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Il festival teatrale di Lunaria nella cornice genovese di Piazza San Matteo prosegue con un altro dei capisaldi della letteratura contemporanea. Dopo l’originale rilettura di Cuore di cane di Bulgakov, è il turno de Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Mai abbastanza celebrato, il testo dell’autore bellunese trova in questa lettura uno dei più attenti e rigorosi esempi di teatro. I molteplici meriti vanno trovati in una spettacolare (è davvero il caso di dirlo) concatenazione di intuizioni dalla regia all'azione scenica. Senza voler citare ancora la bontà del testo di partenza, un grande plauso va al regista Lelio Lecis, capace di trattare il testo di Buzzati alternando fasi dinamiche ad altre che si fanno più riflessive, dando un ritmo serrato che accompagna il cambiamento gli stati d’animo del sottotenente e poi maggiore Giovanni Drogo dalla assegnazione alla Fortezza Bastiani fino alla morte, solitaria ma venata ancora di coraggio. Il protagonista in scena è il bravissimo Simeone Latini, che conferma nell'interpretazione di Giovanni Drogo la grande esperienza e la grande ispirazione. A partire da un romanzo che ha nella presenza di più personaggi una delle sue caratteristiche, la regia di Lecis porta in scena un unico attore al quale sono affidati tutti i personaggi. La scelta evidenzia la solitudine sottesa a tutte le azioni di Giovanni Drogo e il suo lento scivolare verso la paranoia e la disillusione. La scenografia, compatta ma ricca, presenta agli occhi del pubblico gli elementi che richiamano l’ambientazione dell’installazione militare così come del mondo interiore del protagonista del testo; un mondo fatto di rassicurante routine, di attesa e solitudine. Ogni elemento rappresenta un aspetto dell’esistenza e dell’illusione del protagonista, come il cavallo di legno, a dorso del quale Latini apre e chiude lo spettacolo. La recitazione dell’unico interprete, attore e regista apprezzato per la grande bravura sia in teatro che in televisione, conferisce alla convincente regia un surplus di forza ed emozione. Latini conferma una superba ispirazione. I personaggi de Il deserto dei Tartari, senza perdere il centro dell’attenzione su Giovanni Drogo, sono interpretati con battute ricche di inflessioni dialettali e con una mimica facciale variegata che l’attore veste e sveste con l’abilità di un trasformista. In questo modo è ancora meglio visibile e percorribile il tracciato psicologico dal giovane e zelante sottotenente al malato e disilluso maggiore. Le diverse scene, scandite da uno squillo di tromba, non mancano di far avvertire il peso del senso di solitudine e di abbandono di cui soffre. La figura intrepida dell’ufficiale Giovanni Drogo si trasforma in scena in una immagine stanca e spettrale e la carica finale a cavallo verso la morte è il momento di maggiore commozione e riflessione. Il pubblico riserva a Latini convinti ed incessanti applausi alla fine di questo affascinante spettacolo.

Gabriele Benelli