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FIDELIO - regia Joan Anton Rechi

"Fidelio", regia Joan Anton Rechi "Fidelio", regia Joan Anton Rechi

Opera in due atti di Ludwig van Beethoven su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke.
versione 1814
editore proprietario Breitkopf, Wiesbaden
Don Fernando Bongani Justice Kubheka
Don Pizzarro Oliver Zwarg
Florestan Ian Koziara
Leonore Tamara Wilson
Rocco Tilmann Rönnebeck
Marzelline Ekaterina Bakanova
Jaquino Leonardo Cortellazzi
Primo prigioniero
Dionigi D’Ostuni
Secondo prigioniero
Antonio Casagrande
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Mestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Joan Anton Rechi
Scene Gabriel Insignares
Costumi Sebastian Ellrich
Light designer Fabio Barettin
Venezia, Teatro La Fenice, 30 novembre 2021

Il Giornale, 6 dicembre 2021

Con la replica del 30 novembre si sono concluse al Teatro La Fenice di Venezia le rappresentazione del Fidelio di Ludwig van Beethoven, opera prescelta per l'inaugurazione della Stagione musicale 2021-2022 e attesa ancora dall'anno scorso. E questo ciclo di rappresentazioni si è concluso nel miglior modo possibile, con applausi, ripetute acclamazione e chiamate in proscenio da parte del pubblico che ha riempito il teatro veneziano il tutte le date in calendario, indirizzate agli artefici dello spettacolo ma soprattutto il direttore Myung-Whun Chung a cui spetta il merito della gestione complessiva di questo progetto, lui riconosciuto come uno dei massimi interpreti di Beethoven. Chung stesso, nel programma di sala, spiega il suo rapporto con l'unica opera teatrale di Beethoven un paradigma sull'amore, la libertà e la fraternità. Ma non solo. Si tratta di un lavoro che ha coinvolto il compositore di Bonn in un processo creativo durato nove anni tra varie versione e rimaneggiamenti, alla ricerca di una perfezione ideale. Questo lavoro di ostinato riadattamento è sintetizzata proprio dall’ Ouverture dell'opera stessa. Sono quattro le Ouvertures Leonore e corrispondono all'incirca alle diverse elaborazioni del «Fidelio». La Leonore n. 1 fu composta in un secondo tempo, nel 1807, ma non venne eseguita, unica tra tutte, con un numero di catalogazione ufficiale, vale a dire Op. 138. La Leonore n. 2 fu invece composta per le prime rappresentazioni del 1805 (il Fidelio nella sua versione originale), edita soltanto dopo la morte dell'autore. La Leonore n. 3 venne composta un anno dopo, nel 1806, per la ripresa. Si tratta dell'Ouverture più celebre, quella che ancor oggi vive come brano isolato nei concerti sinfonici, ma in repertorio solo alla fine dell'Ottocento. La Leonore n. 4 fu invece concepita in occasione della ripresa definitiva del Fidelio del 1814: è la meno importante sotto il profilo musicale, ma è quella rimasta come Ouverture ufficiale dell'opera. Ma è la Leonore n. 3, risalente al 1806 che viene utilizzata da Chung come introduzione e che ha da filo conduttore alla sua lettura del Fidelio veneziano eseguita a sipario chiuso a dimostrazione del suo valore strumentale sinfonico. Il direttore coreano ne accentua l'impronta dello stile fatto di intensa ritmicità nei tempi, con improvvisi salti e variazione di stile rievocativo di ciò che accadrà nel corso dell'opera. Opera di transizione che annuncia nuovi mondi, ma nel contempo ha l'andamento del Singspiel, con parti recitate costruita su soggetto che viene proposto a Beethoven dall’amico Joseph Ferdinand Sonnleithner, avvocato e librettista. Un pièces à sauvetage Leonore ou l’amour conjugal, del 1798 un ossia dramma a lieto fine con il personaggio principale destinato ad una fine tragica ma con una felice risoluzione del dramma in cui trionfano gli alti ideali di giustizia. Fu soggetto assai praticato in epoca napoleonica tanto che venne utilizzato in forma di vero melodramma da Ferdinando Paer nel 1804 e da Johann Simon Mayr nel 1805. Beethoven inizia a lavorare all’opera nel 1803 e termina nel 1805, solo la prima di successive rielaborazioni, che verranno eseguite nel 1806 e nel 1814 a Vienna con esisti contrastanti come contrastante è la stessa struttura dell'opera tra una vocalità di impianto settecentesco e di classicismo francese, con la possente struttura sinfonica. Gli aspetti vocali sono costruiti sul modello mozartiano del Singspiel, con recitato e ampi momenti di arie parti di assieme, esemplificato dalla scena iniziale tra Marzelline e Jaquino, qui a Venezia rispettivamente il soprano Ekaterina Bakanova e il tenore Leonardo Cortellazzi che hanno esemplificato in modo preciso nella rispettive linee di canto, sobria e priva di ammiccamenti, i loro rapporto di coppia "sospesa" in attesa degli eventi accentuando un carattere quasi da commedia borghese e di dapontiana memoria. Un complesso musicale che si basa su una resa vocale di intensità drammatica che permette una definizione a tutto tondo assai semplificata dei caratteri personaggi, nella gestione sia musicale di Myung-Whun Chung che registica condotta dallo spagnolo Joan Anton Rechi che li definiscono in maniera asciutta e compatta senza tante sottigliezze psicologiche cosa che può offrire il fianco ad una pochezza di idee. Ci si aspettava una regia politicamente definita, considerato i riferimenti storici, citati dal regista stesso, della Spagna anni'30 e del lavoro forzato per la costruzione della Valle dei Caduti, imponente memoriale eretto alla fine Guerra civile spagnola, condotto dai prigionieri del fronte repubblicano. Il risultato in scena si è limitato ad una relitto di statuaria classica strutturato come un cantiere in corso d'opera al cui interno si cela l'ingresso alle segrete realizzate, nel secondo atto, da un buio cunicolo a cerchi concentrici, scene realizzate da Gabriel Insignares. I costumi di Sebastian Ellrich ci portano a delle divise generiche di vaga collocazione storica, quelli Rocco e Jaquino e che purtroppo ingoffano Leonore/Fidelio, tute da lavoro quelli dei prigionieri, doppio petto quello di Pizarro e del Ministro don Fermando. Un buon gioco di luci di Fabio Barettin ha permesso di dare profondità alla complesso della scena. Tra i cantanti ha ben figurato il basso Tilmann Rönnebeck nell’ambigua parte di Rocco ma alla fine buon padre di famiglia, con voce ben articolata e ottima gestione del recitato; Don Pizzarro ha trovato un buon interprete in Oliver Swarg, accentuando i carattere ambiguo del suo ruolo. Ci si sarebbe aspettato qualcosa in più dal Fidelio di Tamara Wilson, capace di tratteggiare una Leonore fiera e determinata e al contempo dolce e impaurita: non è parsa a suo agio nei passaggi di agilità, calante nella parte finale degli acuti, risultati un pò aspri. Problemi di intonazione Ian Koziara era nei panni di Florestan, che si è presentato con voce strozzata vanificando tutta la tensione della sua scena. Risolutivo Bongani Justice Kubheca quale Don Fernando come, pienamente in parte, Dionigi D’Ostuni e Antonio Casagrande, primo e secondo prigioniero. Successo pieno per il coro, in mascherina con le sue uscite come coro dei prigionieri del finale del I atto e all'atto del finale, preparato da Claudio Marino Moretti. Come si diceva: un progetto pienamente riuscito a giudizio del pubblico.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Venerdì, 17 Dicembre 2021 18:43

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