Monologo teatrale con Fabio Manniti e il cane Totò
Autore: Samuel Krapp
Regia: Fabio Manniti
Polo Culturale Lombroso 16, Torino 7 giugno 2025
Uno spettacolo pensato per tutti coloro che subiscono ingiustizie, abusi e prevaricazioni: per gli emarginati, dalla Palestina alle valli del Canavese (Piemonte), fino al mezzogiorno d’Italia e d’Europa; perché, se esiste un tratto comune tra queste genti, è proprio l’essere vittime della dimenticanza e dell’indifferenza, prima che della violenza. A un intento nobilissimo si accompagna la possibilità di sorridere in L’armata degli handicappati, spettacolo interpretato da Fabio Manniti e dal suo cane Totò; scritto da Manniti stesso, con lo pseudonimo di Samuel Krapp. Manniti parte da un fatto storico (la prima rivolta antiunitaria dopo la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1862, a Castellammare del Golfo, a seguito della quale furono giustiziate sette persone, di cui cinque disabili), scegliendo di dare finalmente voce alle vittime. Protagonista della pièce è, dunque, un gruppo di individui affetti da disabilità e perciò confinati da un regime totalitario in un ospizio: lontani dagli affetti e dal luogo in cui sono nati, i Nostri decidono di tentare la fuga e da quel momento danno inizio a una serie di rocambolesche avventure. Nella folle corsa verso la vita e la libertà, inseguiti dai soldati del regime, gli evasi fanno parlare di sé, diventando delle celebrità in tutto il paese: vere e proprie icone della riscossa. Ma lo spettacolo di Manniti non ci sembra voler inventare dei nuovi eroi o fabbricarne i santini: senza retorica alcuna, l’autore restituisce la dignità dell’autodeterminazione a delle persone, protagoniste se non altro della propria esistenza (così dovrebbe essere). La forza di un desiderio, di infrangere le regole e andare contro il sistema, se questo significa uscire dal cono d’ombra, dal peso della colpa di essere “diversi e difettosi”. L’armata degli handicappati è uno spettacolo, come sottolineato nelle note di regia, pensato non solo per i teatri, ma per la strada, i bar, le locande, i parchi e i locali: per qualsiasi posto in cui ci si aggreghi, aprendo le menti e i cuori a storie di disagio di cui bisogna poter ridere per cambiare la prospettiva; con un pizzico di follia dissacrante. Con l’intento di rivalutare la dimensione locale dei piccoli territori e comuni, lo spettacolo è scritto in dialetto; non uno in particolare, ma più dialetti insieme, intesi come appartenenza sociale prima che geografica. Perché spesso, specie nella storia recente, il dialetto è la lingua degli ultimi. Giovanni Luca Montanino