lunedì, 13 gennaio, 2025
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SIMON BOCCANEGRA – regia Richard Jones

Luca Salsi in "Simon Boccanegra", regia Richard Jones. Foto Fabrizio Sansoni, Teatro dell'Opera di Roma Luca Salsi in "Simon Boccanegra", regia Richard Jones. Foto Fabrizio Sansoni, Teatro dell'Opera di Roma

Musica di Giuseppe Verdi
Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Direttore Michele Mariotti
Regia Richard Jones
Maestro del Coro Ciro Visco
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Adam Silverman
Coreografia per i movimenti mimici Sarah Kate Fahie
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
PERSONAGGI INTERPRETI
Simon Boccanegra Luca Salsi / Claudio Sgura 29 nov, 1, 4 dic
Maria Boccanegra (Amelia) Eleonora Buratto/ Maria Motolygina 29 nov, 1, 4 dic
Jacopo Fiesco Michele Pertusi / Riccardo Zanellato 29 nov, 1, 4 dic
Gabriele Adorno Stefan Pop/ Anthony Ciaramitaro 29 nov, 1, 4 dic
Paolo Albiani Gevorg Hakobyan
Pietro Luciano Leoni
Ancella di Amelia Angela Nicoli / Caterina D’Angelo 29 nov, 1, 4 dic
Capitano dei balestrieri Michael Alfonsi / Enrico Porcarelli 29 nov, 1, 4 dic
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Roma, Teatro dell'Opera dal 29 novembre al 4 dicembre 2024

www.Sipario.it, 1 dicembre 2024

Che Giuseppe Verdi fosse colui che avesse traghettato l’opera lirica verso una visione umanistica non sempre lo si è tenuto presente. Spesso si è pensato e si pensa che Verdi abbia fatto per il teatro lirico ciò che era necessario all’epoca ovvero provare ad immaginare una visione più tenutistica di una dimensione che spesso non era propriamente teatrale. Messo per assunto che il teatro lirico è sempre un teatro di azione e narrazione, prima di Verdi si tendeva ad esasperare i ruoli importanti e a tralasciare quelli cosiddetti secondari. Verdi invece inizia proprio a dare conformità all’azione scenica, operando proprio in quella visione di completezza e di trasformazione del tessuto lirico. Non solo cerca di dare ad ogni personaggio la sua giusta importanza ma cerca soprattutto di creare una sorta di puzzle dove alla fine del lavoro tutte le parti devono combaciare in un disegno di totale forza emotiva. Ecco in questo Verdi fu geniale, intuì che era passato il tempo della lunga e indiscriminata frequentazione teatrale, ora si andava sempre più verso una dimensione sociale. Ergo servivano storie credibili, non estremamente complesse e soprattutto gradevoli all’ascolto e alla visione. Con Simon Boccanegra egli riesce finalmente a creare un’opera di grande respiro. L’idea wagneriana di totalità teatrale, in Verdi era già presente ed attuata. Certo mancava il Golfo mistico ma poco importava al compositore lombardo poiché era per lui importante che quello che scriveva doveva in qualche modo arrivare alle persone scevro da germanici intellettualismi. E siamo in una dimensione veramente romantica dell’opera lirica. Lontano e non tanto dai suoi colleghi francesi, Verdi si inerpica quindi in una gestione dello spazio temporale molto importante. E’ vero che già nella trilogia popolare egli aveva capito come condurre lo spettatore a ritornare in teatro. Ma con Simon Boccanegra fa di più. Già da dire che in questo lavoro su libretto di Francesco Maria Piave, ripristinato in seguito da Arrigo Boito, presenta una visione post classica dell’insieme: anzi in questo lavoro è quello che colpisce. Poi gli elementi importanti per Verdi, ovvero il destino, la giustizia, l’amore ci sono tutti e la scrittura musicale presenta punte di assoluto interesse e bellezza. Una profonda revisione del suo stesso registro compositivo. Le ardite armonie che spesso utilizza in quest’opera ci fanno pensare già ad Otello e ad Aida. Soprattutto in questo lavoro Verdi sa che deve risolvere una situazione importante, quella cioè di creare non solo la coralità in quanto spia di una nuova dimensione sociale, ma deve soprattutto far comprendere la forza che c’è in ogni personaggio e nella totalità dell’azione narrata. Dunque il Simon Boccanegra è un’opera assolutamente innovativa e difficile. Nella narrazione i piani sono diversi, le voci fanno a volte fatica a rendere bene quello che per Verdi non era già più il teatro di tradizione. Egli aveva superato se stesso. E se è vero che in questo lavoro ci sono tutti gli elementi portanti del suo stesso passato, vero anche è che in questo lavoro la ricerca spirituale è segnata ed è imprescindibile. Aprire quindi una stagione lirica con quest’opera non solo è coraggioso ma è assolutamente segno di una idea di innovazione del segno del passato. Pertanto l’inaugurazione  del Teatro dell’Opera di Roma non poteva che essere perfetta con la scelta di un titolo molto rappresentato all’estero e poco in Italia (anche se poi il titolo è stato presente ad ottobre al Teatro San Carlo di Napoli). Certo che scegliere i cantanti per questa opera non è cosa facile. Poiché spesso Verdi si presta a rendere loro la vita non facile. Non tanto per l’agilità vocale, certo quella è indispensabile, quanto per la compiutezza interpretativa. E’ come una evoluzione di quello che aveva già significato in Rigoletto. Il re e la corte, il re che diventa giullare di se stesso. La disperazione e l’amore incondizionato paterno. Per non sottolineare quell’imprescindibile esigenza di far comprendere come l’essere umano può essere vittima e carnefice allo stesso tempo. Ed è quindi questa la sorte di Simon Boccanegra, il vero fulcro di questo drammone in stile prettamente romantico. Nel lavoro romano il bello sta proprio nella regia quasi cinematografica di Richard Jones, una delle migliori voci dell’idea di teatro lirico dialogante con il contemporaneo. Egli infatti non si affligge a cercare di ricreare quegli ambienti di naturale discendenza d’epoca, anzi sposta l’azione in un tempo che potrebbe essere assimilabile a quello dei protagonisti di Novecento di Bernardo Bertolucci. Ma anche la visione sociale, l’azione popolare che ricorda tantissimo Kean Loach. Ebbene Jones scava, scava tantissimo in ogni protagonista, gli fa rivelare la discendenza amarostica di un tempo passato e di un bisogno assoluto di sistemare il presente. Dunque come sempre in Verdi vi è il portatore d’acque e chi invece fa di tutto per fermarlo. Nel caso quindi di Jacopo Fiesco rivela proprio l’essenza dell’antagonista. Non proprio una mente eccelsa esce dalla scrittura di Piave, infatti in Fiesco vi ritroviamo un poco degli stereotipi dell’arrivismo poco ragionato e alimentato da una seta indiscussa di rabbia di giustizia. Va bene quindi che tutta l’azione ambientata su scene nel tempo onirico, il riferimento che Antony Mc Donald fa a De Chirico è fin troppo evidente. Ma vi è anche l’idea di una modernità casalinga, di uno svolgimento nel secondo atto in una possibile stanza che sembra quella delle storie di Pavese o meglio di Pontiggia. Insomma Jones segna inventandosi un post conflitto mondiale secondo, quello che però sembra un vero e proprio ritorno ad una dimensione del popolo. Ed è il popolo che viene e va verso  o contro Boccanegra. Per cui la di lui figlia Maria è una nouvelle Gilda, sospesa fra due grandi amori, presa dalla passione come Verdi sa ben mettere in luce. Insomma nei tre atti dell’opera il senso profondo è quello di appartenenza e di scoramento per le difficili vite dei protagonisti. Nella esecuzione di Luca Salsi/Simon Boccanegra, si comprende molto il senso dello scoramento, del bisogno di proteggere, del bisogno di giustizia. Egli è bravo proprio a far sentire l’accorato desiderio del personaggio verdiano tanto simile al suo di sentimento. Ha una bella tessitura ed un’ottima interpretazione. Da par suo Michele Pertusi/Jacopo Fieschi si inerpica nel rendere il personaggio dal non facile appiglio. Eleonora Buratto nel ruolo di Maria Boccanegra conferma la sua caratura interpretativa, perfetta ed assolutamente in linea con il senso dato da Giacomo Mariotti che ha cercato di creare il segno di profondità e di comprensione sonora seguito in maniera pedissequa dal complesso del Teatro dell’Opera. Infatti egli riesce in tutto il lavoro a far comprendere ogni minima sequenza creta da Verdi nella commistione dei vari piani sonori e nell’imprescindibile colore. A lui si associa il coro curato da Ciro Visco che diventa non solo protagonista di questa visione d’insieme voluta da Verdi ed è inscindibile la ricerca dello stesso colore che Mariotti ha creato per l’orchestra. In linea il resto del cast. Luci di estrema profondità quelle create da Adam Silverman. Pertanto il Simon Boccanegra del Teatro dell’opera rimarrà certamente nel tempo. Quantomeno Mariotti ha creato una sua visione d’importante unicità nel creare un sound in linea con la regia di Jones. Per i tempi di una giusta evoluzione del pensiero creativo di Giuseppe Verdi. 

Marco Ranaldi

Ultima modifica il Sabato, 07 Dicembre 2024 21:31

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