Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
direttore Daniel Harding
violino Clara-Jumi Kang*
Debussy Prélude à l’après-midi d’un faune
Prokofiev Concerto per violino n. 2
Brahms Sinfonia n. 2
Sala S. Cecilia Auditorium Ennio Morricone 28 novembre 2024
Il tempo di vedere cosa succede durante una possibile immersione sonora e subito ci si rende conto della magnificenza di una così curata emissione musicale da parte di uno dei direttori più raffinati del nostro periodo, Daniel Harding. Il caso che non esiste porta nel programma ciò che invece diventava casualità compositiva per Claude Debussy, maestro di esoterismi compositivi, nel senso di quella ricerca di infinite possibilità post planetarie da renderlo unico. Già lui che aveva studiato con Jules Massenet e che ad un certo punto inizia a capire che quello che deve fare si trova fra le pieghe di quei mondi lontanissimi che tanto sentiva. Infatti Debussy in tutta la sua vita compositiva ha sempre riportato una sorta di magia creativa, una possibile identità di altre visioni. Come faceva il suo indiretto maestro Erik Satie, scegliere dei suoni che potessero essere musica di quelle che non sono ne facili e ne difficili ma che lasciano il segno indelebile nella memoria. Ed ecco quindi Harding si cimenta nell’Apres midi d’un faune che si porta oggi verso quel mondo di sospensioni sonore tanto care a chi usa l’elettronica per comporre. In questa sua dimensione così solitaria e suscettibile di incomprensioni, Debussy sa portare un sentimento unico, un discorso di fraseggi e di colori unici. Così come farà il suo coevo Maurice Ravel quando creerà quell’indefinibile Bolero del quale si sa tutto quello che non sappiamo, ovvero l’accesso verso quel tipo di musica che va ben oltre lo scibile umano. Harding nel dare voce alle note di Debussy lo fa come se fosse lontano mille miglia dal luogo dell’esecuzioni e questo gli permette di entrare talmente a fondo della composizione da far arrivare invece una vicinanza incredibile. Il suo fare è sempre come una sorta di omeopatica dimensione, una striatura sonora che sembra un lieve trattenimento che si libera poi in una ondata di musica che è assolutamente perfetta. Forse quella di Harding è una delle esecuzioni più vicine all’ideale del suo autore, così lontano e così vicino, in quella sorta di giardino interiore che era talmente bello in quello che era il mondo sonoro di Debussy. Doveva esserci Lisa Batiashvili ad eseguire il secondo concerto per violino e orchestra di Sergej Prokofieff e invece è stata la volta della violinista coreana Clara-Jumi Kang. Ebbene immergersi nel concerto di Prokofieff, il secondo per violino è cosa poco facile. Rappresenta quasi una crisi mistica dell’andamento dell’autore sovietico. La Kang si immedesima talmente tanto in un tessuto fatto di continue sovrapposizioni armoniche da rendere l’opera come una vera e propria matrice di moderne intenzioni. Pertanto Prokofieff con questo lavoro si immette su quella sua speciale ricerca di sospensioni e di ridondanze malinconiche. Non è casuale, sempre perché il caso non esiste, che Alban Berg nel comporre il suo Concerto per violino e orchestra”Alla memoria di un angelo”, ha come riferimento proprio la scrittura di Prokofieff ed è particolare che entrambi i concerti vennero composti nello stesso anno, il 1935. Ed è così che l’interpretazione poetica della Kang è talmente vicina ad una voglia intrinseca di narrare il senso di quello che Prokofieff voleva lasciare, lì dove il suo tempo stava per determinarsi definitivamente e la sua scrittura era sempre più portata a ricercare aree di profonda armonia. La dolcezza di alcuni passaggi, la sensibilità dell’espressione hanno fatto dell’interpretazione di Clara-Jumi Kang un vero e proprio riferimento per le future memorie. In questo Harding che sa essere spronante di sintesi sonore interiori, riesce così bene a condurre quel tessuto complesso voluto da Prokofieff lasciando quindi alla violinista la consapevolezza di una possibile ricerca di creatività di sintesi. Il ciclo di un possibile romanticismo tardivo viene completato da Harding con la Seconda Sinfonia di Johannes Brahms. Questa è un’opera che apre non solo al futuro ma darà a Gustav Mahler il senso dell’ampliamento della traccia sinfonica. Dunque Brahms che arriva sulla linea tracciata da Beethoven , nella seconda Sinfonia sintetizza in un paio di temi di estrema bellezza quella sua ideale visione di un romanticismo mai finito. E’ così che in quei passaggi talmente belli da essere dolcemente convincenti, Harding recupera il fascino di uno dei lavori così vicini alla dimensione umana. Il suo senso di creare passo per passo un suono in continua evoluzione, permettono di rendere la sua interpretazione una vera attenzione ad ogni particolare, ad ogni suono scosceso su quella via che Brahms faticosamente cercò di seguire. Infatti le costanti beethoveniane, le sinossi di autentica ricerca di nuovi materiali armonici, fanno delle Seconda Sinfonia il vero punto di svolta dell’evoluzione sinfonica. E’ vero che Brahms come Schubert fa della forma sinfonia una cosa nuova, una idea quasi di poema sinfonico. Anticipa come Schubert la scoperta dello scrivere in un contesto ben fissato, la propria personale visione di quello che significa comporre per tanti strumenti. Da qui il riferimento a Johann Sebastian Bach è assolutamente udibile. La cantoria strumentale che Brahms crea non è molto lontana dalla struttura della Passione Secondo San Matteo. Ed è questo che coglie Harding, quella infinita ricerca di una dimensione corale che nel suono orchestrale diventa il futuro stimolo per il piacere dell’ascolto. Il gesto di Harding è sempre breve, pochi movimenti, tanta empatia e soprattutto un forte bisogno di comunicare quella che è la ricerca antica del dirigere l’orchestra. In questo Daniel Harding è uno dei pochi direttori che riesce ad interpretare come Karajan aveva già immaginato nella sua era. Harding non si ferma mai solo ad una esecuzione ma va oltre, il suo gesto trasmette quello che significa comprendere la forza sonora della sua orchestra e dei suoi musicisti. Che lo acclamano con grande piacere alla fine dell’esecuzione. Questo conferma che l’Orchestra di Santa Cecilia è assolutamente in linea con i complessi sinfonici perfetti nell’eseguire opere di grande sostanza. Due osservazioni: la prima riguarda il giusto messaggio letto dal primo violino relativamente alla depauperazione dell’attuale governo verso quello che è l’investimento verso la produzione artistica dal vivo. I tagli previsti, le continue mancanze di un tempo troppo lungo, fanno oggi temere il peggio per concerti di cotanta bellezza come quelli di Santa Cecila. La seconda invece si riferisce al bis che Clara Jumi-Kang concede, suonando Bach in una maniera così sincera da provocare una vera commozione. La sua legenda bachiana è talmente vicina a quello che probabilmente dovrebbe essere ogni volta che si suona una sua opera. Siamo molto convinti che la violinista Jumi Kang sarà una delle migliori interpreti future del repertorio bachiano e non solo. E’ la versatile profondità di suonare che rende un concerto unico, una esecuzione indimenticabile. Così come invece dovrebbe essere il primo obiettivo di un governo che avesse come riferimento il benessere degli essere umani garantire la bellezza della musica. Ma sappiamo che non è cosa facile. Marco Ranaldi