martedì, 13 maggio, 2025
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VERTICE (IL) - di Christoph Marthaler

"Il vertice", di Christoph Marthaler "Il vertice", di Christoph Marthaler

di Christoph Marthaler
con Liliana Benini, Charlotte Clamens, Raphael Clamer, Federica Fracassi, Lukas Metzenbauer, Graham F. Valentine
drammaturgia Malte Ubenauf
scena Duri Bischoff
costumi Sara Kittelmann, trucco e acconciature Pia Norberg
luci Laurent Junod, suono Charlotte Constant
collaborazione alla drammaturgia Éric Vautrin
produzione Théâtre Vidy-Lausanne, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, MC93 - Maison de la culture de Seine-Saint-Denis, coproduzione Bonlieu Scène nationale Annecy, Ruhrfestspiele Recklinghausen, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Festival d’Automne à Paris, Théâtre National Populaire de Villeurbanne, Maillon Théâtre de Strasbourg - Scène européenne, Malraux scène nationale Chambéry Savoie,  Les 2 Scènes - Scène nationale de Besançon, tnba - Théâtre national Bordeaux Aquitaine, International Summer Festival Kampnagel, nell’ambito del progetto “Interreg franco-suisse” n° 20919 – LACS - Annecy-Chambéry-Besançon-Genève-Lausanne
al teatro Strehler, Milano, 6 maggio 2025, prima nazionale

www.Sipario.it, 8 maggio 2025

In tedesco, vertice si dice Gipfel, parola che designa la cima di una montagna, un meeting politico, ma anche… un croissant. Parole, parole, parole: significanti e significati di incerta reciprocità tengono banco nel bellissimo e poetico Il vertice di Christoph Marthaler. Una baita di montagna, arroccata sulla vetta, al cui centro emerge il cucuzzolo del monte. Da un montacarichi salgono strani individui, vestiti da montanari, forse escursionisti che ad un certo punto indossano abiti da serata ufficiale. Ma che succede in quel rifugio? Si assiste a un vertice politico? si tratta di una riunione di milionari? Come sono arrivati lì? E perché non possono andarsene? Domande senza risposta. Meglio Marthaler lascia le risposte allo sguardo dello spettatore. Ad un certo punto i sei esaminano i documenti raccolti in faldoni e ognuno, nel suo idioma, dà il suo sì o il suo no a quelle che potrebbero essere risoluzioni politiche, senza arrivare a nulla. E così come non c’è soluzione a quel dibattito, non sembra esserci possibilità d’uscita da quell’empasse. Si è raggiunta la vetta della montagna, ma si è anche prigionieri di quel rifugio, si accenna a un terremoto, a un’attesa che durerà anni. Non c’è via d’uscita se non quel montacarichi che all’inizio di tutto ha mostrato la Gioconda di Leonardo. I sei personaggi si parlano senza capirsi, c’è chi intona un canto e chi prega. Stare al vertice vuol dire anche confrontarsi con il limite massimo, dopo di che il nulla o solo la possibilità di discendere. E nel mentre i sei notabili parlano, parlano, si arringa al denaro come unico mezzo di misura della realtà, si leggono i messaggi sul libro degli ospiti del rifugio, frasi spesso senza senso che fanno scorrere il secolo breve, fino ad arrivare agli anni di questo XXI secolo in stallo, vacuo e blaterone. Eppur quel parlare anche senza capirsi, quello stare insieme, condividere uno spazio hanno un loro senso, hanno un loro valore che si compie nell’atto finale, nella consapevolezza che quella vetta ha freddo e di essa è necessario prendersi cura. Allora i sei personaggi decidono di coprirla e il buio cala su quella baita che sa essere mondo, che mostra e fotografa il disorientamento del nostro presente. Ma sembra augurarsi Marthaler che alla fine, pur fra mille incomprensioni, la possibilità di una strategia comune possa esserci. Quel coprire la vetta ha un che di dolce e poetico che rischia di commuovere fino alle lacrime. Marthaler si conferma il genio che è, conferma la potenza del suo teatro fatto di corpo, di musica, di spazi, di sommovimenti evocati o costruiti che chiedono non solo di dare uno scossone all’azione, ma anche alle nostre coscienze. Ciò che va in scena ne Il vertice e ciò che fanno gli attori figurine clownesche e a tratti drammatiche, leggere e impietose nella loro scanzonata solitudine, sono il pensiero, la possibilità di riflettere più che rappresentare la nostra condizione di civiltà al vertice delle conquiste di sapere e di benessere, ma prigioniera di sé stessa. Come i personaggi nella baita – fa presumere il regista – la nostra civiltà è ostaggio involontario di una condizione che non permette, apparentemente, né di salire né di discendere lungo la montagna perché tutte le vie sono interrotte e la cima è stata raggiunta. La soluzione sta nella cooperazione autentica e disinteressata in quel prendersi cura della vetta su cui si abbassano le luci. È il pensiero che Marthaler ci affida, teniamolo da conto e facciamolo germogliare. Viva il teatro, quello vero, quello di pensiero. 

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Venerdì, 09 Maggio 2025 05:13
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