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COSÌ FAN TUTTE K588 – regia Yamal das Irmich

"Così fan tutte K 588", regia Yamal das Irmich. Foto ENNEVI "Così fan tutte K 588", regia Yamal das Irmich. Foto ENNEVI

Dramma giocoso in due atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore d'orchestra Francesco Ommassini
Regista Yamal das Irmich
Scene Angelo Finamore
Costumi Silvia Bonetti
Luci Paolo Mazzon
Maestro del Coro Vito Lombardi
Direttore allestimenti scenici Michele Olcese
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
ORCHESTRA E CORO DELLA FONDAZIONE ARENA DI VERONA
Personaggi e Interpreti
Fiordiligi Vittoria Yeo
Dorabella Chiara Tirotta
Guglielmo Alessandro Luongo
Ferrando Marco Ciaponi
Despina Enkeleda Kamani
Don Alfonso Alfonso Antoniozzi
Verona, Teatro Filarmonico, 2 novembre 2021

www.Sipario.it, 5 novembre 2021

Meglio dare sempre uno sguardo alla sequenza numerica del Catalogo Kochel delle opere di Mozart per capire in quale arco di tempo si colloca una sua creazione. In tal modo veniamo a scoprire che la composizione dell'opera Così fan tutte, indicazione K 588 (1789) si incastra in un periodo in cui Wolfgang Mozart si dedicava alla composizione di quartetti, contraddanze e rondò per pianoforte. Mancano ancora all'appello Il Flauto magico K620 e La Clemenza di Tito K621, opere una consequenziale all'altra, in quello che sarà il 1791, ultimo anno di vita del compositore, a completare la vicenda di un Mozart autore di melodrammi. Scarse sono le notizie sulla genesi di quest'opera, dramma giocoso, la terza e ultima composta su libretto di Lorenzo Da ponte. Soggetto originale, ma su cui si incrociano varie interpretazioni del tema dell'infedeltà femminile e l'ingannevole scambio di coppia, che vanno da Ovidio, Boccaccio, fino a Goldoni passando per un progetto che lo stesso Da Ponte aveva redatto per Antonio Salieri. La partitura fu composta tra l'ottobre del 1789 e il gennaio del 1790 e andò in scena al Burgteather di Vienna il 26 gennaio del 1790. Circolò con pesanti rimaneggiamenti fino alla fine dell'Ottocento. Non piacque a Beethoven e neppure a Wagner forse proprio per la sua enigmatica ambiguità, la sottigliezza della trama e la leggerezza della struttura musicale. E' l'ironia che sottende questo progetto Mozart-Da Ponte, fondato sull'arguzia di un gioco tra le parte, di inganni pseudoscientifici atti a dimostrare l'infedeltà delle donne, in un sottile gioco di convenzioni e luoghi comuni. Ma è anche un’analisi dei comportamenti umani senza alcuna presa di posizione morale, se poi, a conclusione di una vicenda di inganni e travestimenti, il tutto si conclude con un finale in cui le coppie si ricompattano nelle loro affinità sentimentali originarie. Commedia umana, astratta dal tempo e dallo spazio, e questo dà aggio a scelte di messinscena che possono optare per un '700 di maniera come per una attualizzazione dell’ambientazione. Per l'attualizzazione si è espresso il giovane regista Yamal das Imrich, collaboratore dell'Ufficio Regia dell'Arena di Verona, e come tale aiuto dei tanti registi che sono passati in Arena, da Zeffirelli, Vick, de Ana, Fura dels Baus, Bernard. Ci offre una lettura, ammiccando alla commedia cinematografica classica americana, creando un apparente realismo patinato da anni Cinquanta, cercando di analizzare le dinamiche contradditorie che guidano gli affetti nel quotidiano. All'inizio tutto è in bianco e nero, siamo in una specie di America da pubblicità dove tutto sembra perfetto. I giovani vivono una vita borghese. Il regista rende i due protagonisti maschili piuttosto imbranati e impacciati quasi delle macchiette da farsa e comiche, capaci solo di avventarsi sulle loro donne, che vivono, in una loro stanza fatta di balocchi e peluche e di pranzi rituali comuni. Qui il regista ha saputo creare un fermo immagine, omaggio indiretto ad un maestro della regia come Arnaud Bernard. Funzionali le scene Angelo Finamore, che nel primo atto gestiscono i cambi scena su una piattaforma girevole in cui si alternano le ambientazione molto essenziali nella ricostruzione del clima dell'opera ma funzionali, come i costumi di Silvia Bonetti, stile anni '50, e le luci, senza grandi effetti di luci Paolo Mazzon. Il primo atto scorre sull'impostazione dell'inganno condotto da Don Alfonso, gestito dal suo catafalco-biblioteca e cattedra di sapiente, alleandosi con una Despina molto ben delineata nella sua ricerca di riscatto sociale mettendo a disposizione la propria astuzia, conquistata con l'esperienza dei suoi 15 anni, che vive nel suo mondo di aspirazioni patinate. Ferrando e Guglielmo si giocano la loro credibilità conducendo i loro giochi, in incognito, con Despina e Fiordiligi che cercano di uscire da un loro mondo infantile di affetti banali e insulsi. La compagnia di canto giovane e fresca riesce a rendere credibile il gioco in scena, sotto il controllo sornione del Don Alfonso del basso Alfonso Antoniozzi, ottimo attore più che cantante, che ha reso l'ambigua figura del filosofo con acume e beffardo cinismo. Guglielmo e Ferrando era resi rispettivamente dal baritono Antonio Luongo, e dal tenore Marco Ciaponi. Sono stati capaci di dare la giusta visione vocale mozartiana costruita senza grandi enfasi vocali ma che pretende precisione, acutezza interpretativa e voce predisposta per i rispettivi ruoli che i due artisti possiedono: Luongo che sottolinea il grottesco nella sua aria chiave "Donne mie, la fate a tanti", Ciaponi attento nella gestione di Un'aura amorosa. Come ben articolato il terzetto femminile, con la Despina del soprano Enkeleda Kamani che dimostra, passando anche da ruoli ben più impegnativi, voce fresca ben impostata e solidamente costruita. Accanto il mezzosoprano Chiara Tirotta che gestisce la sua Dorabella con spontaneità essendo quella che cede per prima al nuovo corteggiatore, il tutto sintetizzato tra le sue due arie, la seriosa Smanie implacabili, e quella risolutiva È amore un ladroncello. Come attenta e prudente il soprano Vittoria Yeo che riesce a risolvere la parte di Fiordiligi senza grandi slanci interpretativi ma in maniera corretta specie nell'approcciarsi al recitativo e all'aria Come scoglio immoto resta. La direzione era affidata a Francesco Ommassini che conduce l'orchestra della Fondazione Arena collocata a livello della platea, per ragioni di spazio e per far respirare meglio l'organico strumentale. Il tutto è stato gestito senza grandi pretese interpretative, restituendo una lettura equilibrata, leggera, coerente anche con l'interpretazione scenica. Il coro, nelle parti richieste, sempre ben preparato e attento da Vito Lombardi. Buon esito del tutto e soddisfazione del pubblico, un pò scarso in questa recita feriale con orario preserale.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Venerdì, 05 Novembre 2021 17:59

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