Musica di Silvia Colasanti
Racconto musicale in 7 quadri
Libretto di Fabrizio Sinisi
liberamente ispirato a testi di Erri De Luca
Commissione del Teatro dell’Opera di Roma
Prima rappresentazione assoluta
Durata: Atto unico: 70'
Direttore Enrico Pagano
Regia Luca Micheletti
Direttore del Gruppo Vocalist e della Scuola di Canto Corale Alberto de Sanctis
Scene Leila Fteita
Costumi Anna Biagiotti
Luci Marco Giusti
Coreografo per i movimenti mimici Fabrizio Angelini
Drammaturgo Benedetto Sicca
Personaggi e Interpreti
Sindbad Roberto Frontali
Nostromo Paolo Antognetti
Uomo della preghiera Roberto Abbondanza
Uomo del mare Vincenzo Capezzuto
Disertore Giorgio Misseri
La madre Daniela Cappiello
Prima sorella Elisa Balbo
Seconda sorella Alice Rossi
La Memoria Annunziata Vestri
I passeggero Valentina Gargano*
II passeggero Maria Cristina Napoli
III passeggero Benedetta Marchesi
IV passeggero Eduardo Niave*
V passeggero Nicola Straniero*
VI passeggero Luigi Di Martino
VII passeggero Alessandro Della Morte**
* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
**diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Solista oud Peppe Frana
Solista percussioni Lorenzo Brilli
Solista chalumeau Luciano Orologi
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
In collaborazione con Fondazione RomaEuropa Festival nell’ambito del RomaEuropa Festival 2024
Roma – Teatro dell’Opera 16-23 ottobre 2024
Che cosa mi aspettavo da L’ultimo viaggio di Sindbad? Sapendo che lo spettacolo è tratto da un testo di Erri De Luca, un’attenzione al sociale, all’emarginazione, all’ingiustizia che deriva dal trattare gli stranieri come degli appestati o peggio come carne da macello; il tutto offerto con una visione lucida, severa, senza spazi per eventuali cambiamenti, alternative. Quando mai? De Luca, pur essendo un bravissimo narratore dalla lingua precisa e diretta, non possiede il dono dell’ottimismo, dell’ironia e nemmeno quello della leggerezza. Le sue storie, bene che vada, sono in penombra e, se non pienamente tragiche, si può stare certi che il dramma un’occhiata fugace, magari di quinta, la getta sui loro protagonisti. Non ci si può fare niente. De Luca è così e questo suo Ultimo viaggio di Sindbad, dove il marinaio delle Mille e una notte diviene metafora degli scafisti che traghettano immigrati clandestinamente verso paesi dove possono avere una vita migliore, non è da meno. Nel testo originario il viaggio è anche il presupposto per far conoscere culture antiche, i loro miti, il loro immaginario. Un modo certamente erudito per far capire che nessun immigrato porta solo la sua carne, ma tutta una storia, millenaria per giunta, che va conosciuta e rispettata da chiunque. Fabrizio Sinisi, che ha ricavato il libretto dell’opera dal testo di De Luca, ne ha còlto e portato al massimo compimento la severità, l’oscurità, la tragicità. Ma che Luca Micheletti, il regista, e Silvia Colasanti, l’autrice delle musiche: che entrambi gli autori effettivi dello spettacolo abbiano cooperato per realizzare rispettosamente quanto scritto da De Luca, questo proprio non me lo aspettavo. E cosa mi sarei aspettato? Un tradimento rispetto all’originale – sia del testo che del libretto –, non per dar vita a un’altra storia, ma per realizzare uno spettacolo vero e proprio, che vivesse di vita autonoma invece di esserne un pallido riflesso. Micheletti ha realizzato una regia pedante, filologica addirittura – come si percepiscono i suoi trascorsi da letterato! –, preoccupandosi di confezionare una fedele evocazione scenica del dettato di De Luca. Tutto lo spettacolo è nella penombra, dominato da colori scuri. Anche le espressioni degli interpreti: accigliate, dure, tragicissime. Nessuna ironia, di quella usata da Shakespeare o Brecht nei drammi – tanto per fare un esempio. Dal canto suo la Colasanti, fra le migliori compositrici contemporanee, con le sue note ha dato maggior respiro al pessimismo di De Luca. Ritmi lenti, arie malinconiche; nessuno spazio per motivi dall’andamento più leggero e frivolo per sottolineare – come facevano Verdi o Puccini, sempre a titolo d’esempio – il massimo del dramma. Ne è risultato uno spettacolo debole, artigianalmente ben realizzato, anche ben diretto musicalmente – bravo Enrico Pagano –, ma privo di personalità. Qualità che si è riversata sull’interpretazione dei cantanti: buoni tecnicamente, ma deboli, trasparenti quasi, nella recitazione. Pierluigi Pietricola