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FILLE DU RÉGIMENT (LA) - regia Filippo Crivelli

"La Fille du régiment" - regia Filippo Crivelli "La Fille du régiment" - regia Filippo Crivelli Foto Photo@Studio Camera

Opéra-comique in due atti
Musica di Gaetano Donizetti
Libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Direttore Benjamin Pionnier
Regia Filippo Crivelli
Scene e costumi Franco Zeffirelli
Luci Bruno Ciulli, Assistente del regista Carlo Cinque
Interpreti (II cast)
Marie - Laura Giordano
La Marquise de Berkenfield - Francesca Franci
La Duchesse de Crakentorp - Filippo Luna
Tonio - Mert Sungu
Sulpice - Giorgio Caoduro
Hortensius - Paolo Orecchia
Un Notaire - Pietro Arcidiacono
Un Caporal - Emanuele Cordaro
Un Paysan - Alfio Marletta
Maitre de ballet - Giuseppe Bonanno
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Maestro del Coro Pietro Monti
Allestimento del Teatro Massimo
Palermo, Teatro Massimo, dal 17 al 24 settembre 2014

www.Sipario.it, 29 settembre 2014

La Fille du régiment : una raffinata lezione di teatro nel segno dello storico allestimento di Franco Zeffirelli per la regia di Filippo Crivelli

Sul finire del 1838 Donizetti abbandona la carica di direttore dei reali teatri di Napoli dopo circa dieci anni di splendore della civiltà creativa partenopea. Ma giungevano già i segnali di una crisi politica e culturale e Donizetti lascia. Aveva compreso che il destino del teatro comico italiano passava per Parigi e nel 1840, proprio all'Opéra, strizzando già l'occhio all'incombente vaudeville, va in scena La Fille du régiment, su libretto di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges. L'opera fu accolta fra numerose perplessità di pareri contrastanti, non ultimo quello lancinante di Hector Berlioz, ma forse il vero problema dell'opera era il libretto, non ben correlato alla musica e, soprattutto, mal articolato sul piano della resa drammatica, tale, a nostro avviso, da consegnare agli allestimenti, nel tempo, il facile rischio di rappresentazioni insipide e opache. Oggi l'opera torna a Palermo nel suo unico e insuperato allestimento possibile: quello storico del 1959, creato per il Teatro Massimo di Palermo da Franco Zeffirelli, che allora ne firmò scene, costumi e regia.
L'opera è rappresentata in una sequenza di quadri scenici raffinatissimi che Zeffirelli crea distribuendo sapientemente, nella profondità prospettica del palcoscenico, fondali e quinte dipinti a trompe-l'oeil, montati a maquette che evocano, alla maniera immaginifica, dapprima i paesaggi montani e le vedute melanconiche di un villaggio svizzero trasfigurato come in un sogno illustrato che supera le visioni naturalistiche del vedutismo di maniera, e, in ultimo, l'ironica preziosità elegantemente caricaturistica del salone del castello di Berkenfield. Un sapiente gioco coloristico di immagini ispirate alle storiche illustrazioni dell'antica stamperia di Pellerin a Épinal. Una sfida virtuosa agli estremismi spesso sterili delle scelte di allestimento del teatro di oggi, orientate o verso invadenti gigantismi o inutili forme di minimalismo.
Mentre c'è chi, purtroppo dal suo interno, invita, tra le righe, alla demolizione dei valori del teatro, le scene di Zeffirelli e la regia di Crivelli ci insegnano che gli strumenti del teatro e le sue soluzioni rappresentative sono tali e tanti da consentire la ricerca innovativa senza compiere mutilazioni delle forme, senza forzare i limiti storici per autocompiacimento.
L'equilibrio tonale dei cromatismi pittorici e costumistici conferisce all'opera la leggerezza vigile e scherzosa a essa connaturata, che coincide felicemente con l'agio interpretativo di tutto il cast armonicamente coinvolto dall'accurata e fantasiosa regia di Crivelli nel gioco fascinoso della luce, del colore e dell'illusione pittorica, in una ricca e variegata convivenza nella maquette di paesaggi e personaggi come in un bozzetto vivente.
La regia restituisce al libretto dignità e forza drammatica e interpreta pienamente, nella sapiente concertazione della gestualità e dei movimenti, il carattere fresco, ritmico e giocoso della musica di Donizetti, comunque attraversata inevitabilmente dall'ombra imponente del Rossini de Le comte Ory. L'articolazione delle controscene efficacemente curate, conferisce ai personaggi la dimensione di un composito equilibrio di movimenti che rende flagranti i corpi tenendo conto dei ritmi di partitura, senza paralizzare le masse in scena, senza costringere i cantanti a gestualità da spiccio naturalismo. E quando scene e regia costruiscono l'impianto drammatico dentro un preciso profilo rappresentativo gli artisti stanno nel costume, non si lasciano attraversare dalle scene ma ne sono parte. Per tutto questo e per molto altro ancora Zeffirelli e Crivelli ci consegnano una lezione di teatro che giunge, non casualmente, a inaugurare, di fatto, l'avvio di una nuova stagione del Teatro Massimo. Un plauso speciale va al giovane soprano Laura Giordano, nella parte di Marie, per la sua fresca e morbida vocalità, mai spinta, leggerissima nei filati, setosa e discreta negli acuti, ben combinata ai movimenti scenici nei quali appare agile, efficace ed espressiva, oltre che fisicamente capace di grande controllo vocale, anche quando la direzione di Pionnier dilata i tempi o crea, a tratti, discontinuità al sostegno della sintassi musicale e del fraseggio. E poi: la deliziosa caratterizzazione della Marquise de Berkenfield di Francesca Franci, efficacemente condotta in un sapiente equilibrio di vocalità musicale e recitativa; l'esilarante "bravura" scenica en travesti dell'attore Filippo Luna, nella parte della Duchesse de Crakentorp e un elegante e mai "sopra le righe" Giorgio Caoduro, nella parte di Sulpice. Da apprezzare l'eroico sforzo del tenore Mert Sungu, nella parte di Tonio, dignitosamente in scena nonostante un' indisposizione.
Infine, una lezione di teatro, anche per non dimenticare e continuare a riconoscere l'arte della scenografia, per ritrovare il disperso senso del teatro d'arte all'italiana.

Violante Valenti

Ultima modifica il Lunedì, 29 Settembre 2014 11:45

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