Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo proprio, da Goethe
Di Arrigo Boito
direttore Nicola Luisotti
regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
scene Moshe Leiser
costumi Agostino Cavalca
light designer Christophe Forey
video designer Etienne Guiol
coreografia Beate Vollack
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Alfonso Caiani
coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani
maestro del Coro Diana D’Alessio
altro maestro del Coro Zoya Tukhmanova
Nuovo allestimento Teatro La Fenice
Personaggi e interpreti
Mefistofele Alex Esposito
Faust Piero Pretti
Margherita Selene Zanetti
Marta/Pantalis Kamelia Kader
Elena Maria Teresa Leva
Wagner/Nereo Enrico Casari
Venezia, Teatro La Fenice 22 aprile 2024
Quando si dice saper fare regia. Il Mefistofele di Arrigo Boito, in scena al Teatro La Fenice di Venezia, a firma di Moshe Leiser e Patrice Caurier, è uno spettacolo intelligentemente provocatorio, vivo, innovativo, con un uso sapientissimo di singoli e masse, con una scenografia (curata da Leiser) a tratti vuota, ma riempita di idee. L’opera di Boito, diseguale nella scrittura, tanto ambiziosa nelle premesse teoriche quanto convenzionale in molte sue pagine, si presta in realtà perfettamente all’operazione dei due registi, che partono proprio dalla disomogeneità della partitura per costruire un itinerario teatrale spiazzante. Le ellissi drammaturgiche, le necessarie semplificazioni del libretto, quella sorta di imperfetta ipertrofia figlia del desiderio di restituire in musica uno dei massimi capolavori della letteratura: tutto questo diviene, nelle mani della coppia Leiser/Caurier, strumento per una lettura che non smette mai di stupire. Tutto ha inizio con un Prologo in cielo che altro non è che il palcoscenico vuoto - come il nostro cielo di oggi, orfano di dei e abitato da idoli - ove si aggira, solo, un Mefistofele annoiato. Il coro angelico canta la sua possente salmodia senza che il pubblico lo veda e tale scelta amplifica la suggestione di una delle pagine più belle di questo diseguale lavoro. Faust (un Piero Pretti tanto efficace vocalmente quanto convincente sotto il profilo attoriale) è nostro contemporaneo (“i classici sono sempre contemporanei”, diceva Goethe stesso). Fugge da un’esistenza borghese che non lo appaga più e si affida volentieri a un Mefistofele letteralmente irresistibile che ha la voce - possente, scura e morbida-, ma soprattutto il corpo e la recitazione di un Alex Esposito sempre più attore cantante di ineguagliata grandezza. È proprio lui il protagonista assoluto, che detta i tempi e i modi dello spettacolo: consegna la partitura al direttore all’inizio e pone fine all’esibizione con un coup de théâtre che non sveleremo. La domenica di Pasqua a Francoforte si trasforma in una partita di calcio con tanto di tribune, tifo scatenato e atletici cheerleaders; la Notte del Sabba romantico è una sconvolgente tregenda che rievoca con nera ironia l’incendio che distrusse la Fenice stessa; teatro che, specchiandosi in sé stesso, diviene poi l’elegante e azzimata cornice per il Sabba classico. Chiaro che una simile impostazione necessiti anche di un team all’altezza e di interpreti adeguati. Perfetto il light design di Christophe Forey, così come i video di Etienne Guiol e le coreografie di Beate Vollack. Essenziale l’apporto di un gruppo di bravissimi ballerini / performer, capaci di passare con disinvoltura dall’esibita fisicità del tifo alla grazia della danza sulle punte nel Sabba classico. Sul fronte delle voci, abbiamo già detto di Faust e Mefistofele, ma tutti i cantanti hanno perfettamente colto lo spirito dello spettacolo. Selene Zanetti, chiamata all’ultimo a sostituire l’indisposta Marta Torbidoni, è una Margherita di pregevole finitura vocale, Maria Teresa Leva si fa apprezzare quale opulenta Elena, così come sono adeguati ai rispettivi ruoli Kamelia Kader (Marta/ Pantalis) e Enrico Casari (Wagner/ Nereo). Il coro, chiamato da Boito a un impegno straordinario, lo assolve con un’esecuzione da manuale per intonazione, compattezza delle voci, sfumature e dinamiche (bravo il direttore Alfonso Caiani). E finalmente un coro capace di agire sul palco come se fosse un personaggio (altro merito dei due registi). Lodevole anche il contributo dei Piccoli Cantori Veneziani, guidati da Diana D’Alessio. Dal podio, Nicola Luisotti riesce miracolosamente a costruire una narrazione compatta, teatralissima, ponendo in ombra le disomogeneità drammaturgiche e tessendo invece le fila di un discorso musicale coerente e vivo. Così, Prologo ed Epilogo sfuggono al rischio di cadere nella chiassosa ridondanza sonora, ma sono invece animati da una vibrante tensione interna grazie alla mutevole articolazione ritmica. Le finezze della scrittura rilucono di smalto inedito grazie al contributo degli strumentisti della Fenice, ma anche il canto è sostenuto con sapienza e ottimo risulta sempre l’equilibrio tra le masse sonore. La retorica di certe pagine ne viene così smorzata e, soprattutto, Luisotti non legge Boito come un antesignano del verismo, ma riesce a evidenziarne da un lato l’ironia sulfurea e dall’altro l’istrionica enfasi. Al termine della recita, un trionfo per tutti. Fabio Larovere