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ARSENICO E VECCHI MERLETTI - regia Giancarlo Marinelli

"Arsenico e vecchi merletti", regia Giancarlo Marinelli "Arsenico e vecchi merletti", regia Giancarlo Marinelli

di Joseph Kesselring

con Ivana Monti, Paola Quattrini, Sergio Muniz

e

Andrea Cavatorta, Paolo Perinelli, Serena Marinelli, Peppe Bisogno, Francesco Maccarinelli, Paolo Lorimer. 
Ambientazione e Regia di Giancarlo Marinelli

Teatro Ghione di Roma dal 17 dicembre 2015 al 10 gennaio 2016 (adesso in tournée)

www.Sipario.it, 24 gennaio 2016

Nel suo plot narrativo, nella sua sostanza drammaturgica, anche questa estrosa, pimpante edizione di "Arsenico e vecchi merletti" di Joseph Kesserling cavalca la sua lunga onda di 'classico teatrale' espletabile su diversi registri di comicità, umorismo, macabra ironia, comunque dissimili dalla sapida, impeccabile, naturalistica edizione cinematografica del 1944, curata da Frank Capra e garante del successo quasi planetario di una vicenda stravagante ma non improbabile (peraltro ispirata, pare, ad un caso reale di cronaca giudiziaria).
Qui irrorata di quel particolare intingolo 'stravagante-noir' (di derivazione anglosassone), che fu cifra 'espressiva\evasiva' di tanto repertorio teatrale e hollywoodiano (Diamond, Hecht, McArthur, Wilder) mirante ad esorcizzare l'angoscia di un Paese in 'trasferta' di guerra europea.
Nel caso di Kesserling esorcizzata dalla demenziale, 'umanitaria' ragione sociale delle due distinte, insospettabili sorelle Abby e Marta Brewster (interpretate da Paola Quattrini e Ivana Monti, grandi outsider dello spettacolo in ogni sua espressione) che avvelenano ad ogni propizia evenzienza, mediante indolore pozione, gli uomini vecchi e soli che bussano al loro usbergo (una distinta pensione per irreprensibili clienti) sicure di esercitare una sperimentale, altruistica forma di eutanasia (da cui, pur nella celia, l'attualità tematica della commedia).
Peraltro, le due anziane 'benefattrici' sono espressione di un contesto parentale 'border line': demenziale, colorito, antenato non peregrino della Famiglia Adams: con un nonno "che ha fatto della morte un business", un nipote che crede di essere Roosevelt e un altro assassino inseguito dalla polizia. Cui tenta di porre argine (nel film, era il suadente Cary Grant) l'unico rampollo non alienato della combriccola: giornalista e frastornato critico teatrale com'è 'normale' che sia.
Reduce da una titubante traduzione scenica di "Doppio sogno" di Schnitzler, il regista Giancarlo Marinelli, risolve positivamente l'andamento della messinscena cimentandosi con un tipo d'ispirazione che tiene conto della distanza temporale intercorsa fra la stesura di Kesserling e l'universo surreale, svaporato, esplicitamente favolistico in cui è oggi inserita una materia scenica fatta, a suo modo anche di sogni. Aggiornati, in parte, al tradizionale humus delle fantasie disneyane (liddove cartoni animati e personaggi reali si intersecavano, genere "Pomi d'ottone..."), per altra a tutte le "Ladykillers", Mel Brooks, Tim Burton della 'fabula nera' a noi più vicina. Nel prevalere di una fantasy scenografica ove pupazzi umani, travestimenti zoofili, cuccume fumanti e gigantesche sono la dogana fra il mondo dei vivi e un viaggetto allo Stige: convulso, grottesco, allusivo di ben più serie crudeltà che non esitiamo ad immaginare. In ambito di rapporti umani, familiari e piccole cose di gusto sinistro. Mai in deficit.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Lunedì, 25 Gennaio 2016 00:15

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