ispirato all’opera Giorno d’estate di Slawomir Mrożek
Regia di Gerri Cucinotta e Gianfranco Quero
Interpreti: Giulia De Luca, Gianfranco Quero, Gerri Cucinotta
Ideazione luci: Roberto Bonaventure
Produzione: Castello di Sancio
Spazio Lilla di Davide Liotta- Messina . 23 e 24 novembre 2024
Lo scrittore polacco Slawomir Mrożek è stato inquadrato come un drammaturgo appartenente alla cosiddetta corrente del Teatro dell’Assurdo assieme ai vari Ionesco, Adamov e altri, dove vi inserirei pure il nostro Achille Campanile. Il suo lavoro più noto messo in scena in Italia è stato Emigranti che negli anni ’70 del secolo scorso ha avuto come protagonisti due fuoriclasse, scomparsi da tempo, quali Giulio Brogi e Gastone Moschin diretti da José Quaglio, (io lo vidi nella Camera di Commercio di Messina quando ancora non esisteva il Teatro in Fiera e il Vittorio Emanuele giaceva lì chiuso da almeno 60 anni). Certo, era noto pure Il tacchino, una delle sue prime opere, ma non conoscevo Giorno d’estate (che è del 1983), cui si ispirano adesso due attori noti a Messina, quali Gianfranco Quero e Gerri Cucinotta che hanno elaborato il testo titolandolo Compagnia di giro, per il quale oltre ad interpretarlo assieme a Giulia De Luca, ne hanno curato la regia, scegliendo come location il centralissimo Spazio Lilla di Davide Liotta, del quale ci siamo occupati nel recente passato. Lo spettacolo vede sulla scena due poveri disgraziati che vogliono togliersi la vita nel verde d’un lussureggiante parco. Uno si chiama Sfor (Cucinotta) con abiti casual e un cappio al collo che cerca con insistenza di infilare la corda nel mezzo di due robusti rami di un albero. Ha preso la triste decisione perché tutto ciò che fa nella vita gli va storto, compresi i rapporti con le donne che finiscono sempre miseramente. Nel momento in cui si sta impiccando giunge un uomo avanti negli anni, elegante nel suo abito color crema, scarpe bianche, come il colore del codino raccolto dietro la nuca e un bastone in mano. Il personaggio si chiama For e ha deciso di suicidarsi con una rivoltella per i motivi completamente opposti a quelli manifestati da Sfor. Infatti nella vita ha avuto successo, qualunque cosa avesse intrapreso, comprese le conquiste del genere femminile, manifestando adesso una sorta di apatia confinante con una noia immensa, da non provare più alcuno stimolo per vivere fino al resto dei suoi giorni. I due parlano, si confidano, raccontano le loro esperienze, l’uomo in bianco manifesta una saggezza di vita che l’altro sembra non possedere, quand’ecco giungere per incanto una figura femminile, quella di Giulia De Luca in abito lungo dai colori azzurrini: una sorta di eterna nemica con le sembianze d’una fata turchina o quella d’una elegante comare secca pronta a recidere il filo di chi avvicina? Lo spettacolo non dà una versione univoca, lasciando agli spettatori di decidere quale sia il nodo più vicino alla verità. Fatto sta che mentre si odono le note emblematiche di quella canzone di Fabrizio De André, La canzone dell’amore cieco (o della vanità) che tra un tra la la lalla, tra lalla lero subisce le sevizie della sua donna sino a morir contento/ morir contento e innamorato/quando a lei niente era restato/non il suo amore non il suo bene /ma solo il sangue secco delle sue vene, quella fatina malefica accetta sia le avances di Sfor che dice subito di amarla, dandole un appuntamento in una località balneare, presentandosi in un costume a righe d’antan, rimanendo tuttavia esterrefatto quando capisce d’essere stato messo da parte dall’occasionale personaggio, anche lui al mare, adagiato su una sdraio e agghindato con un accappatoio di seta lì pronto a saltarle addosso. Ma non succede niente di tutto questo perché il buio decreta la fine d’uno spettacolo molto applaudito con i tre personaggi ritti e zitti sul piccolo palcoscenico. Gigi Giacobbe