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LUISA MILLER - regia Leo Nucci

Bozzetto di "Luisa Miller" Bozzetto di "Luisa Miller"

Melodramma tragico in tre atti
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Salvatore Cammarano
Tratto dalla tragedia "Kabale und Liebe" di Friedric Schiller
Direttore Andrea Battistoni
Regia Leo Nucci (ripresa da Salvo Piro)
Scene Rinaldo Rinaldi, Costumi Alberto Spiazzi, Luci Claudio Schmid (riprese da Luciano Novelli)
Miller Leo Nucci
Luisa Anna Pirozzi
Rodolfo Giuseppe Gipali
Conte di Walter Carlo Colombara
Federica Daniela Innamorati
Wurm Giovanni Battista Parodi
Laura Sofia Koberidze
Un contadino Alberto Angeleri
Orchestra e coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Pablo Assante
Allestimento Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Comunale di Ferrara e Teatro Alighieri di Ravenna
Genova, Teatro Carlo Felice, dal 18 al 28 novembre 2014

www.Sipario.it, 19 novembre 2014

Metti Rigoletto in Tirolo, e Violetta che si sacrifica, non per il suocero bensì per il proprio papà... Ben ritrovata Luisa Miller, sul palcoscenico lirico genovese fino al 28 novembre. Un titolo che garantisce dolci patemi (tre morti in scena – di cui due ingiuste – non se li fa mancare) ed accende euforici stupori a tutti coloro che amano Verdi, ma che si son lasciati sfuggire questa portentosa creatura: meno fortunata, ma zeppa di idee e colpi di scena musicali.
Qui mancava dal 1972, una latitanza che ben testimonia lo stato dell'arte della Luisa, concepita controvoglia nel 1849 per ottemperare ad un vecchio contratto con l'impresario del San Carlo di Napoli, un'opera molto nota per la sua gemma tenorile "Quando le sere al placido" ma poco data, nel mondo.
Uomo di teatro, prima ancora che di pentagrammi, l'immenso genio ispido (per barba e per weltanschauung), al tempo trentaseienne, si affida nuovamente a Schiller, per la terza volta nella sua giovane carriera. Grazie all'onesto artigianato letterario di Cammarano, traslittera la tragedia Kabale und Liebe sul palco melodrammatico. La "trilogia popolare" è sulla soglia, e la partitura immortala il leone di Busseto, subito prima del balzo. Sembra fermo (in un contenitore convenzionale, di routine primo ottocentesca) ma l'energia che esprimono i fasci di muscoli manifesta già, appieno, la frenesia dirompente del salto. Perché in Luisa Miller c'è già tutto: dall'apparente, iniziale, rassicurante clima donizettiano, via via snidiamo il Verdi di La traviata e Rigoletto, l'approfondimento psicologico dei singoli personaggi, l'ossessione per il nodo della paternità turbata, la denuncia sociale nel sacrificio della protagonista femminile, sola ed umiliata di fronte alla sfrontata violenza del potere.
Limite o pregio, non sapremmo, il fatto che in tale tormentata storia d'amor sensuale sacrificato sull'altare dell'amor filiale, è giusto un po' più difficile, quell'immedesimazione che, alla morte di Violetta o di Gilda, tramuta la platea in un sudario di lacrime. Perché la prevedibilità formale, specialmente nella prima metà dell'opera, mette in evidenza le regole, gli snodi meccanici di questo meraviglioso ed altissimo gioco che è l'opera, ed una cieca immedesimazione, ed una sana esaltazione, sono più difficili. Paradossalmente però, la musica si gusta di più: tutte le libertà che il compositore si prende, nell'orchestrazione e nell'aderenza creativa dell'elemento sonoro all'interno della drammaturgia. Si gode quella "seconda maniera" verdiana che non sarà magari pienamente codificata, ma è già tutta lì, a imbevere la spugna della partitura.
L'edizione (molto applaudita, dal principio alla fine), già vista e già celebrata altrove, è la classica ciambella col buco, frutto della qualità di tutti gli ingredienti e della loro sapiente manipolazione. Su tutti spicca Leo Nucci, quel giovane settantenne che, quando calca la scena, infuoca e manda in sollucchero persino la platea di una città che, non a caso, vanta quale prodotto caseario peculiare, la "prescinseua" (una cagliata acida).
Destabilizza un poco (in positivo, s'intende), vedere il più grande Rigoletto degli ultimi decenni nei panni di Miller, padre di Luisa, con certe frasi musicali e certi impasti strumentali che danno la vertigine illusoria d'assistere ad una seconda vita segreta (anzi, terza) del buffone mantovano del dramma di Hugo. Ancor più, ricordando che Nucci è qui anche regista, burattinaio elegante, rispettoso, intelligente, nella gestione di questo bello spettacolo dove lo spazio e i gesti sposano la partitura con meticolosità ed apprezzabile equilibrio.
A proposito di destabilizzazioni: accade anche, quando si ascolta un'orchestra partecipe e tesa, crepitante al mantice gestuale della bacchetta, per poi rammentare che sul podio c'è un ventiseienne, quell'Andrea Battistoni, ottimo acquisto per il teatro ligure (ingaggiato per una lunga lista di produzioni) che non è più una promessa perché l'ha già mantenuta.
Non solo funzionali, per quelle quinte mobili che azzerano i tempi morti, ma anche sapide, poeticamente pittoriche, delicatamente ligie al dramma schilleriano, le scene di Rinaldo Rinaldi... Permane, a fine serata, il ricordo della potente bellezza della seconda scena del primo atto, in cui è raccontata la sala del castello di Walter.
Eccellente, la Luisa di Anna Pirozzi, con la sua vocalità antica (per colore e per tempra) e con adeguata solidità nel doppio tavolo su cui Verdi chiede di giocare il personaggio: non dissimile da quello di Violetta, dove, secondo i momenti, dev'essere... ciò che serve, soprano di coloratura con una salda zona centrale, ma persino un drammatico d'agilità... Perfetto il Rodolfo di Giuseppe Gipali, un tenore non da arene, ma: meglio grande qualità che grande volume. Ottima anche la Federica di Daniela Innamorati. Buona prova ed applausi anche per Carlo Colombara (Conte), Giovanni Battista Parodi (Wurm) e per il cammeo di Sofia Koberidze (Laura).
Chi può, non se la perda.

Giorgio De Martino

Ultima modifica il Mercoledì, 19 Novembre 2014 14:56

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