testo, regia, interpretazione Elena Bucci
pianoforte Dimitri Sillato
cura del suono, registrazioni e live eletronics Raffaele Bassetti
inserti musicali Andrea Agostini
luci Loredana Oddone
lampade Claudio Balestracci
scene e costumi Nomadea e Marta Benni
assistente all'allestimento Nicoletta Fabbri
foto Piero Casadei
Milano, Spazio Teatro NO'HMA, dall' 8 al 9 marzo 2017
Elena Bucci, attrice pluripremiata, è insieme drammaturga, regista, e interprete sola di questo spettacolo andato in scena allo spazio NO'HMA, accogliente e attento alle nuove proposte teatrali contemporanee. Una piccola seggiola, in proscenio, è l'oggetto che, a sipario ancora chiuso, invita la protagonista a raccontarci e a introdurci nei suoi ricordi adolescenziali vissuti nella Romagna degli anni '70. Erano gli anni in cui l'edilizia industriale cominciava a espandersi e a nascondere, con i suoi alti palazzi, il sole estivo che abbagliava la riviera. Il sipario si apre: tavolini, bicchieri, bottiglie e una luce debole e colorata ci offrono l'immagine di un locale fumoso di provincia. C'è anche un pianista che completa la scena.
In quegli anni la Bucci, come racconta lei stessa, è in una stagione esistenziale in cui inizia a scoprire le "voci" che affollano la sua mente, "semi" della sua luminosa carriera di attrice. Proprio quelle voci sono le voci che l'attrice ci restituisce, interpretando diversi personaggi che hanno incrociato la sua vita. C'è la ragazza innamorata del bagnino muscoloso che a lei preferisce un'altra, c'è il giovanotto di provincia inaffidabile che se la gode dando "buca" a due spasimanti, c'è la cameriera stanca, ci sono poi il fallito che non riesce a tenersi un lavoro, un uomo dai chili in eccesso, la donna sensuale desiderata dagli avventori di un bar e soprattutto la Bucci che interpreta se stessa regalandoci i suoi sentimenti e le sue emozioni. Ci ripete spesso di sentirsi divisa tra tanti "io" che vogliono esprimersi ma che sono troppi per poterlo fare in una sola vita. Le sue parole sono un inno al sogno, alle infinite possibilità di vite fra cui possiamo scegliere e, su tutto, sono un inno alla libertà. L'invito è quello di rispettare le scelte esistenziali degli altri che potrebbero essere le nostre. Perché noi infondo siamo gli altri, o meglio, potremmo essere quello che sono gli altri. La narrazione procede lungo una drammaturgia accattivante, intervallata dalle note del pianoforte e dalle musiche di scena che spingono la protagonista a cantare e a ballare verso un finale in salire.
"Siamo troppi se guardiamo chi siamo" scriveva Fernando Pessoa in "Una sola moltitudine" e "Uno, nessuno e centomila" era il titolo di un classico pirandelliano. L'arte può risolvere questa abbondanza, aiutandoci a far vivere, nel circo Barnum della vita, tutti i personaggi, anche quelli più scomodi, che si affollano dentro di noi. È una cura. La Bucci ci fa arrivare questo messaggio servendosi di una tecnica recitativa raffinata che, ahimè come spesso può succedere, copre e non ci comunica, del tutto, l'emozione.
Andrea Pietrantoni