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BALLO IN MASCHERA (UN) - regia Gianfranco de Bosio

Piotr Beczala e George Petean in "Un ballo in maschera", regia Gianfranco de Bosio. Foto Wiener Staatsoper, Michael Pöhn Piotr Beczala e George Petean in "Un ballo in maschera", regia Gianfranco de Bosio. Foto Wiener Staatsoper, Michael Pöhn

di Giuseppe Verdi

Direttore d'Orchestra Jesús López Cobos

Regia Gianfranco de Bosio
Scene Emanuele Luzzati
Costumi Santuzza Calì
con Gustaf III., König von Schweden Piotr Beczala
Graf René Ankarström George Petean
Amelia, seine Gattin Kristin Lewis
al Wiener Staatsoper 23 e 26 aprile 2017

www.Sipario.it, 27 aprile 2017

Non so perché, quando scrivo d'Opera da Vienna, mi capita di parlare di dolci. Sarà perché il santuario della Sacher non è lontano dal teatro, ma certo è che, accingendomi a scrivere di "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi, andato in scena al Wiener Staatsoper il 20 aprile 2017, mi viene da pensare ad una ciambella. Di quelle buone, sempre fresche di forno teutonico, ma giusto riuscita un po' anomala, senza il canonico buco al centro. E me ne rammarico, perché questa volta è una ciambella al cioccolato, scura come la pelle della protagonista in questa edizione viennese dell'opera verdiana.
La bella Kristin Lewis, da Little Rock in Arkansas, Amelia, infatti è un soprano di colore; il che non guasta mai; ma è colei che ha fatto risultare la ciambella "irregolare", con una voce che non ha reso giustizia al personaggio verdiano. La sua Amelia, infatti, era forzata e di proiezione modesta nelle note acute, nonostante i bei gravi e il bel centro: modulare una voce come la sua significa doverla governare con perizia: voce profonda, brunita, adatta alla parte, infatti, ma indietro negli acuti, dove si giungeva allo stridore ingolato. La cantante, poi, purtroppo, non ha idea di cosa sia la pronuncia italiana. La sua dizione era assolutamente inintellegibile. E qui mi rifaccio ad una mia recente recensione dal Met, in cui l'Idomeneo mozartiano è stato cantanto con pronuncia approssimativa e del tutto anglosassone, che ne ha sminuito la portata complessiva. Bene: stesso difetto marca USA, con l'aggravante che tutta l'emissione ne risentiva, il legato era fatto solo di suoni, le parole del libretto erano rimaste sulla carta.
Un vero peccato, perchè il resto del cast viennese era di tutto rispetto, con in testa Piotr Beczala nella parte di Gustavo. E a proposito del Beczala, di assai gradevole aspetto e presenza scenica indubbia, solita considerazione: bella voce, bella pasta, ma mancante di smalto; bella dizione, anche, ma fraseggio italiano un po' meno curato. Però qui, ovviamente, a questi livelli, si cerca il pelo nell'uovo.
Nulla di negativo da dire riguardo a George Petean, Renato, che era in parte forse più che in altre opere di Verdi, Don Carlo per primo (ricordo che il suo Rodrigo, sempre a Vienna, un paio d'anni fa, non destò il mio entusiamo, nonostante fosse vocalmente impeccabile) e che ha reso benissimo anche scenicamente la parte, che evoca sempre la voce e l'immagine di un Cappuccilli irripetibile. Vocalmente autorevole, il Petean si conferma al momento, a parere di chi scrive, il baritono più "adeguato" al repertorio verdiano, per vocalità e per stile, sulle scene internazionali e non ha fatto rimpiangere troppo il mito suddetto, risultando credibile e anche sempre più disinvolto in scena.
La magnifica Ulrica di Bongiwe Nakani arricchiva la ciambella al cioccolato: di colore anch'ella, il giovane mezzosoprano sud africano naturalizzato viennese, ha una gran bella voce, che va ancora meglio messa a punto nei passaggi e che va valorizzata: bellissimo colore, squillo compreso, gravi profondissimi e pieni.
Completava il cast dei protagonisti il minuscolo, saltellante Oscar della graziosa Maria Nazarova, che più bianca, bionda e squillante non si può. Lo si ribadisce in questa sede, però: nonostante sia fisicamente perfetta anche per questa parte en travesti, appare più portata vocalmente per un repertorio francese o comunque variegato, che per quello italiano, che necessariamente ne imbriglia la voce in canoni troppo definiti. Sperimentato di recente sempre a Vienna, dove, come Lisa ne la Sonnambula e adesso come Oscar, ha reso meno, per esempio, che come Sophie nel Werther.
Comprimari di statura imponente e di vocalità accettabile, Coro impeccabile, diretto da Thomas Lang, ma soprattutto direzione d'orchestra da manuale del concertatore e direttore spagnolo Jesúz López Cobos. L'eperiente Maestro ha diretto con una leggerezza e nello stesso tempo con un'autorevolezza esemplari. Magari avremmo voluto un paio di affondi più marcati, qualche forte verdiano più nervoso e "tranchant" dalla magnifica orchestra dei Wiener, ma anche qui si cerca, senza trovarlo realmente, il pelo in quell'uovo da considerare anch'esso, a questo punto, ingrediente della famosa ciambella...
Quindi, bisogna dire che nel complesso, dato anche che il tutto era ambientato nell'ormai storica, bellissima produzione diretta da Gianfranco De Bosio, il lato estetico riportava lo squisito dolce viennese alla forma canonica, con le scene splendide e tutti i panneggi dipinti, sipario compreso, e i colori a profusione, ispirati ai dipinti del Tiepolo, di Emanuele Luzzati e i costumi irripetibili di Santuzza Calì. Vi si muovevano dentro, diretti magistralmente dal De Bosio, non solo i protagonisti, ma anche le masse e i danzatori, che indossavano le inconfondibili, geniali maschere del Luzzati.

Dunque, questa ciambella viennese si è, alla fine, dimostrata ugualmente tutta da gustare.

Natalia Di Bartolo © DiBartolocritic

Ultima modifica il Domenica, 30 Aprile 2017 12:08

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