Musica Giacomo Puccini
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Durata: Atto I 45' - (intervallo 30') - Atto II 40' - (intervallo 30') - Atto III 30'
Direttore Michele Mariotti e Francesco Ivan Ciampa (17, 18, 19 gen)
regia Alessandro Talevi
Maestro del Coro Ciro Visco
Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli
PERSONAGGI INTERPRETI
Floria Tosca Saioa Hernández / Anastasia Bartoli 17, 19 gen
Mario Cavaradossi Gregory Kunde / Vincenzo Costanzo 17, 19 gen
Barone Scarpia Gevorg Hakobyan / Daniel Luis de Vicente 19 gen
Cesare Angelotti Luciano Leoni
Sagrestano Domenico Colaianni
Spoletta Saverio Fiore
Sciarrone Leo Paul Chiarot / Marco Severin 16, 18 gen
Un carceriere Antonio Taschini / Andrea Jin Chen 16, 18 gen
Un pastorello Irene Codau / Emma McAleese 16, 17, 19 gen
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Ricostruzione dell’allestimento storico del 1900
Teatro dell'Opera di Roma dal 14 al 19 gennaio 2025
Partiamo dal terzo atto dell’opera Tosca di Giacomo Puccini. E’ insolito iniziare una critica musicale partendo da l’atto finale e non da quello iniziale. Non è casuale ma è importante mettere in evidenza il lavoro del direttore dell’orchestra del Massimo romano, Francesco Ivan Ciampa che nella recita del 17 gennaio ha preso in mano l’opera di Puccini. Ebbene questo giovane direttore ha in se il senso pucciniano della musica. La sua dimestichezza con il mezzo opera è evidente così come si sofferma su punteggiare la ricerca del compositore lucchese. E ci riesce in maniera ineccepibile poiché proprio nel terzo atto fa cose che raramente si sentono. Perché il terzo atto della Tosca è quello che chiude la grande tragedia del novecento romano (inizio) e del novecento (inizio) di un tempo passato da poco, di rivoluzioni, di papi e di preti e di donne vittime di un assurdo maschilismo ( ma oggi non è che le cose sono poi molto cambiate). Dunque nel terzo atto di Tosca Ciampa riesce a far sentire tutto ma proprio tutto il pathos, la disperazione e la dimensione onirica di un segmento talmente complesso da essere spesso sottovalutato. La sua dedizione ad una idea di andamento, non troppo veloce, di una cura dei suoni è veramente speciale. E Tosca muore finalmente come una donna rivoluzionaria, una sorta di brigantessa della Basilicata. Ecco questo è nuovo. Soffermarsi sulla disperata e umana idea di anarchica resistenza di Tosca ci permette anche di comprendere come la sua figura fosse così destabilizzante sia per Scarpia che per Cavaradossi. Spesso ella viene rappresentata come una persona bipolare, con un certo scompenso emotivo. Ed invece grazie alla visione di Ciampa finalmente possiamo capire la forza di questa donna che si uccide per rivalsa, per far valere quell’umano valore di vita e di non sottomissione. Questo arriva dopo due atti in cui la direzione di Ciampa segue una strada a più dimensione, dove quello che prevale è sempre ed unicamente l’umana fragilità di tutti i protagonisti. Una sua tendenza giusta è quella di far sentire tutte le parti dell’orchestra, anche il più remoto ottavino ha un suo significativo ruolo sonoro. Le campane tanto detestate da Mahler nel terzo atto, il Te Deum talmente laico da essere dissacrante rappresentano il vero punto di forza di questa Tosca. E non solo l’idea di creare una sorta di doppio mondo ha permesso che l’intera opera fosse sospesa fra un dentro e un fuori, fra un inconscio ed un conscio. Insomma un gioco mica male di ruoli psicologici. Ecco questo grazie anche ad un ripristino registico così bello da rimarcare il tempo del 1900, della prima, così ampliamente annunciato dal Teatro dell’Opera. Quando in quel gennaio 1900 Giacomo Puccini fece sbalordire i romani con un’opera di assoluta bellezza e sensualità. Alla faccia del Papa. Insomma di quel Papa, quello di allora per intenderci. La compagnia trova in Anastasia Bartoli e in Vincenzo Costanzo due ottimi interpreti. Molto in linea con quella psicosi pucciniana del sospetto e della gelosia. Finalmente Costanzo sa di essere vittima e vincitore e finalmente la romanza del terzo atto si sente come poche volte si sente, con un assolo di clarinetto esemplare e lui che canta Lucean le stelle come se fosse l’ultima cosa che avrebbe cantato nella sua vita. E infatti sarà così. La Bartoli brilla di amor passionale. La sua interpretazione sa proprio di sensuale vita/morte. E’ molto brava a rendere la sua storia una storia di una incredibile umanità. In questa produzione Scarpia che generalmente miete successi, non ha nell’interpretazione di Gevorg Hakobyan non convince sembra che Scarpia sia un altro. Non arriva forte quel senso di distorta passione che domina il personaggio così condannabile. Egli si muove come se fosse lo spettatore di se stesso e non scende nell’immensità di quella sua tragica anima. Peccato. Funziona il resto del cast. Come è perfetto il coro diretto da Ciro Visco con quello dei bambini. Regia di Alessandro Talevi che fa un bel lavoro di ricostruzione e così per Carlo Savi che ricostruisce le scene originarie di Adolf Hohenstein geniale artista che della Tosca del 1900 firma anche i costumi ripresi da Anna Biagiotti. Insomma una bella azione filologica assolutamente da riproporre (come accadrà in marzo) per sentirsi protagonisti di una delle rare opere che non finisce mai, che dopo gli applausi lascia sempre un profondo sentimento di malinconia. Merito di Giacomo Puccini. Marco Ranaldi