di Sofocle
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Oscar De Summa, Monica Demuru, Monica Piseddu, Francesco Rotelli, Marcello Sambati,
costumi di Daniela Salernitano,
luci di Gianni Staropoli
fantoccio realizzato da Paola Tintinelli,
traduzione di Massimiliano Civica
assistente alla regia Elena Rosa
produzione Teatro Metastasio di Prato in collaborazione
con Manifatture Digitali Cinema Prato – Fondazione Sistema Toscana
all’Arena del Sole, Bologna, 16 gennaio 2020
«La tragedia è nel segno della complessità e del dubbio che porta alla compassione; il melodramma è nel segno della semplificazione e della certezza che rende soddisfatti di sé. La nostra è un’epoca melodrammatica. In politica, nella società, a teatro tutti chiedono e offrono certezze. Abbiamo bisogno di sapere di essere noi nel giusto e gli altri nel torto», scrive Massimiliano Civica nell’articolato programma di sala della sua Antigone di cui il regista ha curato la traduzione, in un lungo processo di elaborazione, durato due anni. Per Civica la tragedia in sé è anticontemporanea, perché «la tragedia mette in scena conflitti insanabili, che non si possono sciogliere, da cui non si può uscire con una certezza tranquillizzante». Ed è quanto accade in Antigone di cui il regista/traduttore offre una chiave di lettura potente, che toglie il fiato, che mostra come il tema non sia il contrasto fra leggi degli dei e legge dello Stato, ma piuttosto la consapevolezza che per governare la città ci sia bisogno di misura e non di anteporsi alla comunità.
Una panca sullo sfondo, un fantoccio alla ribalta: il corpo di Polinice in attesa di sepoltura e null’altro se non gli attori che incarnano le parole, che vivono le parole. Creonte (Oscar De Summa) è in divisa da capo brigata partigiana, Antigone (Monica Piseddu) e Ismene (Monica De Muru) vestono abiti eleganti di foggia anni quaranta, il corifeo (Michele Sambati) è in frak nero. Basta questo per trasportare l’azione alla fine della guerra civile italiana, il tempo in cui bisognò ricostruire la polis. Il corifeo si rivolge alla platea, ci chiama in causa, noi siamo la città, ci interpella, ci chiede di non essere indifferenti.
Spiazzante è l’ingresso del soldato di Francesco Rotelli che in romanesco aggiorna Creonte su quanto fa Antigone. Il suo racconto rappresenta il punto di vista del popolo, il sentire di pancia della gente. Tutto ciò dà una coloritura dialettale che traduce scenicamente l’intuizione, l’esperimento comico messo in atto nel testo da Sofocle. Massimiliano Civica nella sua Antigone non prende posizione, non parteggia né per Creonte, né per Antigone. Civica chiede di ascoltare le parole di Sofocle che dicono come l’uomo sia deinòs. Antigone e Creonte sono deinòs, sono una donna e un uomo meravigliosi, straordinari, con un’intelligenza che eccede la misura e proprio la loro eccezionalità può essere la loro rovina, può essere dannosa per gli altri se diventa certezza inscalfibile, arroganza, tracotanza. È questo l’invito di Sofocle ai suoi concittadini ateniesi: non oltrepassare il limite, non fare del proprio punto di vista, delle proprie convinzioni la misura assoluta delle cose. Il corpo di Polinice in proscenio è illuminato, ma quando i personaggi gli passano a fianco e stendono sul corpo la mano quella luce si spegne e si accende, tutti, indistintamente lo seppelliscono e lo disseppelliscono, noi tutti siamo complici e autori di quell’atto che può essere pietoso, ma anche irrispettoso della legge della città; spetta solo a Tiresia affermare che quel corpo va comunque seppellito. Antigone di Massimiliano Civica non ci dà risposte, non ci consola e anche quando alla fine, dopo la morte di Antigone, Creonte chiede di porre fine alla sua vita, il corifeo gli risponde – per voce della comunità -: «Dopo morirai. Quando sarà. Ora devi occuparti di noi. È compito tuo. Adesso puoi governare. Adesso devi governare». Ma dopo quell’investitura, il discorso di Creonte si spegne in un urlo che si strozza in gola che inquieta e scioglie la platea tesa e in ascolto in un applauso liberatorio.
Massimiliano Civica con Antigone si conferma un autore capace ogni volta di fare del teatro uno strumento per sollecitare domande e riflessione, nella consapevolezza che «La tragedia greca trasporta nel tempo del Mito situazioni desunte dall’attualità storico/politica, per superarle ‘andando più in alto’, svolgendo un discorso e ponendo un interrogativo sull’essenza stessa dell’Uomo». Per questo Antigone di Civica andrebbe vista e rivista, proposta come un invito a considerare il teatro palestra di domande e non di risposte, un invito al confronto dialettico. Ciò gioverebbe al teatro e anche alla potenzialità di un lavoro che ha bisogno di attori che trovino casa nelle parole e di parole che trovino respiro nei corpi degli attori. La crescita di un lavoro come Antigone si raggiunge solo agendo le parole. Dare ad Antigone di Civica la possibilità di viaggiare per i teatri vuol dire difendere la forza interrogante del teatro per non farne solo un oggetto di consumo e di svago.
Nicola Arrigoni