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CHE CI FACCIO QUI, IN SCENA? - di e con Domenico Iannacone

"Che ci faccio qui, in scena?" di e con Domenico Iannacone. Foto Erika Spironello "Che ci faccio qui, in scena?" di e con Domenico Iannacone. Foto Erika Spironello

di Domenico Iannacone
con Domenico Iannacone
musiche dal vivo Emanuele Bono
luci Danilo Facco 
installazioni video Raffaele Fioretta
direzione tecnica Eva Sabelli
produzione Teatro del Loto/Teatri Molisani
rassegna Centorizzonti  - Fantasmagorie
Asolo (Treviso), Corte del Castello di Caterina Cornaro, 30 luglio 2024

www.Sipario.it, 2 agosto 2024

Si può definire giornalismo responsabile quello che Domenico Iannacone porta da un po’ di tempo anche a teatro, con Che ci faccio qui in scena?, dopo il successo televisivo di qualche anno fa che a sua volta bissava quello de I dieci comandamenti, altro esempio suo di inchiesta docu-neorealistica. Con lo sguardo puntato alla persona, prima di tutto, al malessere profondo di questa società, con l’aggiunta talvolta di indagini su cittadini particolarmente brillanti che si distinguono, cercando di sopravvivere. E’ questo che il giornalista ha portato dunque in scena, ad Asolo, nella rassegna Centorizzonti – Fantasmagorie, che durerà fino al 7 settembre e che coinvolge una serie di comuni della Pedemontana trevigiana. Uno spettacolo che la direttrice artistica Cristina Palumbo ha voluto con tutte le sue forze, e che è (Iannacone è una vera garanzia) non ha tradito nessuna aspettativa. E’ un genere teatrale abbastanza nuovo, quello che porta i giornalisti a raccontare storie, anche se di teatro puro ovviamente non si può parlare. E’ narrazione, indagine, proposta. E Domenico Iannacone lo fa con garbo e una potenza straordinaria, stupisce magari qualche pose plastica, teatrale, che da uno come lui, rigoroso, ricercatore d’inchieste non ci aspetta. Potrebbero però esser parte della sensibilità, di quello che si sente dentro mentre si narrano certe situazioni, l’emozione che prende corpo e si manifesta. Che ci faccio qui, in scena? è un pugno nello stomaco, e costruito molto bene, che parte dalla curiosità del piccolo Domenico a casa, in Molise, alla sua crescita, al sentore che già da bambino ha per una certa professione. Lo spettacolo, come del resto i programmi tv citati, arriva diretto al pubblico asolano (tutto esaurito, per la cronaca). Come? Denunciando, segnalando, incontrando persone tra le più vere che si possono incontrare. Le loro storie sono tutte particolarissime, emozionanti. E le situazioni raccontate mettono in luce le stesse ed alcune situazioni che hanno oltrepassato i limiti del buon senso, cosa che se non si facesse da nessuna parte e per opera di nessuno andrebbero facilmente ignorate o dimenticate. Ecco la grandezza del giornalista, l’acuta predisposizione che lo porta da anni a interessarsi di ciò. E a teatro, nello specifico immerso della bellezza della Corte Cornaro, davanti a degli spettatori attentissimi tutto si crea, con sicuramente qualche coscienza in più raggiunta. I filmati alle spalle di Iannacone determinano e vogliono dell’attenzione, iniziando da quello di Ladri di biciclette, capolavoro neorelistico di Vittorio De Sica, giusto per introdurre la visione sugli ultimi, gli ermarginati. Si continua poi con la storia di Michele, un uomo separato che vive in auto dopo lo sfratto, per permettersi gli alimenti per i figli. Provate a immaginarvi cosa vuol dire finire in un buco nero, e perdere tutto o quasi, si rivolge così Iannacone al pubblico. Ma le storie incalzano, continuano, come quella di Maria, cuoca finita per strada dentro a un mega capannone abbandonato, e tutti ne siamo coinvolti perché è la paura che genera questo, come Iannacone dice. O la storia di Amelia Rosselli, poetessa che ha iniziato alla bellezza poetica il giornalista, ma che dalla sua bellezza di poetessa è stata travolta e si è suicidata. O ancora, il toccante omaggio a Pier Paolo Pasolini, ai suoi reperti ancora conservati, scarpe, camicia, occhiali, quelli della sera dell’omicidio,e l’altro Pierpaolo, giovane disabile che ha sempre vissuto e aiutato la mamma, con l’Alzheimer, fino a quando è mancata. Anime devastate e anime belle, come pure quella dell’imprenditore veneto, Caspon, che ha detto basta ai capannoni e pianta solo alberi destinati a esser abbattuti e gli ridà nuova vita. Un monumento a queste vite ci vorrebbe. Ricordando anche il degrado alle Vele, di Scampia. Tutto nei filmati e nella testa, nella mente di chi guarda. E il merito è di questo giornalista egregio, che entusiasma e fa pensare.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Sabato, 03 Agosto 2024 11:52

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