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TRITTICO (IL) - regia Luca Ronconi

Il Trittico Il Trittico Regia Luca Ronconi

di Giacomo Puccini
Il Tabarro - Suor Angelica - Gianni Schicchi
direttore: Riccardo Chailly
regia: Luca Ronconi, scene: Margherita Palli, costumi: Silvia Aymonino
con Juan Pons, Barbara Frittoli, Leo Nucci
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Milano, Teatro alla Scala, dal 6 marzo al 2 aprile 2008

Avvenire, 8 marzo 2008
Il Giornale, 8 marzo 2008
Corriere della Sera, 8 marzo 2008
Scala, un «Trittico» quasi perfetto
Convince l'omaggio per i 150 anni di Puccini diretto da Riccardo Chailly ma il pubblico boccia la regia di Ronconi

La morte. Sempre nella musica. In primo piano, oppure in controluce nella meravigliosa direzione di Riccardo Chailly. Sempre in scena. Ben visibile ogni volta che il sipario si leva su uno dei tre atti unici del Trittico di Giacomo Puccini andato in scena l'altra sera alla Scala (vi rimarrà sino a 2 aprile, il 13 marzo diretta sul canale Calssica di Sky e sui maxischermi del circuito Microcinema). In Tabarro Michele al timone della grigia nave (un relitto ingabbiato in un muro di cemento) sembra un'anima in attesa di essere traghettata nell'aldilà. In Suor Angelica la grande statua della Madonna, in vesti sfolgoranti, caduta dal piedistallo e riversa al centro del palcoscenico in una postura che è la stessa che assumerà la protagonista prima di risolversi a bere il veleno. Il cadavere pallido di Buoso Donati sul grande letto rosso, ma soprattutto la nera turba di parenti che sembrano usciti direttamente da un girone infernale nel Gianni Schicchi. Ronconi (che proprio oggi compie 75 anni e li festeggia con il debutto al Piccolo di Milano del progetto Odissea. Doppio ritorno) rinuncia a qualsiasi effetto spettacolare, alle sue macchine teatrali e concentra la regia di questo nuovo Trittico, lo spettacolo più atteso delle celebrazioni per i 150 anni della nascita del musicista toscano, intorno a tre grandi elementi simbolici che dominano la scena sghemba di Margherita Palli: recitazione asciutta, ridotta all'osso per far sì che sia la musica di Puccini a trionfare. Cosa che avviene grazie alla grande prova di Chailly, il più applaudito a fine serata. E se il pubblico riserva ovazioni anche a Leo Nucci (irriverente e beffardo Schicchi, ancora una volta il più grande di tutti), Barbara Frittoli (intensa Suor Angelica) e Juan Pons (l'inquietante Michele di Tabarro), accoglie con qualche fischio Ronconi.

Pierachille Dolfini

Chailly e Ronconi esaltano il Puccini del "Trittico"

Si chiama Trittico, e fa venire in mente una pala d'altare, dove lo sguardo compone una storia d'immagini in onore di qualche santo. Ma il trittico di Puccini non è in onore di nulla: son tre opere brevi diversissime che l'autore accostò e offrì a New York nel 1918. Così nacquero il barcone sulla Senna in cui il padrone uccide l'amante della moglie, Il tabarro; la giovane chiusa in convento per espiare, che scopre morto da anni il figlio della colpa e si suicida, perdonata dalla Madonna; la beffa di uno che, in Firenze, si sostituisce a un morto fingendo di dettare un nuovo testamento a favore degli avidi parenti, ma lascia a se stesso il patrimonio: Gianni Schicchi.
Alla Scala Luca Ronconi, con la scenografa Margherita Palli, a costo di garantirsi qualche buuu insieme agli applausi, sente che sono tre fatali storie di morte in luoghi in qualche modo noti all'immaginario e se li rigioca con discutibile e lucida genialità: la gelosia grandguignolesca sotto un ponte come il manifesto d'un film noir; l'armamentario conventuale in una sinfonia di bianchezze; la storia del gran truffatore come già avvolta nel rosso del diavolo. Ma tutti come pronti ad essere sospinti nell'abisso, da un elemento inclinato su cui si muovono, che dà alla scena una specie di chiave rivelatrice dall'inizio, e che in Suor Angelica è addirittura un'enorme figura di suora abbattuta e riversa. Chi ci sta, si può molto emozionare.
Senza rischi d'insuccesso è invece la direzione di Riccardo Chailly, che s'immerge in tutte le storie, particolarmente in quella della povera suora, ma sempre nella pratica del canto accompagnato, semplificando, ripulendo e anche indugiando. I cantanti credono a tutta l'interpretazione, e si danno recitando in modo credibile e cantando ciascuno come può; Juans Pons con ruvidezzza di personaggio e nobiltà vocale, splendidamente, nel barcone, dove Paoletta Marrocu disegna una donna stanca, contradditoria, modernissima; Barbara Frittoli con ispirata pateticità senza compiacimenti, accompagnando dolore e squisitezza di voce e di gesto, mentre la sua Zia Principessa Mariana Lipsoveck non ha imbroccato una serata buona nell'enfasi d'una voce irregolare; Nino Marchadze con la grazia predestinata che emana, come figlia di Gianni Schicchi, peccato che il suo personaggio fosse stato impostato senza la malizia che pure sarebbe nelle sue corde, ed il dotato tenore leggero Grigolo un po' sgrigolatamente. Va da sé che con la sua risonante simpatia Leo Nucci come Schicchi toglie terreno a Benigni portandoci a gufare contro Dante che lo ha mandato all'inferno.

Lorenzo Arruga

Puccini riconquista la Scala
Emozione per il «Trittico» diretto con sapienza da Riccardo Chailly
Delude la regia di Ronconi. Scenografia confusa. Promossi i soprani

A onta delle incertezze, non solo iniziali, di Giacomo Puccini (« mi stanco perfino io, che sono l' autore»; le tre opere insieme sarebbero «lunghe come un cavo transatlantico»), i tre atti unici in che il Trittico consiste vanno eseguiti insieme. Solo così si potenziano a vicenda, mostrando una trama occulta che li lega. Noi sappiamo che in tutte le opere d' arte esiste, accanto alla volontà dell' Autore, una specifica e distinta volontà dell' opera, manifestantesi una volta che questa, perfetta, si sia distaccata dall' officina creatrice di quello. Le due non sono di necessità in conflitto: possono convergere verso lo stesso fine; ma quando in conflitto siano, la volontà dell' opera, siccome scrupolosamente riconosciuta, va valutata e forse ha diritto all' ultima parola. Non è affatto vero che i tre atti unici costituenti il Trittico (Il tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi) diano luogo, se così eseguiti, a una serata troppo lunga; mentre è vero che la giustapposizione delle trame stilistiche, ripeto, consente loro di rafforzarsi a vicenda: giacché l' effetto non è solo di un accumulo di tensione, è anche quello di un retroagire, di modo che durante lo Schicchi, tornando la memoria indietro sugli atti precedenti, noi penetriamo in loro in modo intimo. E qui giunge a conforto la suggestiva intuizione di Mosco Carner, incominciare col Trittico la fase, purtroppo interrotta con un' Opera incompiuta, la Turandot, in che lo stile di Puccini entra definitivamente nella sua fase «classica». Usare una delle tre Opere in altro contesto può servire come soluzione brillante ma superficiale per un buon tomber de rideau; brillante ma, ripeto, superficiale. Onde va apprezzata la scelta della Scala che mostra di credere in una serata-Trittico: e l' unità dei tre atti è sottolineata da un aspetto comune dei tre allestimenti scenici (regia di Luca Ronconi, bozzetti di Margherita Palli, figurini di Silvia Aymonino), una sorta di quadrilatero irregolare bucato sul fondale, dietro il quale vi sono, per il Tabarro, un color arancio in stile divisionista a simboleggiare il calar del sole, per la Suor Angelica la statua della Madonna col Bambino, per Gianni Schicchi dapprima il profilo di Dante a contemplare un composé grafico, poi una veduta di Firenze stesa a carboncino, indi lo stesso Schicchi che discende in scena per mezzo d' un ponte mobile, lo sfondo mosso da un rubescere di fiamme infernali, destino finale, ma solo secondo Dante, del burlatore fiorentino. La serata era dedicata alla memoria di Giuseppe Di Stefano: se non che, tale dedica è parsa una specie di coïtus interruptus essendo essa stampata sulle «locandine» ma non avendo seguito in alcun annuncio ufficiale fatto dal Soprintendente sul proscenio seguito dal rituale «minuto di silenzio». Certo questo servirà, nelle successive commemorazioni, a suffragare l' ipocrita espressione che il Morto «se n' è andato in punta di piedi». Il crudo realismo del Tabarro, tale che in esso l' unico personaggio moralmente positivo si rivela Michele, l' assassino vendicatore, non pare lasciare alternative per scelte sceniche le quali da tale crudo realismo si diversifichino. E così si regola Luca Ronconi, non derogando. In palcoscenico una chiatta vista di profilo dall' acqua, pertanto con la scaletta appoggiata all' interno del palcoscenico. La sola mancanza di rispetto alla didascalia sta nel fatto che l' assassinio di Luigi, poi quello di Giorgetta, è effettuato per strangolamento invece che a coltellate: e allora a che vale il «Giù il coltello» di Michele detto a uno che se ne sta a mani nude? Protagonista assoluto è un grande artista come Juan Pons, del quale non si cesserà mai d' ammirare la dizione. Una parte della sala ha rivolto contestazioni a Paoletta Marrocu, Giorgetta, delle quali non comprendiamo il senso. Più interessa osservare come la canzone del venditore di canzonette e l' alternatim dei due amanti esigano un tenore dalla voce fresca e limpida, essendo tali due passi il solo brevissimo intermezzo onirico, di levità che diresti rinascimentale, laddove Andrea Carè e Leonardo Cortellazzi non vanno oltre l' ordinaria diligenza. Il Tinca di Carlo Bosi e il Talpa di Luigi Roni sono ben calati nel personaggio; ma merita un' ovazione a parte la Frugola di Annamaria Chiuri, mentre incolore pare il Luigi di Miroslav Dvorski. A proposito di criterio per valutare la diligenza, osserviamo che il maestro Riccardo Chailly, sul podio per l' occasione e osannato dal pubblico come il Messia la Domenica delle Palme, di diligenza ne impiega troppa: pur di mettere in rilievo ogni particolare della preziosissima partitura (ma non abbastanza i clackson, brutale segno del mondo esterno che viene a turbare il tema della Senna d' apertura col suo lutulento vorticare), non teme di coprire le voci, che sovente non «passano». In un' Opera italiana almeno noi italiani non dovremmo affannarci coi sottotitoli, ché nemmeno il conoscere il testo a memoria basta a comprendere i dialoghi. Nella Suor Angelica il palcoscenico è per intero occupato da una statua, che si vuole di terracotta, raffigurante una gigantesca donna azzurrovestita, velo bianco e aureola in testa, morta. Emblema di Suor Angelica? In ogni caso, non si tratta di scelta felice, con tutto il nostro accettare la tesi che vuole lo scioglimento salvifico mera allucinazione della monaca morente. Eccellenti le voci femminili e quelle bianche nei coretti presenti in tutta la prima metà dell' Opera. Mariana Lipovsek, zia Principessa di forte effetto drammatico, non dovrà mai dimenticare l' onore di aver rivestito lo stesso ruolo nell' incisione del Trittico diretta dal grande Giuseppe Patanè. Molto bene Anita Raveli quale suor Zelatrice, Francesca Sassu suor Genoveffa, Francesca Garbi suor Dolcina. Barbara Frittoli impersona la protagonista con emozione, sebbene impieghi troppo «vibrato» nella tessitura acuta e la voce sia mal registrata in quella grave. Complice anche la diafana trama della partitura di Puccini, il maestro Chailly dirige in modo semplicemente perfetto. Nel Gianni Schicchi non ci si esimerà dal muovergli, se possiamo osare, lo stesso rimprovero che per il Tabarro, ma aggravato: tutta la veloce musica «di conversazione» tra i personaggi risulta incomprensibile. Anche incomprensibile risulta la scelta di Ronconi d' aver abbigliato i personaggi con abiti primo-Novecento ad eccezione di Schicchi, che veste alla medioevale: scelta che con bel altro spirito comicamente parodistico abbiamo visto fare a Roberto De Simone. E certamente Margherita Palli, che disegna un interno di sommo chic, attesa la sua cultura, potrà spiegarci perché, nella «cartolina di Firenze» quale si vede nel buco del fondale, sia anche la cupola di Santa Maria del Fiore, all' epoca di Buoso e Schicchi ancora in mente Dei. Il ruolo del protagonista è rivestito con impareggiabile autorevolezza da un altro grande, Leo Nucci (la voce del quale «passa» sempre). Rinuccio è un tenore dal quale, alla stregua della prestazione, ci attendiamo grandi cose; molto bene la Lauretta di Nino Machaidze. Degli altri personaggi, nessuno dei quali è un comprimario in senso stretto, ricordiamo almeno la sapida Cinzia De Mola (Zita), il funebre Simone di Mario Luperi, il Notaio dal grave contegno di Andrea Snarski.

Paolo Isotta

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 11:17
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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