basato sul Mahābhārata
e lo spettacolo scritto da Jean-Claude Carrière
adattato e diretto da Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
musica Toshi Tsuchitori
luci Philippe Vialatte
costumi Oria Puppo
con Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O'Callaghan
musicista Toshi Tsuchitori
produzione C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord
in coproduzione con The Grotowski Institute; PARCO Co. Ltd / Tokyo; Les Théâtre de la Ville de Luxembourg; Young Vic Theatre; Singapore Repertory Theater; Théâtre de Liège; C.I.R.T. , Attiki Cultural Society and Cercle des Partenaires des Bouffes du Nord
sopratitoli adattamento e traduzione a cura di Luca Delgado
Firenze, Teatro della Pergola, 24-25 maggio 2016
Battlefield di Peter Brook emoziona la Pergola a distanza di trent'anni dal primo Mahabharata
Le Mahabharata di Peter Brook entra per la prima volta nella storia del teatro nel luglio del 1985, in una intensa versione francese di nove ore presentata al festival di Avignone e, nel settembre dello stesso anno, a Prato. Da allora lo straordinario regista britannico ha portato in scena, in teatro, nel grande e nel piccolo schermo diversi riadattamenti di quello che per l'India è, insieme al Rāmāyaṇa, uno dei più grandi poemi epici esistenti. A distanza di più di trent'anni dal suo capolavoro, Brook insieme a Maria-Hélène Estienne ha diretto un nuovo lavoro basato sul Mahābhārata hindū e sullo spettacolo scritto da Jean-Claude Carrière. Oltre all'evidente differenza di durata (1 ora e 10 minuti), Battlefield si concentra su un singolo evento, o meglio, sulle sue conseguenze nel corso del tempo: la battaglia di Kurukṣetra. La battaglia appena trascorsa, che ha visto la sconfitta dei fratelli Kaurava, i cento figli del re cieco Dhṛtarāṣṭra, porta con sé un fiume di sangue e morte che induce tutti alla disperazione. Non c'è salvezza, non c'è sollievo, neanche per l'esercito vittorioso che, durante la stessa notte, è vittima di una carneficina dalla quale si salveranno solo i cinque fratelli Pāṇḍava. Di fronte ai cadaveri e alle nuove rivelazioni, l'apparente vittoria si dimostra essere l'altra faccia della sconfitta. Dando per conosciuto l'odio che vigeva tra le due famiglie, da qui comincia il racconto di Battlefield. La guerra è finita, o meglio si è solo temporaneamente fermata, in attesa di scoppiare di nuovo e inevitabilmente. Il regno è nelle mani di Yudiṣṭhira il quale, di fronte alla distruzione a cui anche il suo stesso rancore ha condotto, vorrebbe rinunciare al suo incarico, ma viene convinto a portare un soffio di giustizia dentro i cuori di tutti quegli uomini pieni di dolore. La madre e lo zio Dhṛtarāṣṭra, un tempo re del governo vinto, dopo quindici anni decidono di pagare le proprie colpe ritirandosi nei boschi dove moriranno a seguito di un incendio. Ogni vicenda viene evocata dal racconto, un racconto circolare che permette, come una matrioska che pezzo dopo pezzo si svela agli occhi degli spettatori, di intrecciare contemporaneamente i diversi livelli della realtà. Senza interruzioni e attraverso un linguaggio di potente effetto lirico sebbene scarno ed essenziale, ogni narratore può passare dall'universo realistico a quello immaginario, può anticipare gli eventi o tornare indietro nel tempo. Ciò è possibile perché, nel vuoto della scena, tutto è lasciato all'arte del narrare una storia: il racconto, parola chiave dello spettacolo, diventa rito e risuona in tutta la sua potenza evocativa. Non manca l'ironia, nascosta dietro ai racconti allegorici o ai riferimenti attuali, che traduce il simbolo in messaggio e, ribaltando il significato stesso delle parole, dimostra l'inutilità della guerra, allora come oggi. Quattro attori di quattro nazionalità diverse in scena: Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba e Sean O'Callaghan, accompagnati dal tamburo giapponese di Toshi Tsuchitori, presagio funebre che, non a caso, apre e chiude lo spettacolo. Rompe il silenzio, suona con violenza e poi gradualmente si spegne.
Sara Bonci