testo di Andrea Bajani
con Giuseppe Battiston e Gianmaria Testa
musiche di Gianmaria Testa, regia di Alfonso Santagata, produzione Fuorivia e Teatro Stabile di Torino,
tournée: 2 marzo cinema teatro Moderno, Bibo Valentia; 3 e 4 marzo teatro Diana, Nocera inferiore; 5 marzo Ssupercinema aurora, Chieti, dal 6 al 18 marzo Teatro Quirinetta, Roma; 19 marzo, teatro Alighieri, Ravenna; 20 marzo teatro comunale, Cormos (Gorizia), 23 – 24 marzo Teatro Due, Parma
visto a Crema, teatro San Domenico il 25 febbraio 2012
18mila giorni - il pitone di Andrea Bajani, il racconto dolente di un cinquantenne che ha perso il lavoro e la sua stessa identità, dove i 18mila giorni del titolo corrispondono proprio all'età anagrafica del protagonista, quei 50anni che segnano un confine, forse un punto di non ritorno se qualcosa si rompe, se il lavoro ti rifiuta Di questo narra 18mila giorni - il pitone, del dramma esistenziale di chi ha perso il lavoro e con esso la vita La moglie Tea e il figlio Tommaso l'hanno lasciato in una casa vuota con un grande mucchio di vestiti, una sedia sfondata e alcuni abiti ripiegati che un tempo stavano in armadi che non ci sono più. In mezzo a quegli abiti si aggira, anima in pena e arrabbiata, , un uomo sconfitto, corpo senza più voglia di combattere, tanti, troppi ricordi da tenere a bada e una solitudine che divora. Metafora e musica: la forza di raccontare e di essere di Giuseppe Battiston e le canzoni di Gianmaria Testa sono un tutt'uno, amalgamato con poetica essenzialità dalla regia di Alfonso Santagata. Il risultato è una prova d'attore che conferma la capacità di Giuseppe Battiston di essere vero, incisivo, credibile in ogni gesto, in ogni accento, in ogni movimento, anche quando il testo sembra avere detto tutto, aver svelato la metafora del 'mettiti nei miei panni', panni che sono lì senza corpi, fantasmi di una vita che se n'è andata, fantasmi fermati in quei vestiti che evocano presenze che non ci sono. Giusppe Battiston non usa una parola in più, non un gesto fuori registro per raccontare l'angoscia di un cinquantenne che non ha più il lavoro, che si ritrova fatto fuori dal pitone, quel giovane che lo affianca in ufficio ed è pronto a crescere fino a mangiarsi quell'uomo che si presenta nel giorno del suo licenziamento con lo stesso abito usato per il funerale del padre, quel funerale mancato per rincorrere la promozione, solo poco tempo prima di ricevere il ben servito. Frammenti di una quotidianità che è oggi più che mai e cronaca, ma che il testo di Andrea Bajani sa raccontare con l'assolutezza della parola poetica che rende totalizzante una condizione individuale, in cui ci si identifica, in cui si coglie la condivisione di un fallimento, il baratro di un abisso, la vita che improvvisamente si fa insopportabile, tanto che per sopravvivervi bisognerebbe far finta di essere morti, nella speranza che il pitone ci passi accanto e non ci divori. Tutto ciò accade in scena in un dialogo intenso e unico fra parola e musica, fra Gianmaria Testa che commenta quanto racconta Giuseppe Battiston, in cui le canzoni e la drammaturgia s'intrecciano in un'unica partitura, Gianmaria Testa è esso stesso apparizione, testimone interno all'azione, confidente sognato dal protagonista o ancora di più alter ego dello spettatore testimone ad un dramma di ordinaria quotidianità ma di straordinaria drammaticità. 18mila giorni - il pitone – per quanto non fugga ad una certa ripetitività e soprattutto in alcuni forzose digressioni come quella della testimonianza del padre deportato appesantiscano il plot - è un esempio di teatro contemporaneo che restituisce alla platea: la bravura di Battiston che sa essere vero senza falso realismo, l'intensità di una tradizione cantautorale che Gianmaria Testa incarna con autorevolezza, e il tutto tenendo a bada in maniera intelligente la retorica, i predicozzi, il moralismo. Non è cosa da poco.
Nicola Arrigoni