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CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? - regia Arturo Cirillo

"Chi ha paura di Virginia Woolf?", regia Arturo Cirillo "Chi ha paura di Virginia Woolf?", regia Arturo Cirillo

di Edward Albee
traduzione di Ettore Capriolo
regia di Arturo Cirillo
con Milva Marigliano, Arturo Cirillo, Valentina Picello, Edoardo Ribatto
scene di Dario Gessati
costumi di Gianluca Falaschi
luci di Mario Loprevite
regista collaboratore Roberto Capasso, assistente alla regia Giorgio Castagna
assistente scenografo Lucia Rho, assistente costumista Cristiana Di Giampietro
produzione di Tieffe Teatro Milano
visto 9 febbraio 2016, al Ponchielli di Cremona

www.Sipario.it, 12 febbraio 2016

Si fa fatica a respirare e ad applaudire alla fine di Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee. La notte del gioco al massacro fra fiumi di alcool e recriminazioni ha come protagonisti Martha, figlia del preside di facoltà (Milvia Marigliano) e George (Arturo Cirillo), grigio professore di storia, con vittima sacrificale la coppia formata da Nick (Edoardo Ribatto), giovane e rampante docente di biologia, e la moglie Horbey (Valentina Picello). Ciò che va in scena è una guerra, un rinfacciarsi speranze infrante, genitorialità mancate, frustrazioni sopite che coinvolgono entrambe le coppie. La regia di Arturo Cirillo tende fino allo spasimo, rende fastidioso, a tratti insopportabile quel gioco in cui Martha non esita a definire 'fogna' il suo Giorgino, in cui Nick non fatica a confessare di aver sposato Horbey per i soldi del padre, in cui si scopre che Martha e George vivono la frustrazione di un figlio mai avuto e solo immaginato. In una scena che si perde nel buio del palcoscenico, in un interno borghese che è al tempo stesso ring l'azione procede per accumulo di tensione e di intensità. I fatti — presunti o solo immaginati — vengono raccontati senza pietà alcuna in un continuo duello di seduzione e crudeltà che inizialmente sembra interessare solo George e Martha e poi risucchia Nick e Horbey. Tutto è essenziale e sa essere incredibilmente vero, non c'è un tono fuori posto nella regia attenta e tesa messa in atto da Cirillo che ha asciugato il testo, lo ha reso tagliente, assoluto come quando profeticamente George dice: «l'occidente affetto da una moralità troppo rigida finirà col crollare». Ad andare in scena non è solo la crisi di due coppie, ma sono le convenzioni, i sogni infranti, la sterilità di un mondo intero, del mondo americano e dell'occidente più in generale. La messinscena di Cirillo fa in modo che il racconti di Edward Albee si lasci alle spalle le connotazioni temporali e di contesto americano per offrirsi come scacchiera assoluta e inquietante delle relazioni, della vita di coppia, delle dinamiche del desiderio e delle aspettative mancate o frustrate. Milvia Marigliano è potente, tremenda, crudele eppure in fondo fragile, Arturo Cirillo sa essere vittima della moglie ma alla fin fine si rivela essere regista occulto di un rito che porterà i due coniugi anziani a trovare una nuova unione nel dolore, mentre Edoardo Ribatto ha la fisicità vitaminica dell'arrivista spregiudicato e Valentina Picello la nevrosi sofferta di una ragazza che ha sposato il compagno di giochi. Ma ciò che forte rimane nello spettatore è un salutare, potente senso di fastidio di fronte a quel gioco al massacro di uomini e donne che non lascia respirare, inquieta perché viene a scavare nel più profondo dell'anima di ognuno e ruba dalla vita vera. Ciò che Cirillo e i suoi attori fanno è essere veri in scena, è usare con sapienza e convinzione i linguaggio del teatro come grimaldello per far uscire le verità più profonde e inconfessabili dell'animo umano. E alla fine non resta che applaudire per scuotersi dall'angoscia e ringraziare gli attori di una serata di teatro vero e d'arte come raramente capita di vedere.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Venerdì, 12 Febbraio 2016 20:12

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