di Vitaliano Brancati
riduzione teatrale a cura di Antonia Brancati e Simona celi
regia di Giancarlo Sepe
con Andrea Giordana, Giancarlo Zanetti, Michele De Marchi, Elena Callegari
Simona Celi, Natale Russo, Giorgia Visani, Alessandro Romano, Luchino Giordana
scene e costumi di Carlo De Marino, luci di Franco Ferrari, musiche di Harmonia Team
produzione Lux T srl
visto al teatro Bellini di Casalbuttano (Cremona), il 15 febbraio 2014
Il bell'Antonio di Vitaliano Brancati – nella messinscena firmata dal regista Giancarlo Sepe – propone un fare teatro di trent'anni fa, mette insieme il recitar narrando alle suggestioni di un'elaborazione scenico/registica di elegante impatti visivo. Giancarlo Sepe è regista con stile cinematografico, che si inventa situazioni sceniche spesso minimali, contraddistinte da marcati chiaroscuri e da un uso dello spazio simbolico. In fondo è quello che accade anche per Il bell'Antonio di Vitaliano Brancati, metafora sessual machista dell'Italia fascista. Tutto scaturisce dal rientro di Antonio Magnano (Luchino Giordana) da Roma, bello e impossibile, di lui si racconta che abbia sedotto perfino la contessa Ciano. Il padre Alfio (Andrea Giordana) va fiero del figlio, orgogliosa prosecuzione della potenza virile della famiglia Magnano. In realtà il rientro di Antonio è segno di sconfitta e non ci vuole molto per capire che il ragazzo nasconde un segreto. Il matrimonio con Barbara Puglisi (Giorgia Visani), giovane e algida rampolla della Catania aristocratica, fa emergere il non detto. Il matrimonio non consumato e il suo annullamento alzano il velo sul bell'Antonio tanto affascinante e seduttivo quanto impotente. Antonio confessa la sua impotenza allo zio Ermenegildo, una sorta di filosofo un po' misantropo (Giancarlo Zanetti) che ascolta ma non condivide. La tragedia è innescata e l'onore al maschile della famiglia Magnano definitivamente perduto, ha il suo apice simbolico con la morte – enigmatica e grottesca – di Alfio sotto le macerie di un bordello. Giancarlo Sepe costruisce la confessione del bell'Antonio come un emergere di voci e forme dal buio. Le luci di taglio e l'assolutezza della scena nera costruiscono lo spettacolo come una serie di frammenti visivi. A dominare è un clima funereo, reso dall'obelisco/catafalco al centro della scena che fa da metronomo per un'inesorabile discesa verso l'abisso. Ad essere rappresentata non è solo la crisi della virilità e potenza della famiglia Magnano ma anche la decadenza dello stesso regime fascista. A dare movimento alla scena e all'azione è una tenda che gira e accompagna, travolge, cancella di volta in volta arredi e personaggi in una sorta di procedere inesorabile. In tutto questo la recitazione di Andrea Giordana col figlio Luchino orgoglioso della propria bellezza, Giancarlo Zanetti e dei comprimari si impone con regolare e prevedibile fare descrittivo. Tutto è posto con la chiarezza di una mise en éspace, ci sono le necessarie e un po' ingenue caratterizzazioni, ci sono i gesti dell'accademia, c'è il portare la voce con retorica eleganza, fra forzature un po' macchiettistiche e gusto del ben dire. Insomma un teatro d'altri tempi che assomiglia un po' al libretto di sala dalla carta patinata, col testo in bell'evidenza e le foto lucide della messinscena...
Nicola Arrigoni