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MIRACOLO A MILANO - regia Daniele Abbado

Miracolo a Milano Miracolo a Milano Regia Daniele Abbado

Teatro di musica, liberamente tratto da "Toto' il buono" di Cesare Zavattini e da "Miracolo a Milano" di Vittorio De Sica
musica: Giorgio Battistelli, direttore: Erasmo Gaudiomonte, maestro del Coro: Alfonso Caiani, regia del suono e live electronics: Alvise Vidolin, Icarus ensemble, Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia
con Nicola Raffone, Alessandro Svab
e con: Amina Amici, Daniela Biava, Luca Campanella, Silvia Cantoni, Camillo Fabiani, Andrea Gherpelli, Caterina Greco, Enrico L'Abbate, Davide Lora, Roberto Lori, Francesca Lettieri, Claudia Maletta, Francesco Mascellani, Paolo Mereu, Roberto Pierantoni, Carlotta Plebs, Giovanni Rossi, Milo Scarcella, Mario Stefanini, Frida Vannini, Alessandro Vezzani
regia: Daniele Abbado, scene: Angelo Linzalata, costumi: Giada Palloni, coreografia: Simona Bucci, luci: Guido Levi, video: Luca Scarzella
Reggio Emilia, Teatro Municipale Valli, 6 e 8 novembre 2007

Il Manifesto, 11 novembre 2007
Corriere della Sera, 11 novembre 2007
Il film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini diventa un'opera «guidata» da Battistelli e Abbado. Ma il risultato è troppo melodico con un allestimento scenico virato su toni tardoromantici

Reggio Emilia Se in un teatro d'opera come il Valli di Reggio Emilia vedete poliziotti in assetto di guerra che radono al suolo una bidonville usando dei poveracci al guinzaglio come cani feroci pronti ad azzannare gli altri poveracci che abitano lì, e poco prima avevate visto transitare in alto su una passerella sospesa un piccolo corteo di migranti africani, apparizione tipo «nota a margine» nella vicenda antica (1951) di baraccati italianissimi, centro-meridionali, alla periferia di Milano, voi pensate: niente di più attuale, addirittura aderente alla cronaca, e che bella sensibilità politica! Potete anche pensarlo. Ma si tratta di un lavoro di teatro musicale firmato da Giorgio Battistelli con la regia di Daniele Abbado e siete costretti a fare i conti con esigenze di attualità e riuscita di linguaggio artistico, non solo con riferimenti, neanche tanti, all'emarginazione urbana di oggi.
Miracolo a Milano, il lavoro in questione, prende spunti dall'omonimo film di Vittorio De Sica e inserisce qua e là battute di un testo di Cesare Zavattini, Totò il buono (1943), a sua volta trasformato dallo scrittore di Luzzara in soggetto per quello stesso film. «Prende spunti» è un modo di dire. In realtà Abbado mette in scena pari pari con scelte stilistiche di pura marca melodrammatica grosse porzioni del favolistico-visionario film di De Sica. E Battistelli, che dell'opera dovrebbe essere il vero autore, e in effetti lo è, si fa imprigionare dall'idea peregrina di tradurre il tardo neorealismo in tardo neorealismo.
Perché questo accade per colpa di Abbado: una storia e una situazione sociale tanto caratterizzate e lontane nel tempo, un'opera cinematografica del filone neorealista non certo delle più asciutte sovversive e avant-garde (come Paisà di Rossellini, per esempio) vengono adottate e non reinventate. Con appena qualche ricordo di Brecht e qualche suggestiva «inquadratura» figurativo-teatrale, come quella iniziale dei corpi dei baraccati che si rotolano per terra mentre attorno viaggiano nuvole di fumo (un inferno, un day-after o una resurrezione) o come quella dell'«ultima cena» a base di pane, tutto procede sulla falsariga espressiva del film di De Sica, solo che a correre su e giù per acchiappare il raggio di sole anti-gelo sono le «masse artistiche» di un teatro d'opera, e lo fanno con quelle «folate» classiche imbarazzate e imbranate che conosciamo a memoria dagli allestimenti di innumerevoli melodrammi.
Come agisce Battistelli in questa sgradevole situazione registica? Parte subito con una musica fortemente melodizzante, tra l'impressionista e il tardo-romantico, fortemente segnata dal principio della tonalità, non nel senso dell'organizzazione temperata scolastica ma nel senso della collocazione di centri ben riconoscibili dentro il discorso sonoro. Non tralascia di far vagare i canti di una fisarmonica crepuscolare. Usa un coro in buca, vicino al bravissimo ensemble Icarus diretto da Erasmo Gaudiomonte, e a questo coro senza parole affida linee melodiche che hanno il sapore della «pietà per i vinti», un coro di mestizia patetica. Poi, con indubbio virtuosismo di scrittura, dote che gli è peculiare da sempre, si limita a fornire didascalie sonore all'azione scenica tradizionale che si svolge sul palco, certo sfoggiando magie ed effetti speciali, sottigliezze ed evanescenze, violenze tribali e metropolitane, ma non uscendo dal recinto del neorealismo di ritorno eretto da Abbado. Non ci esce e si sente: anche le parti più elaborate e raffinate sono convenzionali, servono una storia, servono un modo convenzionale di ri-raccontare una storia invece di trarne pochi simboli sonori e scenici e inventare una storia nuova e autonoma.
I baraccati si sfregano nevroticamente le mani intirizziti dal freddo? E Battistelli, con l'aiuto del grande manipolatore elettronico Alvise Vidolin e di inusitate (per lui) tastiere elettroniche, appronta una avvincente sequenza di suoni sintetici ribattuti che forse riascolteremo volentieri quando il compositore ricaverà da questa partitura una suite da concerto. Ma non è avvincente, solo descrittiva, la sequenza di suoni «liquidi» quando nella bidonville appena costruita le donne lavano i panni in vecchi mastelli. C'è anche la caduta catastrofica, inspiegabile: uno stornello romanesco, stentoreo, che si leva di punto in bianco tra le baracche dei poveracci. Il canto nostalgico dell'emigrante, s'immagina. Battistelli nazional-popolare? Battistelli così poco astutamente convertito alla «contaminazione»? E dire che lui è uno dei più acerrimi nemici (a parole, dovremo dire d'ora in poi) dell'uso del folk in contesti «colti», trovata abusata che dovrebbe essere dissacrante ed è soltanto furbastra. Il gelo scende davvero a questo punto nella sala del Valli e nell'animo dell'ascoltatore che ben conosce la storia eversiva e rigorosa di Battistelli.
Negli ultimi anni abbiamo avuto un Battistelli operista (Le scogliere di marmo, L'autunno del patriarca, Riccardo III) non più il Battistelli teorico e geniale artefice della «drammaturgia del suono». Con Miracolo a Milano si annuncia un Battistelli autore di colonne sonore? Scrive musica da film per un film che non c'è, perché al suo posto c'è un melodramma definito «non tradizionale» da compositore e regista ma tradizionalissimo nei fatti, anche senza romanze duetti e terzetti (c'è solo il basso Alessandro Svab nella parte del perfido imprenditore Mobic e canta pochissime note). Né Tiomkin né Morricone hanno la sua capacità di scrittura, ma tutti e due sono più indipendenti dalle immagini di quanto Battistelli lo sia da queste scene di neorealismo pretenzioso.

Mario Gamba

Battistelli-Abbado Miracolo a Reggio

Lo spettacolo s' intitola Miracolo a Milano ma miracoloso ne è l' esito. Il presupposto era infatti, più che ambizioso, pericoloso. Di realizzare, cioè, un lavoro di teatro musicale ispirandosi alla pellicola neorealista di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini. Non solo, di sottolineare quel tanto di denuncia politica implicito nel film, per quanto alleggerito da autentica poesia, trasformando la storia dei poveracci della periferia milanese in una metafora della condizione dei «senza patria» di oggi, gli immigrati. Non a caso, l' opera, affidata alla musica di Giorgio Battistelli e alla regia di Daniele Abbado, era pensata come spettacolo centrale di un trittico formato anche da due lavori in prosa, relativi l' uno ancora a Totò il buono di Zavattini, l' altro alla tragica storia dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa. Ora, il problema non è che sia vietato fare teatro politico. Ci mancherebbe, anzi. Il problema è che non s' è ancora visto negli ultimi anni spettacolo capace di formulare un teatro «a tesi» attraverso i linguaggi postmoderni di oggi. Né certo è auspicabile il ritorno, che risulterebbe anacronistico, del teatro politico anni Settanta. Bene, Miracolo a Milano di Battistelli, con la regia di Daniele Abbado, in tale «miracolo» riesce. Uno spettacolo che dice quel che vuol dire con le «parole» giuste per dirlo. Un' opera - ma il sottotitolo recita «Teatro di musica» - in cui drammaturgia e musica si alimentano l' una con l' altra, senza mortificare, ma anzi potenziando, la fantasia poetica di De Sica e Zavattini. Si dice la musica, ma si dovrebbe dire le musiche, tuttavia. La rappresentazione, piuttosto fedele alla pellicola, è contrappuntata infatti da suoni di natura diversa: quelli di una banda di paese, di un ensemble di archi gravi, di un coro in buca, dell' elettronica, quelli «concreti» emessi dagli stessi «barbonesi» (latte di alluminio, acqua nei secchi, rumori corporali): talmente variati e ben organizzati, questi ultimi, che all' inizio si pensa che l' autore stia facendo il sequel di Experimentum Mundi. Il tutto perfettamente miscelato e ben governato dalla direzione di Erasmo Gaudiomonte. Pochissimo testo, un po' di parlato, quasi nulla la vocalità. Musica e scena raccontano la storia da sole, senza bisogno di «morali». Merito dell' ormai sterminato vocabolario di oggetti sonori di cui è capace la fantasia del musicista; merito della recitazione viva, autentica, che la regia di Abbado suggerisce ai tanti attori in scena. E merito infine della perfetta integrazione dei linguaggi musicale e visivo. Qualcuno avrebbe preferito festeggiare i 150 anni del Valli con un bel Trovatore. Ma il successo è quantomai vivo.

Enrico Girardi

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 11:11
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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