adattamento del Cyrano dei Bergerac di Edmond Rostand
di Leonardo Manzan e Rocco Placidi
regia di Leonardo Manzan
con Paola Giannini, Michele Enurnea, Giulio Cucchiarini
musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Lever
eseguite dal vivo da Filippo Lilli
luci di Simone De Angelis, eseguite da Giuseppe Incurvati
scene di Giuseppe Stellato
costumi di Graziella Pepe
produzione La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Under 30
con la direzione artistica di Antonio Latella, produzione nuovo allestimento 2022,
La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe, Fondazione Teatro della Toscana
al teatro Ponchielli, Cremona, 28 marzo 2023
Un intreccio di tubi innocenti, due spadaccini alla ribalta con le luci di sala accese che fingono uno svogliato duello, entrambi con spada, cappa e un grande naso. Poi lei, Rossana (Paola Giannini) li prende a bastonate, l’uno e l’altro, Cirano (Michele Eburnea) e il suo doppio Cristiano (Giusto Cucchiarini). Stop. E subito si capisce che in Cirano deve morire di Leonardo Manzan c’è qualcosa di insolito, non c’è il solito Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand. Rossana – ampio collo inamidato stile secentesco, voluminosa gonna di velluto - è sicura e determinata nel dire la sua e così morti i due, si prende la parola e lo spazio scenico e racconta la storia dal suo punto di vista: l’amore per Cristiano, bello ma stupido, l’amore per le parole di Cyrano prestate a Cristiano e di quel bugiardo di guascone che per quattordici anni, per codardia e paura le nasconde il suo amore, lui cugino di Rossana, sfigurato dal grande naso. Svelata, raccontata la storia, Manzan che insieme a Rocco Placidi firma la riscrittura in versione rap del capolavoro di Rostand, si può permettere di infiorettare, fare digressioni, commentare ciò che succede, prendere i momenti iconici della vicenda e farne pezzi di bravura per attori rapper, accompagnati dalle musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Levrero, eseguite dal vivo da Filippo Lilli. E non è un caso che di naso non ci sia traccia e che il volto di Cirano sia coperto da un cappuccio della felpa da rapper, non solo un cappuccio, ma la difesa dagli sguardi di occhi indiscreti nell’età in cui con ci si piace e ci si vede brutti: l’adolescenza.
Lo spirito dello spettacolo/musical sta nella coerenza semantica e linguistica e nell’azzardo: chiamare il pubblico alla sfida della rima, nel momento in cui Cyrano, oltraggiato per il suo naso, chiede a chi si è fatto beffa della sua protuberanza di elaborare rime in alessandrini. Rossana scende in sala e cerca la sfida dei rapper in platea che prontamente rispondono, due ragazzi che danno filo da torcere a Michele Eburnea, alias Cirano, c’è anche un signore in gilet rosso mezzemaniche che sfida il poeta a ritmo di rap e platea e palco diventano un unico corpo che canta. Obiettivo di Cirano deve morire raggiunto: creare quella coralità che chiama tutti noi a riflettere sulla parola che trasforma – quella teatrale in primis -, sulla natura anticonformista di quel guascone dal naso enorme la cui rabbia per la sua bruttezza lo inchioda a dire non visto, a vivere non vivendo.
Tanto è smargiasso e ipervitaminico il Cristiano di Cucchiarini cui spettano melodie molto pop e frivole, quanto è cupo e rabbioso il Cirano di Eburnea, ma su tutto e tutti domina lei Rossana, energica Paola Giannini che con la sua sola presenza riempie la scena, muove tutta la vicenda. Nella scena fina le di bianco vestita, sposa incompiuta, sul balcone che è una sorta di trampolino di acciaio racconta e canta il dialogo notturno a tre, il fascino delle parole, il bisogno di corpo, lei che è destinata a essere vedova due volte, senza mai aver conquistato il letto nuziale. In Cirano non deve morire c’è spazio per la rabbia, ma soprattutto per l’amore che brucia e che tutto vuole e fagocita. Ci si entra pian piano in Cirano deve morire, forse a tratti si ha l’impressione che non tutto arrivi chiaramente, ma il ritmo e l’intelligenza della drammaturgia che strizza l’occhio al teatro e ai suoi vizi, come alla voglia di emergere e di dirsi autentico di quel rapper anzitempo nato quattrocento anni fa nella Parigi del Re Sole inanellano una tale quantità di parole e di note che stordiscono piacevolmente la platea di ragazzi che partecipa e sente proprio quanto accade.
Il pubblico è teso e attento, ha paura di lasciarsi andare – fatta eccezione dei ragazzi rapper che conquistano l’applauso del teatro – ma poi, alla fine, l’abbraccio è potente e grato. «Avevo paura di questo teatro – confessa alla fine il regista trentunenne -, ma alla termine il Ponchielli ha risposto in una maniera inaspettata e calorosa, rapper in platea compresi». E attendere nel foyer gli spettatori è il monoblocco di immagini e scritte Wich Love realizzato dai ragazzi dell’artistico Stradivari, un pezzo di street art fuori contesto, un modo per raccontare l’inatteso che vive nell’arte, proprio come è accaduto con Cirano deve morire. E poi nella società dei memorabilia e del con-sum(o) che è: sono con c’è alla fine la possibilità di acquistare a offerta libera i disegni degli studenti dell’artistico, per portarsi a casa un pezzo d’amore.
Nicola Arrigoni