opera in un atto di Giuliano Corti
musiche: Ivan Fedele, direttore: Michel Tabachnik
regia: Mario Martone
con Monica Bacelli, Chiara Taigi, Roberto Abbondanza, Bruno Lazzaretti, Mirko Guadagnino, Martin Oro
scene e costumi: Sergio Tramonti
luci: Pasquale Mari
Firenze, Teatro Comunale, 24 aprile, 4 e 6 maggio 2007 (Prima assoluta)
Debutto operistico di Ivan Fedele al Maggio Musicale Fiorentino con la tragedia di Sofocle. Regia di Mario Martone
La novità assoluta Antigone è una dignitosa, spettacolare predica, che il librettista Giuliano Corti con versi spicci e il musicista Ivan Fedele con solisti, cori, orchestra variegata, ci rivolgono. Deduciamo che è devastante il conflitto tra le leggi, ma che quelle della natura o degli dei dovrebbero avere il sopravvento su quelle degli uomini.
Così faceva capire Sofocle, nell’intensa, pregnante sua tragedia; e per ripigliarla in mano sarebbe opportuno avere qualche idea nuova, megli se incandescente. Non mi è parso.
La partitura gioca con le sillabe e fa declamare con le note le frasi come nel teatro nobile di ieri; dosa il lessico dei personaggi creando più un collage che un linguaggio;lo spettacolo forte di Mario Martone nell’emozionante contenitore di Sergio Tramonti offre alla carismatica Monica Bacelli, all’autorevole Chiara Taigi, a Roberto Abbondanza e agli altri, sotto la direzione di Miche Tabachnik, una certa importanza. Il pubblico applaude con faccia solenne.
Lorenzo Arruga
da Firenze
Che sapete su Antigone? Seppellì il fratello, contro la legge, e sostenne che la pietà umana e la legge degli Dei eran più forti. Sofocle insegna. Se andate a Firenze a seguire Antigone di Ivan Fedele su libretto di Giuliano Corti, prima rappresentazione assoluta, inaugurazione del Maggio Musicale 2007, direttore Michel Tabachnik, regìa Mario Martone, maestro del coro Piero Monti, direttore dell'allestimento Massimo Teoldi, con Monica Bacelli come Antigone, Chiara Taigi come Ismene, Roberto Abbondanza come Creonte, Bruno Lazzaretti come una guardia, Mirko Guadagnini come Emone e Martin Oro come Tirseia, orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino, malgrado lo sforzo commovente di tutta questa gente, dopo 75 minuti di parole, canto a pelo di declamazione, grida e tortuosi intervalli ogni tanto azzardati, solennità ieratica e botti di percussioni, non ne saprete di più.
È la prima opera di uno che scrive musica da maestro inconfutabile, ma di gavetta teatrale non ne ha fatta. Scopre il teatro e ne è contento. Solo che l'hanno già scoperto altri, sia quello che funzionava per forza drammaturgica diretta, fosse Orfeo o Rigoletto, sia quello che dilania voci e orecchi ed ha bisogno per esprimersi di masse corali, dove la musica mima la parola ma non la trasfigura e a cui la nuova opera somiglia, e noi la rispettiamo ma continuiamo ad aspettare non si dice la forza dei capolavori ma una cosa di cui non debbano convincerci con sillogismi che è bella e importante, ma ci convinca, ci prenda per conto suo. Il libretto esprime nobili concetti ma è piatto, un bignamino di Sofocle. La musica da leggere in partitura probabilmente è magistrale, ma non basta essere bravi per intervenire sul mito antico in teatro. C'è una gradinata di sapore da teatro greco, coperta però da un enorme gerla o piramide fatta di rami che ci fan venire in mente prigionie, boschi o navi, e grandi sprazzi di luce accendono all'interno i luoghi scenici: spettacolo con una sua bellezza originale ed una sua autorità. I cantanti sono immersi nel loro personaggio, doverosamente, e si vede che hanno studiato bene. In rilievo Monica Bacelli, che si prende qualche libertà con infiorettature in stile neogotico o protoberiano, e che ha un bel carisma; ma anche Chiara Taigi, prestigiosa. C'è un mimo immobile che viene festeggiato quando prende gli applausi perché lo credevamo una statua, e un pubblico che applaude con nessuna intenzione di rovinare la cerimonia. Il Teatro di Firenze ha tenuto ferme e pagate le masse per molte settimane, per non spendere, nel gorgo dei debiti, i soldi delle produzioni nuove. Penso agli allestimenti che sono già in casa, ai cantanti senza lavoro che accetterebbero volentieri compensi limitati, alla fame di opera di repertorio che garantirebbe di riempire i posti perdendo meno che non facendo nulla. E agli autori giovani che per poco denaro e in allestimenti poveri ci si butterebbero se venisse data loro occasione di esprimersi col loro linguaggio, non quello degli abbonati, e da cui chissà potrebbe venire il vero autore geniale. Senza la cerimonia, direttamente con la vita.
Lorenzo Arruga
Il 70° Maggio Musicale Fiorentino si è aperto con la novità di Ivan Fedele Antigone. Per questo suo debutto nel teatro d’opera Fedele ha voluto grande orchestra, elaborazione elettronica live, amplificazione per tutti. E un grande tema, quello di Antigone e del suo scontro con Creonte, in sostanza il conflitto tra il culto degli dei e quello degli uomini, tra religione e politica, tra polis e necropolis. Tema che il libretto di Giuliano Conti sviluppa molto bene, comprimendo Sofocle ma sempre con attenzione a coglierne l’essenziale. La musica è molto bella e nel rispetto della struttura della tragedia sfoggia statismi corali bellissimi. La vocalità è avvincente, l’allestimento di Mario Martone altrettanto nobile. Sergio Tramonti raduna la storia intorno a una parete che dall’alto fende in diagonale il palcoscenico e arriva fino a noi, coprendo anche l’orchestra. È una parete che mostra una città in rovina, senza traccia degli antichi splendori della Tebe di Edipo. Splendida anche l’esecuzione musicale, guidata da Michel Tabachnik con precisione e intensa partecipazione. Orchestra e Coro in gran forma. Ai molti meriti di Tabachnik va aggiunto anche quello di dover dirigere i cantanti e il coro femminile, seduto in platea, avendoli alle spalle. Cantanti di grande sicurezza scenica e localmente splendidi. Monica Bacelli, Chiara Taigi e Roberto Abbondanza sono i protagonisti; Bruno Lazzaretti e Mirko Guadagnino nei ruoli secondari, Martin Oro è Tiresia.
Michelangelo Zurletti
Teatro L'opera composta da Ivan Fedele, con la regia di Mario Martone, ha inaugurato la settantesima edizione del Maggio musicale fiorentino, dedicato quest'anno al tema «Mito e contemporaneità». Sul podio Michel Tabachnik sprofondato in una dolorante Tebe
Firenze
Tredici minuti di applausi hanno salutato l'apertura del settantesimo Maggio musicale fiorentino, ma soprattutto hanno sancito la funzione e la necessità dell'ente e della storica manifestazione.Quegli applausi erano diretti infatti a un'opera tutta nuova, commissionata a un autore giovane e importante al suo debutto operistico, Ivan Fedele, e a uno spettacolo coraggioso e complesso destinato a restarememorabile grazie alla regia diMario Martone.
Antigone (repliche il 4 e 6 maggio al Comunale) apre un Maggio musicale interamente dedicato al rapporto tra Mito e contemporaneità come suona il sottotitolo dell'edizione di quest'anno, che dopo le traversie e il «tono minore» dello 2006 dovuto ai deficit e alla bagarre delle nomine, si presenta con un programma impegnativo e di grande richiamo. Segnando anche il debutto vero della sovrintendenza di FrancescoGiambrone, che guida l'ente fiorentino memore dei fasti del passato,ma con l'occhio agguerrito sulle esigenze e potenzialità del futuro.
Per questa Antigone inaugurale, il pubblico entra in sala a scena aperta, come fosse ammesso a una necropoli di un passato che non passa: un grande piano inclinato ferroso, scavalcando l'orchestra, incombe dal palcoscenico sulla platea, anzi vi si incaglia rovinosamente, tanto da segnare come una ferita ossidrica le poltrone rosse delle prime file. Lì prenderanno posto le donne del coro, vistosamente simili negli abiti alle donne cecene kamikaze nel teatro moscovita. Le mura di Tebe, che quel piano di ferro incombente raffigura con le loro porte e fessure, chiudono e comunicano uno stato di guerra che coinvolge evidentemente il dentro e il fuori della città.
il dentro e il fuori della città. Per Martone rappresenta lo sviluppo e lamessa a fuoco della sua indagine sulla città di Tebe e i suoi conflitti intestini e esterni. Quasi vent'anni fa cominciava a lavorarci con l'Oedipus rex di Strawinski, per proseguire con Edipo re e Edipo a Colono, mentre i Sette contro Tebe hanno costituito il nucleo e il set di un film bellissimo e coinvolgente, Teatro di guerra. Tutto questo (assieme alle luci cinematografiche di Pasquale Mari e al lavoro sulla scenografia e sui costumi di Sergio Tramoni, entrambi qui straordinari) permette al regista, che mescola e integra in maniera feconda i linguaggi del teatro, della lirica e del cinema, di offrire una complessità e una ricchezza di emozioni ineludibile per il pubblico.
Ivan Fedele del resto componendo, su commissione del Maggio, un'opera contemporanea, non rinuncia affatto all'impianto di una vera opera, con duetti e arie che permettono ai cantanti una penetrazione drammaturgica nei ruoli a tutto tondo.
Monica Bacelli (Antigone) dà una grande prova a quel personaggio simbolo che lotta per la libertà contro le rigide leggi dello stato, ma dispiega anche tutte le contraddizioni di una interiore umanità. E Roberto Abbondanza, nei panni del «cattivo» Creonte, scopre dubbi e debolezze in quello che potrebbe essere solo un inflessibile cerbero delle leggi. Come l'invenzione di un Tiresia controtenore (Martin Oro) ne esprime non solo l'ambiguità tra maschile e femminile, come sta scritto nel dna del cieco veggente, ma gli conferisce un potenza teatrale inusitata.
Nonostante il libretto di Giuliano Corti, molto preciso e accurato, non rinunci a tratti a un tono altisonante, la partitura di Fedele ha una sua poetica duttilità, rigorosa nella scansione (grazie alle originimatematiche del compositore) ma vibrante nella coloritura dei caratteri che rendono la scrittura assolutamente teatrale. Pronta a farsi grande opera contemporanea sulla bacchetta di Michel Tabachnik, che sprofondato e attorniato dalla città di Tebe sulla sua testa e alle sue spalle, aderisce entusiasta all'empito di una partitura nuova, come lo erano del resto i molti altri titoli contemporanei che ha tenuto a battesimo da tanti anni.
Per tutto il tempo della rappresentazione, il cadavere di Polinice giace in proscenio, carnale motivo della disputa tra Antigone che vorrebbe seppellirlo secondo le leggi di religione e tradizione, e Creonte che ne ha proibito la sepoltura per legge e pretende obbedienza. Ma anche dopo che Antigone è uscita di scena la tragedia continua, anzi precipita, nella sua ineluttabile e divina ferocia. Una tragedia che veste panni «balcanici», o da profugo, o da homeless, a seconda di quale sensibilità prevalga nello spettatore, ma che in ogni caso si fa all'orecchio e all'occhio e al cuore, poesia dell'emarginazione e della convivenza. La sua rappresentazione, e rappresentabilità, concede e diviene l'unico elemento di speranza. Tanto più alla fine dello spettacolo, quando risulta chiaro che quel rugginoso piano inclinato delle mura di Tebe è lo specchio simmetrico della rossa platea del teatro. E che quella tragedia civile ci riguarda e comprende ancora, tutti quanti.
Gianfranco Capitta