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CUÒ-RE. SOSTANTIVO MASCHILE - regia Alvia Reale



"Cuò-Re. Sostantivo maschile - Ovvero quanto della nostra vita è una performance?", regia  Alvia Reale

 "Cuò-Re. Sostantivo maschile - Ovvero quanto della nostra vita è una performance?", regia Alvia Reale



Ovvero quanto della nostra vita è una performance?
di Angela Di Maso
con Daniela Giovanetti e Alvia Reale


Drammaturgia Angela di Maso 
dalla Storia di Alvia e Daniela 


Regia Alvia Reale


Spazio scenico, luci, immagini Francesco Calcagnini


Costumi Sandra Cardini


Assistente alla regia Ilaria Iuozzo


Assistente costumi Thiago Marcondes
Stagione 2021/2022
Teatro Basilica di Roma 12 ottobre 2021

www.Sipario.it, 13 ottobre 2021

Uno dei testi capitali, tutt’ora non compreso, è La società dello spettacolo di Guy Debord. Vi si teorizzava una situazione oggi diffusa ai limiti del fastidio: la spettacolarizzazione della comune vita quotidiana. Ogni gesto, ogni azione, ogni sentimento: tutto messo su un palcoscenico, sottoposto a sguardi curiosi privi di ogni interesse intellettuale. Debord tratteggiò le conseguenze di questa tendenza: una società aberrante, banale, priva di orizzonte. Sulla scia di questa riflessione, s’innesta lo spettacolo di Angela Di Maso, Cuò-Re. Sostantivo maschile - Ovvero quanto della nostra vita è una performance?, in scena al teatro Basilica di Roma.
Un palco spoglio. Sullo sfondo uno specchio che permette alle due interpreti – Daniela Giovanetti e Alvia Reale – di vedere riflessa la loro immagine e anche, ci si immagina, di andare al di là della semplice apparenza.
Ad inizio di spettacolo, le due attrici entrano guadagnando il centro della scena. Poi prendono a recitare. Cosa? Non propriamente personaggi dotati di una psicologia e di un vissuto. Ma situazioni che hanno a che fare col mondo del teatro per poi, pian piano, arrivare alla vita di tutti i giorni: quella fuori dal palcoscenico. La cosiddetta esistenza reale, come dai più definita. Ma proprio qui scatta l’originalità di questo spettacolo.
Perché le situazioni quotidiane, costellate di perdite, complessi, abbandoni, dolori, speranze sono interpretate dalle attrici in un modo che è al confine fra la caricatura e la verità. Ciò che, presumibilmente, dovrebbe essere reale, diviene così feticcio. Non si capisce più tanto bene se ci si trova di fronte a una verosimiglianza – principio aristotelico sul quale ruota l’arte teatrale – o un simulacro, che ha parvenza di concretezza e invece è solo un fantasma.
I provini sostenuti da un’aspirante attrice e una ballerina con le conseguenti delusioni; la perdita di una madre con la quale la figlia non ha mai avuto rapporti e confidenze; un amore vissuto in modo malato, sadico e urtante; un padre amato dalla figlia ma che ha un segreto inconfessabile e che viene da lei scoperto; animali abbandonati dai loro padroni: tutto questo cos’è, una volta offerto in pasto alla rete, condiviso a più non posso? È ancora teatro? No, è la risposta. È una banale finestra che nulla ci racconta, niente ci fa conoscere.
Molto brave le due interpreti. Sia Daniela Giovanetti che Alvia Reale hanno mostrato grande ironia nelle situazioni via via inscenate. Trattando con leggerezza i vari spaccati di vita quotidiana, ne hanno mostrato la banalità, l’inconsistenza. Così facendo, hanno saputo suscitare divertimento fra il pubblico.
Delle attrici, ha colpito particolarmente la maestria nell’orchestrare la ritmica nelle battute, interpretate con un eloquio rotondo, ben temperato. Il tutto in un tempo serrato, così raggiungendo un buon equilibrio fra lentezza e rapidità.
Caratteristiche che, insieme sommate, fanno di questa pièce lo spettacolo simbolo della società prevista da Debord.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Giovedì, 14 Ottobre 2021 03:35

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