche Nudi e crudi, Talking heads, La pazzia di re Giorgio e altri, che sui palcoscenici o sul grande schermo hanno conquistato un successo internazionale. Doris e Irene parlano da sole riunisce Una donna di lettere e Un biscotto sotto il sofà, due dei celeberrimi monologhi per la televisione, trasmessi dalla BBC nel 1987 e affidati all'interpretazione di grandi attrici inglesi, in cui la graffiante ironia di Bennett cavalca situazioni in apparenza dimesse, da cui gli è facile poi giungere a rappresentare, e a farne calcando sul grottesco emblemi del nostro tempo, donne o uomini disarmati e disarmanti. In questi monologhi, un po' forma a sé, un po' commedia per voce sola o "versioni rudimentali di un racconto", che di fatto costituiscono la migliore introduzione possibile al mondo di Bennett, le leggi della logica si incagliano su un dettaglio incongruo, un pretesto, anche scenico, ridotto al minimo, ma capace di strappare il massimo di ilarità. O di pietosa partecipazione.
Nei due monologhi dello spettacolo Alan Bennett volge la sua attenzione alla solitudine, quella totale e irreversibile che è condizione di molti individui non più giovani, ormai lontani dalla vita attiva e anche dalla speranza di nuove possibilità di incontro; una solitudine che si trasforma in privilegiato punto d'osservazione della realtà, da cui si è esclusi, ma i cui aspetti, acutamente osservati e ingigantiti, finiscono per prevalere e divenire necessità esistenziale, incombente e alla fine alienante. È il caso di Miss Ruddock, la protagonista di Una donna di lettere, che, spiando il mondo dalla finestra ed interpretandolo a suo modo, lo riconquista, o almeno così le sembra, con una frenetica attività epistolare. Moderna Don Chisciotte, Miss Ruddock si erge a paladina di civiltà, di giustizia, e scrive lettere di protesta per tutto ciò che vede, per le storture e le difficoltà di un mondo a cui più non appartiene. Alla fine, affidata agli assistenti sociali e reclusa per le sue diffamazioni, ritrova nella nuova situazione la sua "famiglia", persone reali, con altre storie di solitudine e disadattamento, per le quali scrivere ancora lettere, e così ritagliarsi un proprio spazio di felicità.
Il monologo Una donna di lettere, regia di Guido De Monticelli, è presentato in scena in sette quadri tagliati come brevi sequenze cinematografiche, che rappresentano situazioni tratte dalla vita quotidiana, piuttosto che vere e proprie azioni. Sullo sfondo si aprono e si chiudono sette finestre, da cui l'anziana signora osserva il mondo che le scorre attorno, da cui predica, insorge, protesta. La follia è evidente, pur nella serrata logica delle lettere; una follia lucida e talvolta illuminante che è metafora del mondo o sua condanna.
A vestire i panni della esilarante grafomane è Maria Grazia Bodio, attrice che illumina la lunga ed intensa carriera con una straordinaria freschezza interpretativa. Riesce infatti la Bodio ad amare Miss Ruddock, e a farla amare dal pubblico, al di là forse delle intenzioni dell'autore, poco indulgente verso i suoi personaggi, che sentono come una colpa da scontare o da far scontare il fatto di essere quel che sono. Ma ad uno sguardo più attento non sfugge come il vero peccato sia, o sia stato, il non essere capiti, o amati, ed essere perciò vissuti ai margini. E poiché l'unica concessione di Bennett ai suoi personaggi è il dipingerli con affettuoso umorismo, con intelligenza, e con la premurosa attenzione che si riserva ad una persona cara, Maria Grazia Bodio si cala nel suo personaggio, posandosi leggera sulle parole e strappando più di un sorriso; per l'anziana grafomane, stravagante e velleitaria, ma mai sconfitta, nemmeno quando è costretta in carcere, la nuova condizione diventa un'occasione di grazia.
Cambia atmosfera e colore la seconda parte dello spettacolo, che mette in scena Un biscotto sotto il sofà: allo sfondo nero di Una donna di lettere, la regista Veronica Cruciani (con l'apporto per scene e video di Luca Brinchi e Daniele Spanò) contrappone una parete bianca, su cui scorrono immagini che sono scorci della casa, ricordi di un passato vero o sognato, proiezioni di paure, di inganni. Racconta il monologo di un'anziana donna che, alla minaccia incombente dell'ospizio, si sottrae decidendo di lasciarsi morire dentro la sua casa. Non c'è umorismo in questo tragico viaggio dentro la psiche umana: qui Bennett non trova salvezza, per la vedova settantacinquenne, per la quale il mondo reale, esterno, è diventato un pericolo, qualcosa che si stenta a riconoscere. Si alternano parole e silenzi nella pièce: parole ingannevoli, ma necessarie, per Irene che racconta e si racconta; silenzi che tentano di ripercorrere tragedie lontane, di mascherare le frustrazioni e di esorcizzare la disperata solitudine. Niente accade, niente può accadere alla anziana signora che si trascina verso la fine. Una fissità che è nel racconto, che diviene chiave di lettura nell'interpretazione di Lia Careddu, attrice ricca di esperienza e particolarmente incline al tragico, che al personaggio dolente e disperato di Irene misura gesti e parole, al dramma della vecchiaia e della solitudine sottrae l'enfasi della retorica.

Annalaura Pau

Ultima modifica il Mercoledì, 25 Febbraio 2015 09:47

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