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CAVALLERIA RUSTICANA (LA) - I PAGLIACCI - regia Damiano Michieletto

"La cavalleria rusticana", regia Damiano Michieletto "La cavalleria rusticana", regia Damiano Michieletto

LA CAVALLERIA RUSTICANA (Mascagni)
Santuzza : Eva Maria Westbroek
Lola: Jose Maria Lo Monaco
Turiddu: Teodor Ilincai
Alfio: Dimitri Platanias
I PAGLIACCI (Leoncavallo)
Nedda: Simona Mihai
Canio: Carlo Ventre
Tonio: Scott Hendrickx
Peppe: Tansel Akzeybek
Silvio: Gabriele Nani
Direzione musicale : Evelino Pido'
Regia: Damiano Michieletto
Bruxelles, Teatro La Monnaie dal 6 al 20 marzo 2018

www.Sipario.it, 13 marzo 2018

Il mio vicino di poltrona, un fiammingo innamorato dell'Italia, mi dice nell'intervallo con gli occhi lucidi che bello... questa è Italia....". Molto folklore, gli rispondo. Lui ci resta un po' male, poi ammette. Certo, per chi mette in scena la Cavalleria, è difficile sfuggire al folklore. Se non controllata, l' "ambientazione", raccomandata dai maestri del verismo, sfugge di mano. Ecco allora la Madonna piangente, la folla adorante (eccellente comunque il Coro), il pathos della mamma, la Lola in versione 'malafemmina', i costumi da boss italo-americano di Alfio e quelli sgargianti di colori degli altri. È Santuzza il personaggio più convincente: perfida e dimessa. Le passioni travolgono tutti, anche lei, ma lei le usa per difendere la sua dignità di donna. Per il resto è stata una Cavalleria abbastanza tradizionale. Salvo che Alfio – nulla di nuovo- arriva sulla scena con una Alfa Romeo anni 50 e ha un fare da mafioso. Niente di male. Buona la soluzione del palcoscenico girevole, che facilita i cambi di scena e contribuisce alla magia. Certo se qualche eccesso di folklore c'è stato, ha funzionato, a giudicare degli applausi prolungati e frenetici del pubblico. Applausi per tutti, ma soprattutto per Pido', che ha diretto magistralmente l'orchestra, anche se con qualche sovrapposizione sulle voci, forse per foga orchestrale, o forse, in qualche passaggio, per insufficienza delle voci stesse, che comunque nelle arie e nei duetti erano tutte all'altezza e ben curate. Possente Canio, più morbido Turiddu, buoni entrambi, ma entrambi lontani dall'equilibrio di un Placido Domingo, forse il più grande interprete moderno di Canio. Anche qui le due opere (Cavalleria e Pagliacci) sono state date insieme. Più elaborata e colta la seconda, che mette in scena, nella seconda parte, il teatro nel teatro: il pagliaccio, si ricorderà, uccide veramente la sua donna mentre recita per il pubblico la scena dell'uccisione. I Pagliacci sono, piu'ancora della Cavalleria, il manifesto del verismo. Basta con le "vecchie usanze", canta Tonio nel Prologo, delle "lacrime false", basta con la tradizione della commedia dell'arte, il teatro e l'arte hanno un senso soltanto se dipingono "uno squarcio di vita". La 'verita'' della vita, insomma, che Leoncavallo come Verga vogliono liberare da ogni invenzione e sovrapposizione. Senonchè è evidente l'equivoco: una volta rappresentato, il Vero diventa altro, persino più lontano dalla Verità della fantasia. Come il folklore, appunto.

Attilio Moro

Ultima modifica il Giovedì, 15 Marzo 2018 11:34

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