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CERTO SIGNOR G. (UN) - regia Giorgio Gallione

Un certo signor G. Un certo signor G. Regia Giorgio Gallione

Dall'opera di Giorgio Gaber e Sandro Leporini
con Neri Marcorè
regia: Giorgio Gallione
al pianoforte Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger, elaborazione musicale: Paolo Silvestri
scene e costumi: Guido Fiorato, luci: Aldo Mantovani
Teatro dell'Archivolto. Genova. Teatro Modena
Milano, Teatro Strehler, dal 16 al 21 dicembre 2008
Milano, Teatro Strehler, dal 23 marzo al 2 aprile 2010

Corriere della Sera, 25 marzo 2010
Corriere della Sera, 20 dicembre 2008
La Stampa, 27 gennaio 2008
www.Sipario.it, 13 gennaio 2008
Bravo Marcoré a far rivivere il grande Gaber

Ma chi è il signor G del 2008 alias Giorgio Gaber? È come quello degli anni Settanta quando nacque? Purtroppo sembra persino peggiorato nella sua enfasi di distruzione e autodistruzione, di disapprovazione di tutto e tutti per nulla proporre e molto lamentarsi, per il suo avere tutti i difetti di un «italiano tipico» al punto da vergognarsi di esserlo, per poi ritrovare un moto d' orgoglio pensando all' «invenzione» del Rinascimento. E così che ci appare nuovamente nello spettacolo «Un certo signor G», canzoni e monologhi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, protagonista Neri Marcorè bravissimo nel fare vivere il suo personaggio dandogli la brillantezza di un' intelligenza recitativa e ideativa immersa in un surreale non scontato. L' attore, accompagnato da due brave e spiritose pianiste Silvia Cucchi e Vicky Schaetzinger, non cerca assolutamente una facile imitazione di Gaber, ma riesce a reinventare quella che è stata definita «la gioiosa gaberiana malinconia», rifuggendo dai toni predicatori che spesso l' affliggevano. La raffinata regia di Giorgio Gallione ambienta il monologo sotto un «cielo» mutevole, in un spazio nero e sghembo, con finestre e porte chiuse da fogli di quotidiani da lacerare per entrare in scena o per lasciar comparire un topone, inquietante, minaccioso spettatore del finale.

Magda Poli

Marcorè bravissimo «Signor G»

Neri Marcorè è bravissimo nel fare vivere il protagonista dello spettacolo «Un certo signor G», nato da canzoni e monologhi di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, dandogli la brillantezza di un' intelligenza recitativa e ideativa immersa in un surreale tutt' altro che scontato. La regia, raffinata, è di Giorgio Gallione che ambienta il monologo sotto un «cielo» che muta colore in uno spazio nero e sghembo, le cui finestre e porte sono chiuse da fogli di giornale da lacerare per entrare in scena o per lasciar comparire un' enorme topo, inquietante, minaccioso spettatore del finale dello spettacolo. Due brave e spiritose pianiste Silvia Cucchi e Vicky Schaetzinger, accompagnano Marcorè nel viaggio. Ma chi è il signor G del 2008? È come quello degli anni Settanta quando nacque? Purtroppo sembra persino peggiorato nella sua enfasi di distruzione e disapprovazione di tutto e tutti per nulla proporre e molto lamentarsi, per il suo avere tutti i difetti di un «italiano tipico» al punto da vergognarsi di esserlo, per poi ritrovare un moto d' orgoglio pensando che il Rinascimento è stata una nostra geniale «invenzione». Marcorè non cerca una facile imitazione di Gaber, ma riesce a reinventare, rifuggendo toni predicatori, «la gioiosa gaberiana malinconia».

Magda Poli

Omaggio a Gaber
malinconico con brio

Che Giorgio Gaber sia oggi un culto è comprensibile ma forse non così facilmente spiegabile. È comprensibile per chi ricorda dal vivo la sua grazia e la sua energia di performer, la sua eleganza e il suo umorismo, la sua contagiosa vena, se mi si passa l'ossimoro, di allegra malinconia. È meno spiegabile per chi, impallidendo il ricordo della persona, si basi oggi sul messaggio dei testi lasciati da lui e dal complice della vita, Sandro Luporini: perché questo è un messaggio sardonico, inquietante, tutt'altro che gradevole. Non per nulla Giovanni Raboni accusò l'ultimo Gaber addirittura di qualunquismo, le sue canzoni sembravano disapprovare o voler mettere in ridicolo tutto e tutti, destra e sinistra, uomo e donna (beh, veramente, soprattutto l'uomo), lavoro e tempo libero, senza un suggerimento positivo tranne il famoso slogan «libertà è partecipazione», ambiguo, a ben vedere, anch'esso.

D'altro canto, un sostenitore di Gaber troverà ammirevole se non addirittura eroico proprio questo rifiuto di schierarsi in un Paese dove si nasce faziosi e dopo non si cambia più atteggiamento ma, al massimo, gabbana. In ogni caso, il qualunquismo di Gaber, se tale vogliamo definirlo, non fu mai becero, e nemmeno facile. Il vero qualunquista lancia sberleffi, non fa dell'ironia più o meno sottile; e non stimola a ragionare.

Rifacendosi per la maggior parte al primo Gaber, quello degli ormai lontani anni Settanta, lo spettacolo Un certo signor G diretto da Giorgio Gallione affida al monoagonista Neri Marcoré canzoni e monologhi nell'ambiente piacevolmente surreale di una stanza sghemba con porte e finestre geometriche schermate da tende di giornali che verranno stracciati e ammonticchiati in terra. Ci sono poi qualche tavolo e qualche sedia metallica, e due pianoforti suonati in sintonia da altrettante spiritose musiciste con chiome elettriche (scenografia di Guido Fiorato, luci di Aldo Mantovani).

L'interprete si prodiga per un'ora e mezza, parlando e cantando con piacevole voce baritonale, talvolta accompagnandosi con la chitarra e muovendosi assai, non di rado salendo in piedi su tavoli e sedie sovrapposti. Il vero Gaber, come si ricorderà, si spostava pochissimo, era un concentrato di energia con qualche sporadica deflagrazione, ma Marcoré non vuole imitarlo se non nella sorridente leggerezza con cui ne riferisce le constatazioni funeste anche per gli episodi più quotidiani, come la gita in camporella del solito signor G incapace di trovare un posticino non funestato da un cattivo odore di cui naturalmente non sospetta di essere egli stesso l'origine. Il signor G è un italiano tipico con tutti gli innumerevoli difetti dei suoi connazionali, tanto tipico che, quando ci pensa, non si sente italiano, ovvero si vergogna di esserlo; il suo scoramento nasce negli anni bui della nostra Repubblica, ma i tempi nostri non sembrano davvero in grado di smentirlo.

Neanche i suoi aforismi sono sempre troppo freschi: l'uomo vuole essere il primo amore della sua donna, la donna vuole essere l'ultimo amore del suo uomo, quante volte lo abbiamo già sentito? Tuttavia se le parole sono giuste, dice il saggio, sopporteranno la ripetizione; e il tour de force del garbatissimo, ammiccante intrattenitore, indefesso nell'eseguire le piccole gag organizzategli dal regista nello spirito dell'ormai classico humour surrealcabarettistico meneghino, coinvolge il pubblico della Capitale fino a ottenerne, alla fine, un'ovazione.

Arriva in scena il mondo di Gaber con le sue indimenticabili canzoni, i monologhi ironici e dolci, il suo fare teatro ponendo interrogativi sul senso della vita e dell'amore, con un beffardo sguardo alla nostra società. A cucire insieme lo spettacolo provvede Neri Marcorè che risolve l'ardua impresa con la sua nota versatilità, impegnandosi come attore, cantante, suonatore di chitarra e persino offrendo un blitz a passo di danza. E' certamente un'interpretazione affascinante, una prova magistrale, dove tuttavia le maggiori emozioni scaturiscono dall'ascolto delle canzoni di Gaber, suonate alla chitarra e cantate in diretta da Marcorè o sottolineate dall'intervento di due pianoforti, di ottimo e scenografico effetto.
Alle canzoni si alternano i monologhi, molti gli spunti (a volte forse troppi) presi dal grande repertorio di Gaber, privilegiando la parte che più rispecchia l'anima e il pensiero dell'artista: sul palco rivivono i dubbi, le paure, le illusioni di un qualsiasi "signor G" del nostro tempo. La regia imprime ritmo e sfumature comiche allo spettacolo. Oltre a Marcorè, ricordiamo Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger, protagoniste al pianoforte dell'elaborazione musicale di Paolo Silvestri. La scena di Guido Fiorato, fatta di fogli di giornale, aggiunge un tocco paradossale.

Etta Cascini

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 16:09

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