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Ritrovarsi e al contempo perdersi in un sogno che è la storia di una famiglia burrascosa. Ritrovarsi perché la scrittura è alta e le situazioni paiano quotidiane, vicine, soprattutto a chi conosce le dinamiche della famiglie numerose. Però, nella velocità dei quadri, che addentellano l’attenzione tanto gli attori sono coesi a proiettarsi verso un obiettivo comune cioè l’efficacia dell’allestimento, può capitare di incantarsi di fronte a certi squarci di onirica astrattezza, con le scene che ruotano su cardini e le pareti di casa che si piegano alla forza degli attori, con la flemma, la misura, i sorrisi del personaggio della governante giovane e nativa americana, pendolo umano che riassesta i livori, ed è protagonista dell’incantevole quadro finale. Ma c’è anche da ridere in questa pièce statunitense che Dini aveva prima scoperto al cinema, nell’omonimo film recitato da Meryl Streep. La cui fonte era il testo teatrale di Tracy Letts, Premio Pulitzer. Filippo Dini è un regista che, come i grandi della regia italiana novecentesca, Giorgio Strehler e Massimo Castri, crede in un teatro popolare, che arrivi a tutti, quando possibile corale, realizzato con cura certosina, condiviso sul palco con i suoi attori. Qui sono dodici, incastonati nel medesimo disegno, con presenza ed icasticità equivalenti. Non una caduta, non una sbavatura, per una storia di ordinaria violenza domestica, di egoismi, rancori, di  insensatezze, nel vuoto di litigi che si autoalimentano, senza senso. E’ l’ultima produzione stagionale del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionali, che chiude in bellezza come aveva incominciato, con lo stesso regista genovese alle prese con Arthur Miller de Il crogiuolo. Due testi distanti oltre mezzo secolo (Agosto a Osage County ha debuttato in prima mondiale nel 2007, Il crogiuolo nel 1953), ma di affine intensità. Letts ha però di fronte un mondo desertificato di umanità sminuzzata, deflagrato nella globalizzazione individualista, e il risultato è questa ponderosa, piccola e sanguinaria guerra familiare. Da non mancare.   

Maura Sesia