martedì, 20 maggio, 2025
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CINQUE ROSE DI JENNIFER (LE) – regia Geppy Gleijeses

Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses in “Le cinque rose di Jennifer”, regia Geppy Gleijeses Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses in “Le cinque rose di Jennifer”, regia Geppy Gleijeses

di Annibale Ruccello
Regia Geppy Gleijeses
Interpreti: Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses
Voce della radio: Nunzia Schiano. Voce di Sonia: Gino Curcione
Voce di Annunziata: Mimmo Mignemi. Voce del giornale radio: Myriam Lattanzio
Scene: Paolo Calafiore. Costumi: Ludovica Pagano Leonetti
Light designer: Luigi Ascione
Produzione: dear friends
Teatro India dal 5 al 9 marzo 2025

www.Sipario.it, 12 marzo 2025

Non capita spesso di vedere in scena padre e figlio. In questo momento ricordo solo Eduardo e suo figlio Luca. Ma certamente ce ne saranno tanti altri. Un modo per rendere forti e gagliarde le famiglie che di Teatro vivono e proiettarle sempre più nel futuro. Dunque Geppy Gleijeses e suo figlio Lorenzo sono stati protagonisti al Teatro India di Roma d’una delle più fiammanti pièces di Annibale Ruccello, titolata Le cinque rose di Jennifer, (pubblicata poi dalla Ubulibri di Quadri assieme ad una cinquina di altri testi con un’acuta introduzione di Enrico Fiore) che mise in luce questo straordinario drammaturgo napoletano, morto troppo giovane a soli 30 anni, nel 1986 per un incidente automobilistico: ricordato adesso opportunamente dal Teatro romano con altri due lavori che sono Anna Cappelli e Ferdinando. Ho visto tante altre edizioni de Le cinque rose di Jennifer, la più recente mi pare fosse quella proposta da Arturo Cirillo, e tutte le volte mi capita d’avere dei brividi in alcuni momenti, come è accaduto adesso per i due Gleijeses in scena, molto bravi a rendere realistica la vita di due travestiti, (femminielli li chiamano a Napoli) all’interno d’un monolocale qualunque in cui spicca, in particolare, un paravento con tre ante, dipinte come le porte numerate di tre cabine balneari. Nella scena di Paolo Calafiore non manca nulla: c’è il letto sul fondo, una piccola toilette rosa con sgabello là vicino, un mobile basso di lato con vari ninnoli e suppellettili, provvisto pure d’un cucinino, una sedia con tavolo al centro e sopra un nero telefono d’antan che squilla spesso, che fa il paio con una voluminosa radio quasi sempre accesa, la cui stazione Cuore Libero diffonde struggenti canzoni di Patti Pravo, Milva, Vanoni, Mina, dando l’opportunità ai vari ascoltatori di richiedere quali canzoni ascoltare dedicandole ai propri amici e amanti. In questo spazio vive lui/lei, Jennifer di Gleijses padre, che all’inizio appare agghindato con minigonna di pelle nera, canottiera rossa, calze nere, pantofole con pon-pon e una parrucca bionda che terrà sino alla fine, indossando nel frattempo una vestaglia a fiori fucsia e neri, sistemando la borsa della spesa e mettendo in un vasetto cinque rose rosse. Dopo un po’ vestirà dietro quel paravento un abito nero di sobria eleganza, un po’ scollato (i costumi sono di Ludovica Pagano Leonetti) calzando quindi un paio di scarpe a tacco basso e rispondendo poi ad una sfilza di telefonate, molte non indirizzate a lui per delle interferenze sulla sua linea telefonica. Jennifer risponde a tutti gli squilli, anche perché aspetta da un momento all’altro che Franco, l’amore suo, ingegnere di Genova, lo chiami per riscaldargli il cuore, farlo sentire meno solo, dicendogli magari quando potranno rivedersi. Ogni squillo è un sussulto, un tremito, un modo pure d‘avere compassione per chi chiama e offrire un briciolo di calore, chiudendo a volte le telefonate malamente in un gergo colorito napoletano, ricco di sfaccimme e di fanculo finali. Intanto una voce chiara dai toni accorati comunica alla radio che nei rioni popolari, senza dire se sono quelli dei Quartieri Spagnoli, della Sanità o del Pallonetto, c’è un killer che accoltella i travestiti, lasciando sparse sul loro corpo cinque rose rosse e pare che i decessi siano causati da un colpo di pistola sparato in bocca. All’inizio il morto è uno solo, poi diventano sette, infine dieci, mettendo in ansia Jennifer e tanti suoi colleghi. Uno dei quali, di nome Anna, vestito da Gleijeses figlio, giunge trafelato e accorato, chiuso in una stretta gonna e giacchettino color marrone, borsetta in mano, cappellino in testa e scarpe a tacco basso, pregando Jennifer di poter restare in casa sua e rispondere ad una importante chiamata dal suo telefono, visto che il proprio apparecchio è fuori uso per i noti guasti verificatisi nel quartiere. Il telefono non squilla, i due discutono delle loro vite, Anna parla di Dio, invogliando Jennifer - senza riuscirci - a diventare come lei una testimone di Geova, poi sferruzza una piccola maglia, manifestando entrambe una certa paura per quel serial killer che s’aggira là intorno e che prende di mira soltanto i travestiti. Anna va via, quasi presa a spinte da Jennifer che non ne può più di quella presenza e lo spettacolo sembra colorarsi di giallo, anche se Jennifer, come le capita da mesi, apparecchia con nonchalance la cena a lume di candele per lui e Franco, la cui immagine non compare in quel portafotografie posto sul tavolo, guarnito pure col quel vasetto di rose rosse.  Echeggia la voce di Gabriella Ferri con Addò sta Zazà, ricompare singhiozzando Anna dicendo che qualcuno è entrato da lei, forse lo stesso killer, squartando la sua gattina e scappando di casa con un coltellaccio in mano. Scena che si svolge al buio illuminata da pile elettriche, avendo la sensazione per un momento che sia Anna che Jennifer possano essere loro uno dei killer. Ma è solo un momento, perché poi Jennifer buttando letteralmente fuori dalla porta Anna, colta da profonda depressione si siederà attorno a quel tavolo e si ucciderà con un colpo di pistola sussurrando la parola “mamma”, subito subissato da lunghi e calorosi applausi del pubblico mentre sopraggiungeva Lorenzo Gleijeses anche lui molto festeggiato.      

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Venerdì, 14 Marzo 2025 03:30

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