di Frederick Knott
regia: Geppy Gleijeses
con Geppy Gleijeses, Stefano Santospago, Marianella Bargilli, Raffaele Pisu e con Massimo Cimaglia
Napoli, Teatro Delle Palme, dal 4 dicembre 2007
Prendere una commedia della suspence come "Delitto perfetto" di Fredrick Knott (tradotta dal critico teatrale Masolino D'Amico) e resa autentico capolavoro del giallo per il grande schermo, grazie al genio di Alfred Hitchcock, per trasferirla poi sui palcoscenici italiani, non dev'essere stata cosa semplice. Ma Geppy Gleijeses che va di continuo alla ricerca di nuovi generi - quasi a soddisfare una sua irrefrenabile sete di novità col volersi ogni volta mettere diversamente alla prova - ha affrontato quest'arduo impegno.
Cosicché nel suo particolare allestimento ha posto in evidenza le scansioni del thrilling teatrale riferendole però alle originali atmosfere del film girato nel 1954 che ebbe a protagonista Grace Kelly. Qui fa invece da protagonista Marianella Bargilli, che da più anni recita accanto a Gleijeses e che in un'intervista di qualche tempo fa ha dichiarato che spera d'essere adesso apprezzata per la sua bravura interpretativa, senza venir di continuo ricordata per la sua ormai lontana partecipazione ad un reality televisivo. Ma eccomi a dire dello spettacolo andato in scena al Quirino di Roma e che vede nei principali ruoli in efficace interpretazione Geppij Gleijeses e Stefano Santospago, e con loro recitano altri due collaudati attori quali Raffaele Pisu e Massimo Cimaglia. Geniale è la scena (un aristocratico interno molto accogliente, con vista sul giardino grazie ad una ariosa vetrata) progettata da Lorenzo Ghiglia che ha firmato pure i costumi, con un occhio particolare agli eleganti abiti della protagonista. Le luci sono di Luigi Ascione; le musiche di Matteo d'Amico mentre Stefania Bassino fa da aiuto all'attenta regia di Gleijess, il quale rispetta i tempi tecnici del giallo e non concede un attimo di pausa allo svolgersi del diabolico gioco al massacro, lasciando col fiato sospeso gli spettatori, che non vengono distratti da un intervallo da considerarsi quanto meno inopportuno. Commenta Gleijeses, in una nota introduttiva alla stampa: "Quello che mi ha affascinato in questo testo è stata la totale 'amoralità' non solo del protagonista ma anche di tutti gli altri personaggi. Una delle scene più interessanti è quella in cui, giocando al gatto col topo, Tony rivela al compagno di università Swann che lo ha seguito ininterrottamente per un anno, e Swann apprende che una persona che gli era pressocché ignota fino a dieci minuti prima è penetrata nella sua vita". Il vero pregio di questo lavoro teatrale è la curiosità che la trama riesce a suscitare nel pubblico, e ciò in qualche modo sminuisce l'importanza della rappresentazione, tanto che ci si chiede fino a che punto un genere così popolare come il thrilling possa giovare a valorizzare le capacità degli interpreti: il giallo non sembra che possa attirare ogni tipo di spettatore, e ciò lo dimostra anche lo spessore dell'autore, che è molto meno ricordato del regista del film corrispondente. Ma sfidare è proprio di chi vuole crescere e penetrare bene in ciò che desidera una platea in continua evoluzione. Così, come fa Gleijeses.
Renato Ribaud
Ecco un bell'esempio di come si possa trasferire sul palcoscenico un film celebre, e per giunta interpretato da altrettanto celebri attori: operazione che di solito produce risultati fallimentari. Parliamo del «Delitto perfetto» che lo Stabile di Calabria presenta al Delle Palme per la regia di Geppy Gleijeses. Tenendo del resto fede alle dichiarazioni in tal senso dello stesso Hitchcock, qui si tiene d'occhio il film senza dimenticare l'omonima commedia di Frederick Knott che lo ispirò: e cioè si rilegge la trama - il tentativo perdente, da parte dell'ex tennista Tony Wendice, di far assassinare la ricca moglie Margot, diventata amante dello scrittore di gialli Mark Halliday - sulla base del rapporto dialettico stabilito fra i linguaggi (gli «specifici», direbbero i filologi) propri, appunto, del cinema e del teatro. Sta in questo l'acutezza della regia. Basterebbe, al riguardo, considerare che le tre sezioni della scena di Lorenzo Ghiglia (l'intrico di scale sulla sinistra, la parete col caminetto al centro e la porta-finestra sulla destra) sono staccate l'una dall'altra e galleggiano nel nero vuoto circostante. Dunque, l'ambientazione, connotata dall'astrattezza, entra per ciò stesso in contrasto con la concretezza dei corpi degli attori: liberandosi da quell'opposizione «significanti» che vanno ben oltre il racconto in sé concluso. Ci troviamo di fronte allo scarto fra il simbolismo dell'immagine cinematografica e il realismo del soggetto teatralmente esposto. Ma - partendo dal fatto che nella circostanza si tratta, giusto, di un soggetto poliziesco, che ruota, per definizione, intorno a un corpo morto, quindi negato - Gleijeses realizza un'assai fondata inversione della differenza fra il cinema, che colpisce prima i sensi e poi il cervello, e il teatro, che colpisce prima il cervello e poi i sensi. Per riassumere con una battuta, in questo spettacolo i fantasmi di celluloide sono molto più vivi degli uomini di carne. Più semplicemente, l'intelligenza della regia di Gleijeses sta nella scelta di puntare, invece che sulle azioni dei personaggi, sui motivi che le determinano: di modo che il procedere degli avvenimenti si pone, invece che come un classico e tutto sommato poco interessante (anche perché lo conosciamo) plot, come un'autentica seduta psicanalitica, in quanto tale capace di fornire sempre nuovi stimoli. Mentre i salti di spazio e di tempo, altro elemento decisivo dello specifico filmico, trovano qui una reinvenzione non meno intrigante nella telefonata-alibi di Tony, fatta ai piedi del proscenio e dunque - torniamo al tema di cui sopra - sul confine fra la realtà (il luogo degli spettatori) e la finzione (il luogo del teatro). Si capisce, a questo punto, che molto si chiedeva agli interpreti. E molto essi danno: dallo stesso Gleijeses (Tony) a Marianella Bargilli (Margot), da Stefano Santospago (Mark) all'intramontabile Raffaele Pisu (l'ispettore Hubbard) e a Massimo Cimaglia (Swann). Ci consegnano uno spettacolo raffinato e godibile insieme.
Enrico Fiore