Stampa questa pagina

BORIS GODUNOV - regia Alex Ollè

Boris Godunov Boris Godunov Regia Alex Ollè

regia e direzione artistica: Alex Ollè
drammaturgia: Alex Ollè, David Plana
testi: David Plana
La Fura dels Baus
Bolzano, Teatro Comunale, 29 e 30 maggio 2008
Benevento, Teatro Massimo, 6 e 7 settembre 2008

www.Sipario.it, 25 marzo 2009
Il Manifesto, 14 settembre 2008
Il Mattino, 8 settembre 2008
La Stampa, 29 giugno 2008
Avvenire, 1 giugno 2008

Il teatro può raccontare la cronaca e trasformare fatti recenti in una parabola che spinge pubblico e interpreti a riflettere sulla natura ambigua del potere. Sembra essere questa la scommessa che lancia la Fura del Baus, celebre gruppo catalano abituato a choccare gli spettatori con allestimenti fuori dall’usuale, nella messinscena di Boris Godunov. Il riferimento va alla celebre tragedia storica di Puskin, dedicata alla figura di Boris Godunov, zar acclamato a furor di popolo, ma soprattutto metafora del potere, visto nella sua degenerazione. La Fura del Baus intreccia, grazie al disegno drammaturgico di David Plana, il testo di Puskin con la rievocazione dell’attacco al teatro Dubrovka di Mosca nel 2002, ad opera di terroristi ceceni. Il pubblico assiste ‘inconsapevole’ alla messinscena del Boris Godunov quando improvvisamente irrompono i terroristi. Il pubblico si trova così ad essere spettatore, ma anche attore/ostaggio di una storia che La Fura del Baus evoca, documenta con l’intreccio di linguaggi. Nei primi venti minuti qualche brivido core lungo la schiena, non capita tutti i giorni di trovarsi puntato un kalashnikov in faccia, non capita tutti i giorni di sentirsi minacciati e magari di trovarsi a fianco di poltrona un attore/terrorista con una cintura carica di esplosivo. La drammaturgia di David Plana e la regia di Alex Ollé intrecciano la vicenda del Boris Godunov al racconto in presa diretta dell’assalto al teatro con le testimonianze raccolte dal drammaturgo e tradotte in una sorta di ‘docu-drama’. Gli spettatori/ostaggi assistono ai litigi fra i terroristi, su un megaschermo vedono in presa diretta quello che accade fuori dal teatro, contributi filmati raccontano dell’inerzia delle autorità, ma anche i sogni di potere e le disillusioni di quegli uomini e donne incappucciate che cercano una dignità politica per il loro paese e finiscono per adottare la medesima prospettiva della forza che imputano ai loro avversari. Al di là della vicenda, al di là dell’intreccio fra cronaca e testo tragico di Puskin, Boris Godunov della Fura del Baus prima di essere uno spettacolo è un’esperienza che coinvolge da vicino il pubblico, lo rende a suo modo protagonista e un po’ di angoscia la regala, fino a quando il meccanismo di alternanza fra testo di Puskin e docu-drama non si fa evidente e un po’ ripetitivo. Dopo la Metemorfosi di Kafka, con Boris Godunov La Fura del Baus conferma la volontà di ‘lasciare’ momentaneamente gli spazi urbani per concentrare le proprie produzioni sullo spazio teatrale, rompendolo, usandolo tutto, amplificandolo con riprese video, come accade appunto nel Boris Godunov. L’effetto se non spiazzante è comunque coinvolgente, la drammaturgia di David Plana media con intelligenza e qualche trucchetto la pièce di Puskin e i materiali cronachistici dell’assalto ceceno al teatro di Mosca. Gli attori: Petro Guitérrez, Sara Rosa Losilla, Pep Miras, Juan Olivares, Cesca Pinòn, Albert Prat, Oscar Rabadan, Manel Sans assolvono con correttezza alle metamorfosi chieste dall’alternarsi fra tragesia puskiniana e l’assedio terroristico, raccontando le diverse prospettive della vicenda, quella dei terroristi con le loro storie di dolore e voglia di riscatto, i timori degli spettatori e degli attori del Boris presi in ostaggio. La forza del Boris Godunov de La Fura del Baus sta tutta nell’intreccio dei linguaggi: teatro e riprese video, sta nell’ampollosità barocca del racconto che nel suo ripetersi e procedere per accumulo di elementi narrati e narranti finisce col coinvolgere il pubblico, dopo averlo spaventato con l’irruzione iniziale dei terroristi in platea. Insomma in tempi di dodu-film, in tempi in cui la realtà così com’è vorrebbe irrompere prepotentemente nello spazio chiuso e ‘artificiale’ della finzione spettacolare, La Fura del Baus mette a frutto quella che è più di un’esigenza, è una necessità: far sì che gli episodi della cronaca recente – tanto incredibili da sembrare orchestrati da un abile regista cinematografico votato alle catastrofi – siano riproposti nello spazio del teatro, resi paradigmatici per poter divenire spunto di riflessione su temi non legati al contingente. La Fura del Baus con Boris Godunov cerca di riflettere sul potere e sull’ambiguità del suo esercizio e lo fa in maniera politicamente corretta, spostando la riflessione sull’assunto: il potere è in mano a chi ha le armi ed esercita la violenza… Forse un po’ semplicistico, ma comunque efficace.

Nicola Arrigoni

L'artificio reale del terrorismo
«Boris Godunov» della Fura dels Baus. Una rilettura che guarda ai fatti della Dubrovka di Mosca come paradosso della democrazia

BENEVENTO

L'episodio della Dubrovka di Mosca, nel 2002, ha lasciato un segno profondo nella storia ma in particolare nel cuore del teatro in tutto il mondo. Per l'effetto moltiplicatore di una «andata in scena» in cui la realtà ha superato l'invenzione teatrale e tutti i suoi artifici. Quasi più ancora che per la radicalità crudele e letale dell'intervento dello stato russo che fece morire molti spettatori assieme ai terroristi con i gas venefici (dall'antidoto segreto o sconosciuto). Anzi, in questo senso, il successivo massacro di trecento bambini nella scuola di Beslan, ha segnato un apice sanguinario possibilmente maggiore. E nonostante tanto sfoggio di muscoli da parte del Cremlino nei confronti dei «terroristi ceceni», politicamente non ha sortito grandi effetti, come dimostra la crisi oggi in corso nel Caucaso. Insomma quello che è avvenuto sei anni fa a Mosca, spingendo all'iperrealismo quella rappresentazione del mondo che del teatro è fondamento, doveva prima o poi trovare spazio e attenzione sul palcoscenico. L'unico a raccogliere la sfida, a qualche anno dal massacro in platea, è stato il gruppo catalano della Fura dels Baus, con uno spettacolo che con intelligenza e coraggio Enzo Moscato ha invitato nei giorni corsi a inaugurare la nuova edizione di Benevento città spettacolo di cui è direttore (per altro già confermato per il prossimo anno). Gli spettatori sventurati del teatro moscovita erano andati ad assistere a un musical, Nord Ost . La Fura trasforma quella fatale rappresentazione in una occasione di rilettura di un classico della letteratura teatrale europea, Boris Godunov di Puskin (durante la stagione girerà altre città italiane). Perché è questo il testo che si immagina andare in scena, di cui si vedono alcuni frammenti all'inizio, e che dà il titolo all'intera serata. Del resto, anche se la rilettura del Boris in abiti novecenteschi allude chiaramente agli anni dello stalinismo, non vi è in tutta la serata un solo riferimento esplicito alla Russia di Putin o alle richieste della Cecenia. Ma tutto è così trasparente da non averne quasi bisogno. Anzi, pensando oggi alla Georgia o a certi ricorrenti cicli sudamericani, sono tante le situazioni cui lo spettacolo della Fura potrebbe riferirsi. La democrazia come optional, e il ricorso e le strettoie della lotta armata mostrano contraddizioni che paiono eterne ed universali, quanto immutabili, se non nella crescita di violenza. Comunque sia, il gruppo catalano dispiega tutta la propria potenza tecnologica, nella quale si è andata trasformando l'antica aggressività a base di lanci di liquidi colorati, di polli e di frattaglie addosso agli spettatori (oggi solo una spettatrice viene «sequestrata» nel pubblico degli ostaggi e avviata fuori della sala). In quella sorta di Cremlino tecnologico, va in scena la legittimità del potere supremo, con l'ascesa dell'usurpatore e la sua successiva crisi. Ma ben presto la sala è occupata militarmente dai «terroristi», i cui rapporti, di forza e di debolezza, di motivazione e di illusione, sono il vero tessuto narrativo della serata. Ci sono i leader e i capetti che profittano del loro ruolo; le donne che hanno scelto di farsi saltare in aria per desiderio di vendetta o per desiderio d'utopia, e ci sono i loro dubbi, le paure, la sincerità agghiacciante. Senza cadere nella tentazione del reality , sempre in agguato per quanto di un inusitato tipo militare, la Fura sceglie in qualche modo la via pedagogica, mentre centinaia di metri di cavi e micce vengono stesi e fissati lungo la sala, cinturoni di dinamite vengono indossati e smessi, i passamontagna calati e sollevati. È evidente agli attori e ai loro due registi e drammaturghi Alex Ollè e David Plana, la vistosità del loro artificio, ma questo non impedisce loro di farci entrare con le armi della passione e della sincerità (più ancora di bombe e kalashnikov che disinvoltamente si palleggiano) dentro un problema vero: la paura del terrorismo, il richiamo della «sicurezza» (che sappiamo può far vincere le più improbabili sfide elettorali), la loro rappresentazione e amplificazione mediatica. Boris Godunov secondo la Fura cattura il pubblico perfino quando fa sorridere, e per una sera quasi costringe a confrontarsi con un tema raramente approfondito. Almeno in prima persona, come è successo forzatamente ai colleghi/spettatori della Dubrovka nel 2002. Intanto Città spettacolo prosegue con diversi appuntamenti di interesse. Giorgio Barberio Corsetti ha appena presentato il suo nuovo spettacolo Tra la terra e il cielo (a Roma a novembre), e ci sono molte presenze intriganti, da Marina Confalone a Santagata/Graziosi , che sembrano rispecchiare la ricchezza di interessi del direttore Enzo Moscato (appena riconfermato anche per l'anno prossimo).

Gianfranco Capitta

Attori-terroristi e il teatro come incubo

Benevento.
Tramestìo all'esterno. Spari. E simultaneamente la donna che siede nella poltrona davanti alla mia schizza in piedi, si cala sulla faccia un passamontagna e, voltandosi fulminea, mi punta una pistola alla fronte. È un'attrice della Fura dels Baus, che ha aperto la 29esima edizione di «Benevento Città Spettacolo», diretta da Enzo Moscato, presentando al Massimo - col titolo «Boris Godunov» - una ricostruzione del dramma che si consumò nel teatro Dubrovka di Mosca fra il 23 e il 26 ottobre 2002: quando il sequestro di 850 spettatori da parte di 40 militanti armati ceceni si concluse con il blitz delle «teste di cuoio» russe ordinato da Putin e la morte di 39 fra i sequestratori e 129 fra i sequestrati. Nella realtà, gli spettatori del Dubrovka stavano assistendo al musical «Nord-Ost». Nello spettacolo della celebre compagnia catalana, invece, quelli del Massimo assistevano alla tragedia di Puskin di cui nel titolo. E l'invenzione, senza dubbio eccellente, attiene non solo all'espediente del «teatro nel teatro», ma anche e soprattutto al fatto che, di conseguenza, «Boris Godunov» diventa un «doppio» speculare dell'episodio di terrorismo rievocato. Sicché la battuta-chiave che nel decimo dei suoi 23 quadri Puskin mette in bocca a Boris - la minaccia a Sujskij di comminargli «un'orrenda punizione, tanto / che lo stesso zar Ivan Vasil'ic / si rivolterà nella tomba dall'orrore» - qui, seppure non pronunciata, si traduce perfettamente nella dichiarazione posta in epigrafe alle note di regia: «Il terrore è il modo in cui, in alcuni casi, rispondiamo al terrore». Infatti, lo sappiamo, Boris Godunov era un usurpatore che aveva fatto trucidare lo zarevic Dimitrij e che, a sua volta, sarà scalzato da un altro usurpatore, il monaco Grigorij fattosi passare per Dimitrij redivivo. E appunto non a caso, allora, Àlex Ollé e David Plana, che firmano insieme la regia e la drammaturgia, a un certo punto del loro allestimento - giocato tra corpi e immagini filmiche - ci propongono un Godunov che, nell'arringare la folla dopo aver conquistato il trono, parla e gesticola esattamente come il Mussolini che tonitruava dal balcone di Palazzo Venezia contro il potere corrotto che, a suo dire, lui aveva sconfitto e sostituito con il regno immacolato della giustizia e del progresso. La parte più interessante del testo originale, composto dallo stesso Plana, riguarda le ipotesi circa il «privato» dei militanti armati ceceni. E a questa parte, considerata sotto specie di metafora, s'è riferito Enzo Moscato quando ha affidato a Giuseppe Affinito junior il brevissimo prologo allo spettacolo che segue: «Lo straniero è arrivato. È qui. In mezzo a noi, in mezzo a voi. Lo aspettavamo, forse. O forse no, nessuno lo voleva. Ma adesso è qui. Possiamo rispondergli, oppure stare zitti. Quel che è certo è che lui ci parlerà. Ascoltiamolo. A capirlo penseremo poi». La tensione era cresciuta soprattutto nei momenti in cui - al di là dell'andamento da fiction della rappresentazione - gli spettatori non riuscivano a distinguere, fra loro, i bravissimi attori della Fura dels Baus mimetizzati. E al termine, uscendo dal Dubrovka-Massimo, qualcuno ha parlato dello spettacolo come di un «incubo». Così, Moscato ha subito messo a segno un buon colpo. Perché quel commento suggerisce d'acchito una sacrosanta parafrasi della massima evangelica: «oportet ut incubi eveniant» (è bene che vengano gl'incubi) nell'atmosfera soporifera che oggi ci tocca (nel teatro e, purtroppo, non solo nel teatro).

Enrico Fiore

Fura, così il terrore diventa grande teatro

Non si può mai stare tranquilli con la Fura dels Baus. La compagnia catalana ha portato ad Asti Teatro il suo Boris Godunov, ispirato all'atto terroristico del 2002, allorché un gruppo ceceno irruppe nel teatro Dubrovka di Mosca e prese in ostaggio gli spettatori del musical Nord-Ovest. Sappiamo come finì. Nel tentativo di liberare gli ostaggi, i russi fecero una strage di sequestrati e sequestratori. Che l'episodio sia accaduto in un teatro deve avere agito sulla Fura come una miccia. Più che fare cronaca (non sarebbe nel suo Dna), ha preferito entrare nell'intreccio di paura e violenza, sfruttando la carta (potente come un asso) del teatro nel teatro.

Ed ecco, mentre si rappresenta il Boris Godunov di Puskin, mentre si recita la presa di potere di un pazzo maniaco, ecco in sala una raffica di kalashnikov. Comincia un'altra avventura di sopraffazione. I terroristi piazzano cariche esplosive, puntano i mitra sugli spettatori, si organizzano per sostenere un assedio che durerà tre giorni. Con largo ricorso ai filmati e alle riprese televisive, vediamo quel che accade in vari punti della platea e fuori, nel foyer, dove i terroristi corrono, strisciano, occupano ànditi e scale; e vediamo il potere russo che discute con molto cinismo sul da farsi.

Tre giorni di minacce. Tre giorni in cui esplodono i contrasti all'interno dei sequestratori. Tre giorni scanditi dalla vicenda del Boris, cui la Fura attribuisce un valore esemplare, poiché mostra come il linguaggio della violenza sia più forte della ragione. Ma forse è qui, nel continuo rinvio a Puskin, il punto critico di uno spettacolo che si esalta invece nella fisicità, nel contagio epidermico della paura, nella minaccia iperrealistica di una imminente catastrofe.

Osvaldo Guerrieri

Teatro e realtà, tornano in sala i terroristi ceceni

Scariche continue di adrenalina, ingovernabile creatività, effetti galvanizzanti sul pubblico. È il marchio di fabbrica, o almeno lo era (il tempo ha fatto addolcire molte cose), della Fura dels Baus, la ben nota compagnia catalana che questa estate torna ad essere una delle vedette di vari Festival nostrani: da Mantova ad Asti e poi tornerà su altre piazze nella prossima stagione. Protagonista con il suo ultimo e stimolante spettacolo Boris Godunov, che ha di recente debuttato in Spagna a Molina de Segura, di cui il Teatro Comunale di Bolzano si è assicurato la prima italiana.
Le prime raffiche di kalashnikov, finte naturalmente, davanti al pubblico altoatesino allarmato e curioso. Raffiche che metaforicamente rimandano a ben altre che una sera del 2002 vennero sparate all'interno del teatro Dubrovka di Mosca (come non ricordare?) davanti ad una platea che assisteva a un musical. Qui il musical è stato sostituito, et pour cause, da un grande classico russo, appunto Boris Godunov di Puskin. Sparate le raffiche da un gruppo di uomini armati, di ribelli ceceni, passamontagna calati sul volto, tute mimetiche e cinture esplosive (come anche gli attori) i quali presero d'assalto la sala e seminarono il panico. Ore, anzi tre giornate, terribili vissute dai presenti nell'angoscia e nel terrore che, dopo alterne trattative, sfociarono in un bagno di sangue. Tremendo episodio terroristico che lo spettacolo, firmato da David Plana e Alex Ollé, fa rivivere secondo gli schemi di quel che si potrebbe definire un reality theater.
Anche qui finti guerriglieri sparpagliati fra il pubblico a minacciarlo, a piazzare finti ordigni in punti strategici. Ancora, fuori dalla sala, sirene che urlano e all'interno un sistema di telecamere a circuito chiuso a proiettare su un megaschermo ciò che avviene di drammatico dietro le quinte o nelle adiacenze.
Sarebbe tuttavia riduttivo considerare lo spettacolo un semplice calco del terribile evento che suscitò nel mondo orrore e pietà. L'azione si apre e si chiude con la testimonianza di un sopravvissuto. II lavoro di Plana e Ollé (100 minuti circa di violenza artificiale e di grande teatro dove si stratificano molti registri espressivi che non sempre si fondono fra loro) non si limita o non vuole essere il semplice resoconto dei fatti. Gli autori e registi ampliano la visuale. Vanno al di là del mero documentarismo per mettere in campo questioni storiche del presente e del passato. Cercano di suscitare domande (e imperativi morali), magari poi lasciate in sospeso. Domande sulla violenza che agita il mondo, sulla libertà che non si dovrebbe conquistare attraverso le armi, sul potere che alla fine molto spesso è all'origine dei mali del mondo. Ed ecco anche perché si chiama in causa quel capolavoro pregno di istanze politiche che è Boris Godunov. Se ne recuperano brani; e proprio le sequenze dove si leva alta la voce di Puskin ci paiono i momenti più riusciti o, meglio, più efficaci della grandiosa avventura scenica. Di questo 'inedito' Boris Godunov che vuol parlare alle coscienze di oggi, anche se lo spettacolo pecca non poco di superficialità e vive di ridondanze non necessarie.

Domenico Rigotti

Ultima modifica il Venerdì, 09 Agosto 2013 08:41

Articoli correlati (da tag)

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.