suggestioni da Shelley, Artaud, Stendhal, Dumas, Camus, Mary Shelley, Neige Sinno, Virginie Despentes e dagli atti del processo contro Beatrice Cenci.
Si ringrazia Michele Di Mauro per l’utilizzo di un suo componimento
con Davide Giglio, Francesco Pennacchia, Francesca Ziggiotti e Giorgia cerruti
visual concept e disegno luci Lucio Diana
costumi Serena Trevisi Marceddu
sound design, composizione e fonica Guglielmo Diana
danza storica Monica Rosolen
assistente alla regia Alessia Donadio
realizzazione costumi Daniela Rostirolla
tecnico luci Francesco Venturino
organizzazione Emanuela Faiazza
Uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia, in coproduzione con Teatro Stabile di Torino–Teatro Nazionale, CTB–Centro Teatrale Bresciano, Sardegna Teatro, Scarti-Centro di Produzione con il sostengo di Teatro Akropolis in collaborazione con I.I.C. Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia e Fundacja Teatr Wschodni–Lublino (Boarding Pass Plus Project)
Teatro Gobetti, Torino, giovedì 17 ottobre 2024
C’è un evidente sottotesto cromatico che accompagna CENCI. Rinascimento contemporaneo, ultima progetto della Piccola Compagnia della Magnolia in coproduzione con altre realtà, non solo nazionali: se per larga parte dei novanta minuti è il rosso, colore della passione e del sangue, a dominare nei costumi di Serena Trevisi Marceddu e nelle luci di Lucio Diana, nelle maschere dello stesso Diana e di Adriana Zamboni come in alcuni elementi ed oggetti di scena, l’epilogo diventa il trionfo del nero, colore della morte, con gli interpreti di scuro vestiti far rivivere in proscenio le fasi di un processo dal tragico destino già scritto. Rosso e nero, due dei tanti linguaggi con cui raccontare la saga di Beatrice Cenci, rampolla di una delle più nobili famiglie romane del suo tempo, gli ultimi anni del sedicesimo secolo, condotta al patibolo con l’accusa di parricidio dopo una strenua difesa contro le angherie e violenze di un padre del tutto sordo, al pari di un intero sistema giudiziario, alle ripetute invocazioni di aiuto: vessazioni famigliari prima, e della società tutta poi, fanno da sfondo al drammatico racconto ambientato nella Roma di fine Cinquecento, città eterna che di eterno sembra aver solo la marcescente presenza di relazioni malate tra potere civile e potere religioso a suggellare la decadenza di un’intera comunità. Tutto questo è tradotto in scena in modalità multiforme, con il teatro di parola alternarsi, nella prima parte, a quello di figura, senza dimenticare l’apporto visivo e sonoro che Guglielmo Diana realizza con il suo progetto musicale: partendo dalle riscritture di Percy Shelley ed Antonin Artaud, quest’ultimo ispirato anche alla rilettura di Stendhal, la regista Giorgia Cerruti progetta un lavoro al solito stratificato, rapsodico e se vogliamo a tratti incostante, ma sempre attento, come nella tradizione della compagnia torinese a far dialogare tra di sé differenti linguaggi espressivi. Parola, gesto, immagine e suono diventano in scena personaggi vivi pronti a interagire in quello che è un percorso rivelatore, da un lato, del tentativo di una donna di contrastare il potere maschile, dall’altro dell’esistenza di ataviche ed inscalfibili pulsioni riconducibili all’idea di potere. E’ una comunicazione diretta che mette in contatto teatro ed arte visuale, parola e suono, nella definizione di un quadro complessivo che parla di un’identità passata non così lontana dalle rappresentazioni del presente, ed ahinoi del tutto aliena da un possibile “Rinascimento contemporaneo”. Se la stessa Cerruti si ritaglia spazio nei panni della matrigna di casa Cenci, Davide Giglio è un arteudiano Tonino che dialoga con i personaggi commentando gli accadimenti secondo i canoni cari all’illustre teorico di un “teatro della crudeltà” da intendersi come catarsi, liberazione allo stato puro: ed ancora Francesco Pennacchia è un Conte Cenci di raro spregio e violenza, padre-padrone dedito ai piaceri della carne in disprezzo totale del più elementare legame di sangue, mentre Francesca Ziggiotti è la Beatrice di bella intensità, eroina del passato ante-litteram, simbolo della ribellione ad un patriarcato che non sembra conoscere confini temporali, cui si affida il compito di tracciare le coordinate del futuro. Articolato nei linguaggi ed al tempo stesso lineare nello svolgimento, al netto di un epilogo che necessiterebbe di maggior sintesi, CENCI. Rinascimento contemporaneo è progetto che desta interesse, manifesto non solo teatrale di un viaggio nel tempo scandito da vizi e deformazioni ancor oggi per nulla sradicate. Roberto Canavesi