CHARLES GOUNOD
Opéra en cinq actes
Paroles de Jules Barbier et Michel Carré
Nuovo allestimento
Roméo Juan Diego Florez
Juliette, fille de Capulet Valentina Nafernita
Mercutio Alessio Arduini
Frère Laurent Evgeny Stavinsky
Stéphano, page de Roméo Vasilisa Berzanskaya
Capulet Francesco Milanese
Tybalt, neveu de Capulet Giorgio Misseri
Le Duc de Vérone Adriano Gramigni
Paris Francesco Samuele Venuti
Grégorio, valet de Capulet Eduardo Martinez Flores
Gertrude, nourrice de Juliette Xenia Tziouvaras
Benvolio, ami de Roméo Lulama Taifasi
Danzatori
Elly Bruno, Maria Diletta Della Martira, Maria Novella Della Martira, Cecilia Pacillo,
Jessica Rapelli, Giampaolo Gobbi, Damiano Gorgoglione, Andrea Mazzurco,
Carlo Pucci, Marcello Ilario Russo
Interprete video Lottie Bowater
Maestro concertatore e direttore HENRIK NANASI
Regia FREDERIC WAKE-WALKER
Scene Costumi Luci Coreografia Video
Polina Liefers Julia Katharina Berndt Peter Mumford Anna Olkhovaya Ergo Phizmiz
CORO E ORCHESTRA DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 8 maggio 2022
In una Firenze che molto apprezzava il teatro d’opera francese, debuttò il Romeo e Giulietta di Gounod nel 1868. Forse per un allestimento non all’altezza delle aspettative non ebbe il successo che tanto gli aveva arriso in patria nelle sue varie trasformazioni. E solo oggi, quasi non ci si crede, questo iconico tema che ispirò Gounod fin dalla giovinezza ha avuto la sua rivincita come secondo appuntamento operistico del Festival del Maggio intitolato al mito e all’amore. Un successo di pubblico straordinario, che ha riempito il teatro, che ha visto tra il pubblico appassionati (d’oltre appennino?) dimostrando che la pigrizia nell’affidarsi al déjà vu è una falsa certezza. Soprattutto se, come in questo caso, l’opera nella quale a dominare è la voce vede in scena interpreti di assoluto rilievo, che il loro ruolo sia primario o secondario. Dominante, e non poteva essere altrimenti, Juan Diego Florez, per il quale si sono scatenati applausi ed entusiasmo d’altri tempi: è il vero erede di una tradizione che da lui viene portata avanti senza gigioneria, ma insuperabile per qualità formale ed aderenza alla creazione musicale. Tanto da far passare in secondo piano ingiustamente la sua Juliette, una Valentina Nafornita non così famosa, ma perfetta per il ruolo e per qualità vocali, deliziosa come adolescente ricca di slanci e di illusioni, e capace di trasformarsi in una protagonista tragica e matura, consapevole del proprio destino: una grande, toccante interpretazione.
A Gounod non interessava tanto la situazione dell’odio familiare, quanto l’amore assoluto, a cui tutto il resto fa solo da contorno, e al quale riserva un ruolo sacrale.
Di grande supporto, altra rivincita a distanza di tanti anni, un lavoro scenico elegante e raffinato come l’opera francese merita, che risolve il dilemma balletto sì-balletto no facendo accompagnare tutto il percorso drammaturgico ed i movimenti in scena dalle coreografie di Anna Olkhovaja con una danza macabra che cita l’iconografia medievale, mentre la scenografa Polina Liefers ha creato una prospettiva astratta con riferimenti allo spazio sacro di grande gusto artistico, sottolineata dalle luci di Peter Mumford, affermato professionista anglosassone, e dal video di Ergo Phizmiz. Incantevoli, ed incantevolmente indossati, i costumi di Julia Katharina Berndt, particolarmente quelli dedicati all’eterea Juliette. A tenere il tutto il giovane regista Frederic Wake- Walker, che ha formato la propria esperienza in ambito anglosassone, e giovane di grande esperienza e comunicativa è anche il direttore di origine ungherese Henrik Nanasi.
Se, come già detto, ogni interprete ha presentato il proprio cameo alla perfezione, dobbiamo segnalare il successo Vasilisa Berzhanskaya nel tradizionale ruolo en travesti del paggio di Roméo, e la straordianaria voce di basso, nel ruolo di Frère Laurent, di Evgeny Stavinsky, la vitalià di Giorgio Misseri come Tybalt, neveu de Capulet, ed il Mercutio di Alessio Arduini.
Una considerazione a conclusione di questa cronaca: come si può evincere dai nomi più o meno famosi (ai quali auguriamo un percorso professionale in crescendo) le discriminazioni nazionalistiche non abitano qui.
Annamaria Pellegrini