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COMME TU ME VEUX (COME TU MI VUOI) - regia Stéphane Braunschweig

"Comme tu me veux", regia Stéphane Braunschweig. Foto Simon Gosselin "Comme tu me veux", regia Stéphane Braunschweig. Foto Simon Gosselin

di Luigi Pirandello

con Sharif Andoura, Jean-Baptiste Anoumon, Cécile Coustillac, Claude Duparfait, Alain Libolt,
Annie Mercier, Thierry Paret, Pierric Plathier, Lamya Regragui Muzio, Chloé Réjon

regia e scene Stéphane Braunschweig

collaborazione artistica Anne-Frangoise Benhamou

collaborazione alla scenografia Alexandre de Dardel

costumi Thibault Vancraenenbroeck

luci Marion Hewlett

suono Xavier Jacquot

video Maia Fastinger

archivio video Catherine Jivora

trucco e parrucco Karine Guillem Michalski

assistente alla regia Clémentine Vignais
Odéon – Théàtre de l’Europe
Spettacolo in lingua francese con soprattitoli in italiano
Torino, Teatro Carignano TST - 29 Maggio 2022

www.Sipario.it, 30 maggio 2022

Due mondi contrapposti in questa pièce: la Berlino degli anni Venti, notturna, avanguardista, rifugio di scrittori in crisi, giovani artisti e debosciati, eterosessuali e omosessuali, tutti in cerca o in fuga da sé stessi; dall’altra parte, la provincia borghese e conformista del nord-est italiano, delle ville ricostruite in fretta e furia dopo la disfatta di Caporetto sull’onda dell’entusiasmo fascista. In modi diversi entrambi cercano di nascondere le ferite e le ossessioni della grande guerra, la prima annegandole nella trasgressione e nella proliferazione di teatri, teatrini e cabaret, la seconda negli squallidi interessi economici e nella subdola e meschina morale dei rapporti familiari all’interno delle ville patrizie.
I temi sono quelli di Pirandello (il labirinto delle molteplici identità e la verità che per ciascuno è diversa) e, se ci si ferma alla trama, sono evidenti le analogie con Così è (se vi pare). Chi è l’Ignota? Per lo scrittore berlinese Salter è Elma, la ballerina di un locale notturno di cui si è invaghito e per la quale ha abbandonato la moglie; per Bruno Pieri è la moglie scomparsa dieci anni prima durante l’occupazione delle truppe austroungariche; in quanto a lei, si definisce “un corpo senza nome”. Eppure in questo testo, scritto per Marta Abba a Berlino nel 1929 dove il drammaturgo si era ritirato deluso dal fatto che Mussolini non sostenesse la sua Compagnia, c’è qualcosa di più. Il contesto storico, caratterizzato dai nascenti nazismo e fascismo, non funge soltanto da sfondo ma si inserisce nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi, assegnando loro una certa scabrosità, per la quale l’autore provava di certo fascinazione e repulsione allo stesso tempo. E nella messa in scena questo contesto viene restituito attraverso la proiezione sul fondale di immagini tratte dagli archivi storici: ovazioni al duce, ma anche scene di guerra, macerie e distruzioni riconducibili al primo conflitto mondiale, che in questi giorni – ahimè - risuonano drammaticamente attuali. La traduzione del testo, a opera dello stesso regista Stéphane Braunschweig (direttore dell’Odéon-Théâtre del’Europe), resta fedele all’originale, così com’è chiara l’intenzione di non sottrarre centralità ai personaggi e alla parola, attraverso una scenografia eccessivamente realistica e ingombrante. “Il teatro di Pirandello ha bisogno di una certa leggerezza scenografica per non schiacciare l’universo che portano con sé i personaggi”, dichiara lo stesso regista. Il palco è quasi vuoto, fatta eccezione per una poltrona sulla sinistra e uno scrittoio, che appare sul fondo alla fine della prima parte, e tre divani sui tre lati della scena, nella seconda parte. Al centro - e questa è l’intuizione che porta con sé la firma del regista – un grande buco, ricoperto e chiuso da una lastra di vetro, da cui emerge l’Ignota. È il buco del passato, segnato da violenze e stupri, un passato che si cerca di nascondere ma poi riemerge, è il buco della guerra, delle bombe, della storia. Tutta l’azione si svolge attorno a questo grande buco.
La pazzia, altro tema caro a Pirandello, non poteva mancare. La si ritrova nel personaggio della Demente, recuperata in un manicomio viennese da Salter, mosso dal rancore e dal desiderio forse di vendetta, ma che potrebbe essere davvero la povera moglie di Bruno, sopravvissuta - se così si può dire – alle vessazioni e alla violenza dei soldati. Una vicenda, questa, che fu ispirata a Pirandello da un fatto di cronaca molto sentito dai lettori di giornali del tempo e nota come lo strano caso dello smemorato di Collegno, ospite amnèsico di un manicomio piemontese.
L’ignota incarna uno dei tanti personaggi femminili pirandelliani, ambivalente, apparentemente emancipata e spregiudicata, ma nell’intimo fragile, insicura, alla ricerca disperata di un’antica purezza e di un riscatto morale, disposta ad accettare passivamente tutto ciò che altri scelgono per lei, nella misura in cui non vuole essere “niente per sé”.
Intensa e convincente l’interpretazione di Chloé Réjon nel ruolo dell’Ignota. Molta cura e qualità nella recitazione da parte dell’intera compagnia. E che dire della bravura di Annie Mercier, che qui interpreta Lena? Per la voce profonda, la fisicità e la grande espressività, mi ha ricordato la grande Simone Signoret.

Francesca Maria Rizzotti

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Giugno 2022 11:09

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