Daniel Oren, direttore d’orchestra
PROGRAMMA
GIOACHINO ROSSINI
Guglielmo Tell, ouverture
JOHANNES BRAHMS
Danza Ungherese n.1 in sol minore
Allegro molto
Danza Ungherese n.5 in sol minore
Allegro
ANTONÍN DVOŘÁK
Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88“Inglese”
I Allegro con brio
II Adagio
III Allegretto grazioso
IV Allegro ma non troppo
Teatro Giuseppe Verdi, Salerno 10 settembre 2022
Esiste qualche cosa che va oltre il semplice ascolto. Ma cosa potrebbe essere così forte da far arrivare la musica come qualche cosa di incredibilmente bello e indispensabile? Quella cosa che si chiama bravura, ovvero quel mistero che ogni musicista capace porte con sé. Ed il mistero per Daniel Oren è la forza che lo rende così importante. La sua direzione è talmente chiara, netta che ogni ascolto e ogni visione del suo dirigere non fa altro che confermare tutto ciò. Poi bisogna sottolineare come il suo lavoro con l’Orchestra Verdi di Salerno sia talmente ben fatto da far risultare la compagine fra le migliori degli ultimi tempi . Le migliori orchestre italiane, quelle che suonano e che presentano programmi di non facile esecuzione. Così con il ritorno della stagione autunnale, in previsione quindi del prosieguo del festeggiamento del Teatro Verdi, Daniel Oren ha diretto i Filarmonici del Verdi in un concerto vivo ed interessante. Interessante perché tutta la prima parte è stata dedicata a Rossini e Brahms come se fossero congiunzioni necessarie per arrivare al capolavoro della serata ovvero l’ottava Sinfonia di Antonin Dvorak. Di questo compositore i libri di storia della musica lo collocano fra quelli delle cosiddette scuole nazionali, liquidando così invece uno dei compositori più interessanti ed innovativi del post romanticismo. Dvorak ha in sé una scrittura talmente musicale e carica di emozioni che ogni ascolto è sempre un piacere. La Sinfonia detta Inglese è forse fra le pagine più belle e rare di questo compositore. E’ tutto una carica di costruzioni atte a rendere ogni tempo di cui si compone il lavoro un vero e proprio discorso autoconclusivo. Pertanto Dvorak sperimenta quella che sarà una formula cara a Mahler, la composizione dei tempi autoconclusivi, senza dover per forza avere quel necessario collegamento come capitava nelle sinfonie romantiche. E’ importante poiché la sua visione è innovativa, considerare quindi una Sinfonia come un’opera complessa, un insieme di parti che possano vivere di vita propria. Ed essere quindi eseguiti in maniera assoluta. In tutta l’opera ciò che si apre in quella sua stupenda visione della scrittura è il terzo tempo, un ¾ dove l’andamento è solo il pretesto per narrare una visione che probabilmente era molto urgente per Dvorak. E chiudere quindi con il quarto tempo dove la presenza degli ottoni sottolinea quella necessaria appartenenza al mondo di Haendel forse il compositore più importante per gli inglesi. E il tema ai celli talmente forte di quella che è la english version da essere insostituibile. Certamente Elgar nel comporre le sue pagine inglesi e di corte aveva ben presente questo lavoro di Dvorak. Daniel Oren da parte sua è stato eccezionale, ha cavato dall’orchestra un suono incredibile, bellissimo, ha portato i pianissimo ad un livello di bellezza tale da rendere ancora di più affascinante la scrittura del compositore boemo. La sua guida è stata ricchissima di riferimenti storici, ed è quello che è proprio di Dvorak, l’appartenenza e la conoscenza della storia della scrittura musicale. Insomma un vero trionfo per Oren e i suoi orchestrali. Un omaggio commosso alla dipartita della Regina Elisabetta. Ed un auspicio che anche in città non glamour come Salerno è possibile fare di una orchestra un vero complesso da fare invidia a quelli più blasonati e remunerati. Marco Ranaldi