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CACCIA (LA) - regia Luigi Lo Cascio

La caccia La caccia Regia Luigi Lo Cascio. Foto Marianne Boutrit.

di Luigi Lo Cascio
liberamente tratto da Le Baccanti di Euripide
regia: Luigi Lo Cascio
scene e concezione video: Alice Mangano, scene e disegni: Nicola Console
con Luigi Lo Cascio e Pietro Rosa
Udine, CSS Teatro Stabile, 28 e 29 febbraio 2008
Milano, Teatro Leonardo da Vinci, dal 6 al 16 marzo 2008
Crema, Teatro San Domenico, 3 marzo 2010

www.Sipario.it, 15 marzo 2010
Corriere della Sera, 2 marzo 2008
Il Manifesto, 2 marzo 2008
Avvenire, 8 marzo 2008

C'è la tragedia e la sua irrappresentabilità ne La caccia di e con Luigi Lo Cascio. La libera riscrittura de Le baccanti di Euripide trova una inusitata e non leziosa intensità nella partitura per attore solo che Lo Cascio si è inventato per raccontare la paura dell'altro, la paura del buio che sta in fondo al cuore, meglio alle viscere. Ma La caccia è soprattutto un gioco di immagini, di rimandi saggistici, è un divertente e spiazzante pensiero sulla tragedia e sulla sua morte, prendendo a pretesto l'ultima tragedia scritta da Euripide, l'autore della crisi del tragico. La lotta impari di Penteo contro Dioniso lo straniero che finisce col sopraffarlo, dopo aver sedotto le donne della città di Tebe, è la lotta contro la paura dell'altro, è la storia del cacciatore che finisce col farsi preda, da persecutore a perseguitato. Ma ne Le Baccanti riscritte dal Lo Cascio c'è anche il rinchiudersi su se stesso di un mondo che teme il confronto, c'è l'arringare alle paure della comunità nella speranza di accrescere il proprio potere, c'è la discesa della follia, insomma c'è molto del nostro oscuro e tenebroso presente. Luigi Lo Cascio si muove in uno spazio nero, con alle spalle un muro-lavagna su cui prendono corpo i disegni e le scene di Alice Mangano e Nicola Console, gestite dai suoni e dal montaggio video di Desideria Rayner. L'apertura è di un bambino-coro, voce dell'ermeneutica tragica, il coro che spiega e che ci spiega il senso del tragico, senso inafferrabile che finirà col sopraffare lo stesso coro-bambino ucciso dalla furia di uccelli hitchcockiani. Il bambino ha di per sé una natura dionisiaca, ha qualcosa di inquietante che ben redne il mistero intrinseco del tragico. Se il piccolo coro saccente cita Galimberti, Severino, Girard, Luigi Lo Cascio nel far suoi le Baccanti e il delirio di Penteo di cui assistiamo al lento scendere nell'indistinto dionisiaco si fa corpo vocale, si fa pura immagine, eppure sa mantenersi attore in carne ed ossa non oppresso da un racconto visivo che affascina e amplifica le doti non comuni dell'interprete de I cento passi. Luigi Lo Cascio dimostra una vera e naturale duttilità vocale che inclina al canto, non disdegna omaggi a Carmelo Bene, ma sa anche essere piano e minimalista nel porre la parola poetica ad un pubblico silenzioso e teso. Nel momento in cui la retorica del bel dire potrebbe prendere il sopravvento ecco che subentra l'impossibilità del tragico, lo spiazzamento ironico affidato ad una serie di caroselli/coro che pubblicizzano prodotti per l'autofecondazione per la nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus, ironizzano su un centro benessere in Grecia il cui testimonial è lo stesso Lo Cascio raggiunto in camerino da Gifuni e Boni, fino alla preparazione finale di un carpaccio alla greca, cucinato da un Lo Cascio en travesti in cerca del senso nascosto nella carne dilaniata dalle Baccanti, un senso che non c'è, un senso nascosta che non si disvela, così come Dioniso non si svela agli uomini, così come il mito ha il suo senso nella parola segreta a cui fa riferimento l'etimo. La caccia si dimostra uno spettacolo ricco di rimandi, ben orchestrato e interpretato con un coraggio autorale mai spocchioso e autentico che conferma Lo Cascio artista a tutto tondo con una profonda etica del suo essere attore.

Nicola Arrigoni

Addio Dioniso, la fantasia è finita in spot

La scena stracolma di presenze virtuali - video, suoni, luci, disegni, animazioni - «è» la mente del duce Penteo, rivoltata dall' attacco invisibile di Dioniso e delle sue fan, le «indecenti» Baccanti; lo stesso spazio, invece, all' inizio, rappresenta la rivolta della mente di un perfetto uomo d' ordine contro il dio del disordine. Così, Luigi Lo Cascio - interprete, regista e dramaturg de La caccia, dalle Baccanti di Euripide - è l' unica figura vivente, fisica dello spettacolo, eppure solo non è mai sulla scena della rovina: vestito da fantino-cavaliere, talora da donna, dialoga con doppi di se stesso, con trascrizioni del testo originale in lingue non parlate: nei segni (alla Matta) che Nicola Console traccia e proietta in diretta; nei video di Alice Mangano; nelle cavalcate rossiniane campionate da Desideria Rayner, nelle luci di Stefano Mazzanti. Non è più una tragedia, è una satura del Terzo Millennio. Mai compiuta ne è la forma: dunque, Apollo latita. E quindi, niccianamente, neppure Dioniso si vede, tra tante immagini. Dov' è il dio «straniero»? Penteo non l' ha s-cacciato (anzi alla fine spia le orge della madre e viene fatto a pezzi); a bandirlo siamo stati noi, oggi, a furia di insopportabile fredda saccenteria, impersonata da un ragazzino (il 12enne Pietro Rosa); di cori della pubblicità che si finge senso comune; di ricette cannibalesche, etc. E con questi comici siparietti la regia dribbla gli enigmi del tragico, mostra la nostra definitiva impotenza a dire cose profonde. Perfetta la «dimensione» fisica di Lo Cascio capace di una tensione sacra, quasi inermi le parole: proprio così accadrebbe se l' uomo si concedesse al dio della follia creativa, la razionalità all' istinto. Non più, però: quello di Euripide, poeta della grecità critica e in crisi, e quello della Caccia è un mondo di «nostalgia» per il contagio fertile delle energie.

Claudia Provvedini

La sfida di Penteo a Dioniso, scontro fatale con l'eros E' un rapporto bello e curioso quello di Luigi Lo Cascio con il teatro. Dove lui ha cominciato la propria attività anche se è al cinema che ha avuto fama e riconoscimenti. Eppure al teatro resta legato, con un fruttuoso privilegio per Udine dove cominciò a lavorare appena uscito dall'Accademia. È nato qui infatti, grazie al Css, il suo nuovo lavoro La caccia, che dopo il debutto al Palamostre è da martedì in tournée in Emilia, a Milano, Genova e altre città.
Non lo firma da solo l'attore, ma assieme al gruppo con cui è cresciuta l'ideazione di questo percorso attraverso le Baccanti di Euripide: Nicola Console, Alice Mangano e Desideria Rayner. Un percorso che si riallaccia a quello che Nella tana l'attore ha compiuto nella scrittura di Kafka. Qui però, oltre al maggiore impatto visivo del disegno di Console su una serie di lavagne che costituiscono il fondale, è l'intero impianto ad acquistare ricchezza.
Lo Cascio compie quel percorso da solo in scena, come trent'anni fa aveva fatto a Prato nel Laboratorio ronconiano Marisa Fabbri. Ma lo spettacolo è qui del tutto originale. Lo Cascio è Penteo, il re che per combattere il disordine provocato dall'invasamento che le donne della città vivono nei boschi circostanti, si fa egli stesso cacciatore. E sfida la giovane, misteriosa divinità di Dioniso che oltre alla danza e al vino, porta quel ribaltamento dei costumi costituiti. Attorno a lui solo, è pure molto animata la scena: figure mitologiche come animali spezzati e cavalli senza testa, sagome umanoidi imprendibili, o ormai intangibili, come appaiono nei disegni animati l'indovino Tiresia e il re Cadmo, cui la vecchiaia non risparmia di contagio di invasati. E c'è un alter ego di Penteo, che da narratore si fa ipercritico, attraverso la voce e l'immagine di sapiente bambino (Pietro Rosa), come tale incensurabile.
Il bel viso di Lo Cascio, volto del miglior cinema italiano di oggi, assume l'ambigua forma del delirio dello stato etico e repressivo. Capace di contenere l'arroganza invasiva che il cardinal Ruini porta sotto la porpora, o l'ambiguo perbenismo di tanti politici, padri Zapata di ogni schieramento. L'attore è abbigliato con la muscolatura di un eroe ariostesco, in una tenuta da scherma che si liquefà nel proprio riflesso sullo schermo. Non solo quello tecnologico in cui prendono corpo animato le mirabilie artistiche dell'equipe autrice dello spettacolo, ma anche lo schermo che il governante tiranno vuole stendere sul baccanale di tutto ciò che al suo potere sfugge: la danza e il vino di Dioniso, ma soprattutto eros e pulsioni di quella «selvatica» presenza femminile (di cui la stessa sua madre è conduttrice) ribelle, forza autodeterminata e incontrollabile che combatte con quella tirannia uno scontro fatale. Per l'uno o per l'altra.
Ma non risparmia l'ironia Lo Cascio, in questo laboratorio artigiano di pensieri profondi e immagini grandiose. Come quando tuona un discorso da duce che suona proprio come quello delle decisioni improrogabili. O come nella funzione del coro tragico, affidato a colorati inserti video che sono veri spot pubblicitari e beffardi. Irresistibili nello smascherare l'orrore del buonsenso, quando si rifugia nelle patacche illusorie eppure «credibili» (un balsamo Epos miracoloso, o certe ricette sanguinolente che hanno il glamour di Lisa Biondi). E non si risparmia neppure i travestimenti l'attore, dentro e fuori degli spot. Senza farci «prediche», questo percorso nella tragedia è fortemente vissuto e chiaro nel darci la crudezza di un rapporto carnefice/vittima, combattuto anche dentro l'intelaiatura di un abito femminile d'epoca.

Gianfranco Capitta

L'Euripide multimediale di Lo Cascio dà una bella scossa al teatro moderno

E' uno spettacolo curioso e affascinante La caccia di cui è protagonista assoluto Luigi Lo Cascio, l'attore, una icona del miglior cinema italiano, de I cento passi e La meglio gioventù che con il teatro ha sempre avuto un rapporto alquanto singolare. Uno spettacolo che se da un lato ti aggancia per i pensieri profondi che vi turbinano dall'altro colpisce per lo straripare di presenze virtuali (video, suoni, luci, disegni, animazioni ricchi di suggestioni frutto di una straordinaria équipe di artisti visivi come Nicola Console, Alice Mangano e Desideria Mayer) che irrompono sulla scena e dichiarano la rottura con il teatro tradizionale, legato soltanto alla parola. Anche se qui, la parola certo non è assente. Ed è quella alta e possente di Euripide la cui voce Lo Cascio intende far risentire ma con eco modernissima, ritrascrivendo quella che è una delle sue opere più inquietanti: Le Baccanti. La tragedia che ci parla del giovane tiranno Penteo, che per combattere il disordine provocato dall'invasamento che le donne della sua città vivono nei boschi circostanti la capitale , si fa egli stesso cacciatore (donde il titolo). E sfida, lotta terribile che porta alla sua tragica fine, quella misteriosa divinità che è Dioniso che oltre all'«ebbrezza e ai passi di danza» ha portato a Tebe il ribaltamento dei costumi, ha cancellato l'ordine. Lo Cascio sembra far intravedere questa storia come metafora di un tempo presente che subisce l'ebbrezza dei media, della tecnologia e del consumismo.
Nato in seno al CCS di Udine e ora al Leonardo di Milano lo spettacolo è un piccolo evento in una stagione teatrale finora dimostratasi alquanto fiacca.

Domenico Rigotti

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 16:01

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