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DIONYSUS - IL DIO NATO DUE VOLTE - regia Daniele Salvo

"Dionysus - Il dio nato due volte", regia Daniele Salvo "Dionysus - Il dio nato due volte", regia Daniele Salvo

da Le Baccanti di Euripide

Regia di Daniele Salvo 

Agave Manuela Kustermann
Cadmo Paolo Bessegato
Tiresia Paolo Lorimer
Penteo Ivan Alovisio
Una guardia / Primo Messaggero Simone Ciampi
Secondo Messaggero Melania Giglio

Teatro greco di Taormina 24 settembre 2016

www.Sipario.it, 27 settembre 2016

Daniele Salvo è un giovane regista quarantino talentuoso di scuola ronconiana ( a volte pure attore) a suo agio con i più importanti tragici greci. Doti evidenziate già quattro volte a Siracusa per conto dell'Istituto del Dramma Antico, realizzando Edipo a Colono ( 2009), Aiace (2010), Edipo re (2013) tutte e tre di Sofocle e Coefore Eumenidi di Eschilo (2014). Mancava solo Euripide, ritrovato quest'anno con uno dei suoi lavori più misteriosi, appunto Le baccanti, qui titolato semplicemente Dionysus per il quale lo stesso Salvo ha curato l'adattamento vestendo lui stesso il ruolo del Dio nato due volte: una prima volta da Demetra e una seconda volta da Semele, complice sempre Zeus che incenerì quest'ultima dopo aver esaudito la richiesta della donna di mostrarsi come un semplice mortale. In questa applaudita messinscena di Salvo al Teatro greco di Taormina, lo scheletro annerito della madre giace sul proscenio mentre al centro del grande palco (la scena minimale è di Michele Ciacciofera) è situata una compatta montagnetta di sale o di sabbia, simile a volte ad un bianco lettone come era dato da vedere in alcuni spettacoli di Carmelo Bene o di Aldo Trionfo, qui occupato spesso dalle otto infoiate e scosciate Baccanti di bianco vestite (costumi di Daniele Gelsi) con il loro tirso in mano ( un bastone infiocchettato di nastrini colorati), bravissime e meritevoli d'essere tutte citate: Elena Aimone Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Elena Polic Greco, Francesca Maria, Silvia Pietta, Alessandra Salamida, Melania Giglio, quest'ultima pure negli abiti neri del secondo messaggero. Questa tragedia di Euripide dai risvolti spesso misterici e irrazionali, è incentrata sulla spietata vendetta di Dioniso che Daniele Salvo veste come un wagneriano olandese volante per via del suo ampio pastrano, sfoderando varie tonalità vocali, punendo i nemici del suo culto, raffigurati dalle zie (Ino Agave e Autonoe) sorelle di sua madre Semele e dal suo cugino Penteo re di Tebe. Parenti che un po' per invidia un po' per superficialità, hanno diffuso la voce che Dioniso non è nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele e un uomo mortale e che la storia del rapporto con il re dell'Olimpo è solo uno escamotage per mascherare la loro scappatella giusto per negare la natura divina del dio del vino, del teatro, del piacere fisico. Utilizzando le sue arti magiche Dioniso renderà folli le donne tebane che fuggiranno sul monte Citerone dove si celebreranno riti in suo onore, diventando Baccanti, ossia donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso. Ma a non credere sulle qualità divine di Dioniso c'è ancora il Penteo tutto dark e oltremodo arrabbiato quello di Ivan Alovisio che lo considera un semplice mortale e un adescatore di donne e a poco serviranno i saggi interventi del nonno Cadmo ( Paolo Bessegato) e di Tiresia, qui con seni posticci quello di Paolo Lorimer (uno status il suo che mitologicamente durerà sette anni per una vecchia storia di uccisione di serpenti) a persuadere l'irascibile Penteo che Dioniso ha la patente di vero dio. Il racconto prosegue con Penteo che arresta Dioniso, ma è solo come incarcerare il vento visto che il dio, giocando come il gatto col topo, si libererà in un niente e metterà in atto la sua vendetta. Come? Farà travestire Penteo da donna, lo condurrà sul monte Citerone per fargli vedere cosa fanno le Baccanti e poi zac...zac gli aizzerà contro quelle sensualissime e voraci femmine che di Penteo faranno dei piccoli brandelli. E il caso vuole che la prima ad infierire su Penteo sia proprio sua madre Agave, vestita qui da Manuela Kustermann, un cameo il suo, una carismatica apparizione da far ripiombare chi scrive a quel suo felice sodalizio affettivo e teatrale con Giancarlo Nanni nelle cantine romane degli anni '70. Quei fatti sono narrati a Cadmo da un messaggero (Simone Ciampi) tornato a Tebe dopo aver assistito a quella tarantiniana scena sanguinolenta. Adesso su quel montarozzo la svanita e delirante Agave appare con il tirso in mano e la testa del figlio attaccata in cima, credendo, nel suo delirio di baccante, d'avere ucciso un leone e d'avere tra le mani la sua testa sanguinante e non quella del figlio. Cadmo intanto, sconvolto da questo truculento spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire la figlia Agave, che infine si accorge con orrore di ciò che ha fatto. In chiusura riappare Dioniso in tutto il suo splendore, spiega d'avere architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, condanna Cadmo e Agave all'esilio e riabbraccerà lo scheletro della madre Semele. Una messinscena sanguigna questa di Salvo in cui le Baccanti hanno finalmente il ruolo che le compete, lontana da quella sofisticata di Familiari con brani di Ezra Pound e un mix di versi di Rilke e Benn o da quella solipsistica di Ronconi con la monologante Marisa Fabbri, una sorta di discesa agli inferi la sua in quel progetto di Laboratorio Teatrale di Prato nel 1977 e distante pure dall'edizione di Calenda del 2012 a Siracusa dove il ruolo delle Baccanti era giocato dalla Martha Graham Dance Company, pure con funzioni di coro.-

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 27 Settembre 2016 12:16

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