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DIE ZAUBERFLÖTE - regia Daniele Abbado

"Il flauto magico", regia Daniele Abbado "Il flauto magico", regia Daniele Abbado

Singspiel in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart, libretto di Emanuel Schikaneder
Personaggi e interpreti:
Sarastro Antonino Arcilesi, Tamino Samuele Di Leo,
Oratore/Primo sacerdote Luca Romano, Secondo sacerdote/Primo armigero Gianluca Moro,
Regina della Notte Martina Saviano, Pamina Gabriella Ingenito,
Prima dama  Gesua Gallifoco, Seconda dama Silvia Caliò, Terza dama Alena Sautier, Tre geni Arianna Russo Vittoria Trapasso Eliana Uscidda,
Una vecchia (Papagena) Giada Venturini, Papageno Ernesto de Nittis, Monostatos Davide Zaccherini,
Secondo armigero Davide Canepa, Tre schiavi Thomas Angarola Federico Benvenuto Stefano Pavone
Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova.
Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova.
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini.
Maestro concertatore e direttore Giancarlo Andretta.
Regia Daniele Abbado.
Regista collaboratore Boris Stetka. Scene Lele Luzzati.
Costumi Santuzza Calì. Coreografie DEOS, Luci Luciano Novelli.
Al Teatro Carlo Felice di Genova. La prima 13 giugno. Repliche, anche con cast diversi, il 14-15-20-21 e 23 giugno 2025

www.Sipario.it, 15 giugno 2025

La messa in scena di Die Zauberflöte da parte del Teatro Carlo Felice di Genova, che riprende rinnovandolo l'allestimento di vent'anni fa nato dalla collaborazione tra il regista Daniele Abbado ed il mai dimenticato Daniele Luzzati, valorizza in maniera particolare l'opera stessa utilizzando i solisti 'laureati' alla Accademia di alto perfezionamento della Fondazione stessa, proprio perchè la fusione e condivisione tra interpreti e Opera, senza egotici presenzialismi da 'star', giunge paradossalmente ad un livello di profondità che non sempre è consentito.

Soprattutto quando, come in questo caso, si tratta di un'Opera Mondo che si manifesta dalla semplicità di una drammaturgia che non è tanto, come giustamente sottolinea il regista, una fiaba alla cui struttura mancano molti elementi, quanto piuttosto un 'sogno' dai tratti shakespeariani (talora la nostra immaginazione di spettatori vi sovrappone 'involontariamente' il Sogno di una notte di Mezza Estate del Bardo), un sogno che educa alla realtà, potendosi consentire slanci e anche forzature significanti fino al metafisico che la realtà stessa non consente o accoglie.

È uno straordinario precipitato di alto e basso, di sublime e ingenuo, di patetico sentimentale e patetico tragico, un percorso e, appunto, una educazione sentimentale alla realtà e alla verità a cui nessuno dentro e fuori lo spettacolo stesso, tra gli artisti e il pubblico, che siano ingenuamente 'popolari' o iniziaticamente 'sublimi', vuole o può 'sottrarsi'.

Il Flauto magico, dunque, volenti o nolenti appartiene a tutti noi, è cioè opera universale di cui quello stesso materiale strumento (il flauto intendo con i correlati campanelli) è metafora, è il segno 'concretissimo' e sonoro di una drammaturgia che distilla la commedia d'arte e la feconda con il lievito del più sublime teatro tragico, e di una musica che, qui magistralmente, nella infinita varietà dei timbri ritmici e melodici e nella infinita varietà delle relazioni e delle sovrapposizioni sonore, tra onomatopeie e slanci ultra-naturalistici, non si accontenta di 'imitare' la realtà ma la ri-costituisce nella sua più profonda sincerità.

Alla fin fine questa “Opera tedesca in due atti”, che ha esordito nel 1791 nel periferico e popolare Theater auf der Wieden dell'impresario e librettista Emanuel Schikaneder, 'siamo' noi, essendo essa capace di raccogliere e rendere coerente il desiderio di semplicità di un qualunque Papageno con gli slanci sublimi e metafisici, tra Kant e Goethe e l'Illuminismo massonico, di un qualunque principe Tamino, seduti entrambi e che si intravvedono nell'oscurità di una qualunque platea del mondo. Un miracoloso e luminoso paradosso.

Una presa d'atto pre-logica e anche pre-linguistica, ma intensamente sentimenale, che il mondo è buono e cattivo, che in esso c'è l'oscurità della Regina della Notte e la luce della ragione, e sono entrambe riscattate dalla bellezza e dalla presenza dell'uomo e della donna che condividendole le trasfigurano nella finale 'trasformazione'.

La narrazione che transita in scena è a tutti nota ed è così latamente 'incoerente' proprio per farsi culla della straordinaria coerenza della partitura.

Per raggiungere questo scopo intrinseco, in questo bell'allestimento collaborano con efficacia la regia di Daniele Abbado con la scenografia 'magica' di Lele Luzzati, i costumi di Santuzza Calì, che a lungo ha collaborato con Luzzati, con l'ottima orchestrazione del Maestro concertatore e direttore Giancarlo Andreatta.

La prima ha privilegiato il 'movimento', in una prossemica moto curata e in grado di sottolineare con efficacia gli aspetti più propriamente narrativi insieme a quelli simbolici, in una 'tessitura' anti-naturalistica più 'naturale' della Natura stessa.

Il maestro Andreatta, da parte sua, dopo aver sottolineato come la particolare intensità dello studio con i giovani cantanti dell'Accademia abbia contribuito alla particolare 'unità' complessiva della messa in scena, sottolinea il particolare l'effetto alienante che scaturisce dal contrasto tra la strumentazione di allora e quella moderna, in una restituzione del “suono vocale” di Mozart che è un divenire ed una trasformazione continua.

Infine il cast delle voci di giovani cantanti destinati a nuovi futuri successi, tra i tanti che compongono la platea dei personaggi del Flauto, segnaliamo, senza voler far torto agli altri, la Pamina di Gabriella Ingenito, insieme dolce e potente nelle sue sonorità, la Regina della Notte di una Martina Saviano che supera brillantemente la prova di un ruolo irto di difficoltà di canto ma anche di grande effetto, e infine il Papageno di Ernesto de Nittis, che si conferma un 'basso' di grande potenzialità e chiarezza ed anche un attore, in questo caso buffo, assai preparato.

È infatti questa, un'Opera in cui, come da tradizione di luogo e di tempo, il recitato ha parte importante, una parte che le moderne soprattitolazioni consentono, in fondo valorizzandolo, di far coerentemente apprezzare negli aspetti di legame narrativo anche all'odierno spettatore non di lingua tedesca.

Ma mi si consenta una specifica segnalazione, infine, per i Tre geni che attraversano il cielo di questo spettacolo, le voci bianche molto raffinate Arianna Russo, Vittoria Trapasso e Eliana Uscidda, che enfatizzano la loro ottima prestazione vocale con una mimica intensa.

Di particolare rilevanza, proprio per la particolare struttura scenica con molto recitato, anche la buona prestazione di mimi e danzatori che nei loro bellissimi costumi evocano l'onirica presenza della Natura dentro l'Umanità, e come al solito eccellente la prestazione del coro e del coro delle voci bianche del Carlo Felice.

Una miscela che ha prodotto un grande successo che va oltre il quasi irresistibile richiamo di Mozart e del suo Flauto Magico. Il grande Teatro Carlo Felice di Genova pieno in ogni ordine di posto, molti applausi a scena aperta e lunga ovazione finale.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Martedì, 17 Giugno 2025 08:35
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