libretto: Myfanwy Piper
musica: Benjamin Britten, direttore: Bruno Bartoletti
regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi, coreografia: Gheorghe Iancu
con Marlin Miller, Scott Hendricks, Alessandro Riga
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Venezia, Teatro La Fenice, dal 20 al 29 giugno 2008
L' ultima Opera di Benjamin Britten è Death in Venice (1973) che la poetessa Myfanwy Piper rielaborò per lui partendo dalla celebre Novella di Thomas Mann La morte a Venezia. E qui sorge un primo interrogativo rimasto, che io sappia, insoluto: perché il titolo inglese abolisce l' articolo? I due titoli non vogliono dire la stessa cosa: quello dell' Opera si legge come un fatto («la morte di un taluno avvenuta a Venezia»), l' altro come la presenza della Morte che pervade Venezia e produce la perdita del protagonista. Eppure a questa differenza non corrisponde alcun discostarsi dell' Opera rispetto alla sua fonte, i due testi improntati da comuni simbolo e significato. La partitura di Britten venne eseguita la prima volta al Festival «personale» del grande compositore, Aldeburgh; indi gli stessi interpreti, a cominciare dal compagno di una vita dell' autore, il tenore Peter Pears, si trasferirono in blocco alla Fenice di Venezia, ove avvenne la prima esecuzione assoluta fuor dell' Inghilterra. L' ascoltai anche io: l' Opera circolò in più d' un teatro italiano, in particolare Genova, ove nacque l' allestimento che adesso La Fenice riprende. La storia è questa. Un Grande Scrittore tedesco di mezz' età, di fama consacrata tanto da essere modello etico alla Nazione, attraversa un momento di crisi e decide che una vacanza a Venezia gli farà bene. Al Lido nel suo stesso albergo alloggia un' aristocratica famiglia polacca, madre, due bambine e un maschio adolescente, Tadzio. Il Grande viene colpito dalla perfetta bellezza del ragazzo e dai suoi modi alteri ed eleganti. Con spavento si accorge di esserne del tutto innamorato, lui, il modello etico; mai lo avvicina e gli parla, si limita a contemplarlo in spiaggia o a seguirlo in lunghi giri della città: il ragazzo resta indifferente a questa continua presenza muta accanto a lui. Intanto, mentre le autorità cercano in ogni modo di negare il fatto, un' epidemia di colera giunge sin a Venezia e si diffonde: ma né lo scrittore né il ragazzo partono. Il Grande vive la vicenda come una lotta entro di lui fra ethos e pathos, fra Apollo e Dioniso, come la vittoria contro l' etica di ciò ch' è naturale, informe, oscuro. Il giorno della partenza dei polacchi lo scrittore muore contemplando l' estrema volta il ragazzo sul lido. È un amore pederastico interpretato giusta concetto nicciano. Ma proprio ricorrendo a Nietzsche il simbolo può più ampiamente svelarsi: coloro che hanno la consapevolezza di vivere soffrono e invidiano coloro che vivono senza averne il sentimento. Un bellissimo adolescente può essere l' emblema della seconda categoria, perché si pensa che alla bellezza congiunta all' età non possa seguire che la felicità dell' inconsapevolezza: si vorrebbe allora esser colui e il solo modo, ancorché affatto illusorio, di trasformarsi in qualcuno, è di possederlo. Se ciò fosse possibile, si giungerebbe a una consapevolezza dell' inconsapevolezza di sé, e ciò dimostra che il Giovane Sigfrido è mito e l' infelicità il destino comune. Poiché non parla, Tadzio non può essere che un giovanissimo ballerino: il tocco colorito di questa casta partitura è dato dai giuochi ginnici che il ragazzo affronta con gli amici, mentre l' orchestra diviene selvaggia e cupa quando lo scrittore ha l' incubo di partecipare a un' orgia dionisiaca circondato da giovani uomini completamente nudi, il che nel nostro allestimento avviene alla lettera (coreografia di Georghe Iancu, regia di Pierluigi Pizzi). Per il resto, è da ammirarsi il delicatissimo cesello delle parti vocali, che nulla ha da fare con gli ampli salti della musica espressionistica ma è ricompreso entro piccoli intervalli; e di una partitura concepita per grumi di colori dietro ai quali si cela la presenza, più che elaborazione, tematica. L' Opera ha in fatto due soli protagonisti, un tenore che impersona il Grande e un baritono che impersona le tante figure diaboliche spingenti il primo verso l' abisso: e sono, di bravura eccezionale, Marlin Miller e Scott Hendricks. Nell' ambito del bello e, come dicevo, esplicito allestimento di Pizzi, danzano le due giovani étoiles Alessandro Riga e Danilo Palmieri. Il coro è preparato con virtuosismo dal maestro Alfonso Caiani. Bruno Bartoletti concerta e dirige con tali raffinatezza e autorità da far scordare il direttore della «prima» assoluta.
Paolo Isotta