di Edward Albee
regia Antonio Latella
traduzione Monica Capuani
dramaturg Linda Dalisi
con Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Ludovico Fededegni, Paola Giannini
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
assistente al progetto artistico Brunella Giolivo
produzione Teatro Stabile dell’Umbria – con il contributo speciale della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli
teatro Comunale, Bolzano, 26,27,28,29 gennaio 2023
Teatro Gobetti, Torino dal 10 gennaio al 5 febbraio 2023
Le nevrosi del profondo, quelle che un po’ ci riguardano tutti anche se con dosi diverse, forse, eruttano completamente in una sola notte nei due protagonisti di “Chi ha paura di Virginia Woolf” di Edward Albee, autore sempre troppo poco rappresentato nel nostro Paese. Martha e George sono alle prese con i loro distacchi terribili, i sentimenti, quelli di distruzione però, apparentemente sopiti nel tempo che invece riaffiorano, come esplosivo. E a farne le spese non solo certo solo loro due, che probabilmente in un’ipotetico seguito della commedia sarebbero pronti a ricominciare a versarsi addosso malesseri e antipatia, frustrazioni, ma anche una coppia di giovani sposi dello stesso ambiente, malcapitati nel dopo-festa per “il bicchiere della staffa” a casa dei due coniugi. Già all’inizio, i primissimi momenti vanno a spiegare il clima che in quella stanza aleggia, rivestita da un tendaggio che pare rassicurante, verde, come fosse lì a far da paracolpi a tutto quello che succederà, con una nervosa Martha con parrucca nera, che poi si leverà. Doppia anima e doppio corpo, intenta a suonare con vigore ed eccitazione “Who’s Afraid of the Big Bad Wolf?”, richiamando nel finale invece del lupo la nota scrittrice americana, la Woolf appunto, con una forza possente, quasi posseduta dall’alcol, sul pianoforte che arreda centralmente il salone. Una scena, bellissima, che simbolicamente invita verso la giusta direzione del testo. Dove, sul resto, si trova una poltrona, delle statue di gatto, un mobile-dispensa, poca roba che contrasta con l’elettrizzante confronto-scontro che si innesca di lì a poco, protagonista il proprio tracollo vissuto e rivissuto. Ne fa le spese da subito il marito George, professore di storia che ha sposato la figlia del direttore del dipartimento, e questa cosa è seguita e perseguita con ineluttabilità dalla moglie. E non solo, visto l’arrivo della giovane coppia, Nick e Honey, lui imperturbabile biologo nella stessa scuola, e la leggera moglie, giovane stuzzichevole ma come si dice in certe zone d’italia, “senza sugo”. Ne vien fuori una baraonda, linguistica e pratica, di esistenza, ai quali i due più giovani non sono preparati ma mentre Nick attacca e si ripara, contrattacca e viene sedotto (da Martha, ovviamente) Honey rimane quasi immobile, non progredisce né reagisce. Più volte è stato usato il termine “gioco al massacro” e mai come in questa occasione è più esatto. Un turbinio incredibilmente forte, un uragano è quello che segue, con i quattro continuamente a confronto dove esce di tutto e dove si consuma quasi tutto. Una discesa negli inferi, con vittime e carnefici, con annessi e connessi, pistole che esplodono colpi, confessioni, crisi isteriche, approcci sessuali più o meno accettati, in un crescendo spaventoso, tormentatissimo nelle teste di Martha e George, una vera ecatombe. Con dei momenti memorabili, come detto quello dell’inizio, quando Martha suona il piano, quelli impettiti e allusori di George e del suo incedere, quello di Nick, anche lui al pianoforte, in una lunga performance verso il finale di grande, estremo impatto. Il testo al termine delle quasi tre ore è sviscerato, pieno di fango e pantano dal quale bisogna solo uscire. La resa finale è vicina, lentamente scende l’inebriante nottata, ormai siamo al mattino presto, forse entra la ponderazione in ognuno. La regia di Antonio Latella è frizzante, rispettosissima del testo, bella piena, dove si muovono con eccezionale bravura Sonia Bergamasco, che personalmente da anni ritengo la miglior attrice che abbiamo, l’ottimo Vinicio Marchioni, che qui è perfetto, senza un attimo di distaccamento, e i due giovani Paola Giannini e Ludovico Fededegni, che nelle loro difficili parti segnano l’attore, l’attrice che è in loro, senza dar aditi a dubbi. Decisamente uno spettacolo grandioso.
Francesco Bettin