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NORMA - regia Federico Tiezzi

Norma Norma Regia Federico Tiezzi

di Vincenzo Bellini
direttore: Evelino Pidò / Roberto Polastri
regia: Federico Tiezzi, costumi: Giovanna Buzzi, scene: Pierpaolo Bisleri
sipari e fondali: Mario Schifano
con Daniela Dessì, Fabio Armiliato
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, Teatro Comunale, dal 29 arile al 9 maggio 2008

Il Manifesto, 1 maggio 2008
Tiezzi rilegge «Norma» con malinconica eleganza

Dopo alcune non buone rappresentazioni, finalmente il teatro d'opera della città ha presentato un allestimento che ha avuto pieno successo. Si è trattato di una messinscena di Norma di Vincenzo Bellini – 6 repliche a partire dal 2, fino al 9 maggio – per la quale ogni creatività balzana è stata respinta per far posto a un impegno esecutivo non avulso da una miglior creatività, frutto di scelte meditate e felicemente dialoganti col testo. I motivi di interesse per questa Norma erano diversi. In primo luogo il debutto nella parte della sacerdotessa gallica di Daniela Dessì; inoltre la nuova realizzazione delle scene che Mario Schifano aveva preparato per la rappresentazione di quest'opera al Petruzzelli di Bari. Infine, finalmente, lo spettacolo era affidato a un regista, Federico Tiezzi, che non solo ha spesso frequentato i palcoscenici del teatro di prosa, ma che avendo alle spalle buoni studi nei campi della storia dell'arte e dell'estetica si proponeva in grado di affrontare in maniera più profonda di quanto non avvenga di solito il neoclassicismo alonato di sentori romantici che Norma offre. Buona l'esecuzione, quindi, anche se non priva di limiti.
La Dessì ce l'ha messa tutta e positivamente, ma il personaggio di Bellini non è il più agevole per le sue grandi qualità vocali, che denunciano qua e là certa aspra rigidità più evidente nel passaggio di «Sediziose voci». Il clima visivo era caratterizzato dalle grandi querce e dalla bianca luna disegnate da Schifano. Per il siparietto che serviva agli agili cambiamenti di scena, la realizzazione era decisamente affatto modesta, se non proprio bruttina. La mano veloce e agile del pittore non ha qui trovato un artigiano che felicemente realizzasse il quadro. Decisamente migliori gli altri trasporti e bello a vedere dalla platea, quasi un autentico Schifano, uno dei suoi paesaggi anemici, un non grande ritaglio di verde alquanto scuro con la luna bianca, nella scena d'apertura del secondo atto.
I personaggi e gli arredi erano in stile impero, sembravano presi dal film realizzato sulla marchesa von O di Kleist. Niente di esotistico dunque, ma una collocazione coincidente con gli anni della composizione belliniana. Spiazzante il primo impatto coi guerrieri galli e i sacerdoti di Irminsul vestiti con grandi sai bianchi e in foggia romanica, ma, ormai abituati ad ogni travestimento dei personaggi dell'opera, questo aveva con sé le ragioni di una scelta motivata dal gusto e da una delle possibilità offerte dalla filologia. Temevamo di peggio, sentendo il regista Tiezzi ragionare di scontri di civiltà paragonando i galli ai tibetani e i romani ai cinesi. Fortunatamente non s'è lasciato andare a un'ambientazione nei pressi di Lhasa con tonsure e camici arancione.
Anzi la regia è affatto misurata, cerca e ottiene gli spazi giusti per la presenza scenica degli attori, ben avvalendosi delle qualità della Dessì e di Kate Aldrich (Adalgisa), incorporandovi bene anche Fabio Armillato (Pollione) che è, come al solito uno di quei tenori che se cantano non si muovono e se si muovono non cantano, ben giustificando il detto che un tenore non sa far due cose insieme. Non capiamo però perché Tiezzi abbia voluto darci un Oroveso, il capo dei druidi, cieco. Si sarà forse detto che, visto quel che combinano le sue sacerdotesse nel chiostro delle vergini, per non accorgersene, tale egli doveva essere. Si muove a disagio Rafal Siwek, Oroveso appunto, un cieco veramente poco credibile, ma vocalmente è efficace, come pure l'Armillato.
Ha il merito, Tiezzi, di leggere quest'opera nel clima della lunacy, anche se non tutto in essa si rivela in ciò; lo fa con eleganza e probabilmente condividendo l'impressione con il Pidò direttore d'orchestra, nelle cui mani la partitura opportunamente si rivela densa di preromantica malinconia pur nei furori dei singoli o nella bellicosità degli oppressi.
Di qualità più che buona la prestazione di tutti, compresi l'orchestra e il coro. Per conservarsi la voce e il successo, solo consigliamo alla Dessì, d'essere il più parca possibile nel cimentarsi con Norma, perché questa porta piuttosto spesso la sua vocalità a un limite piuttosto vicino alla rottura.

Giampiero Cane

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 10:32
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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