Andrea Minuz VIAGGIO AL TERMINE DELL'ITALIA. FELLINI POLITICO Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), Euro 16.00, pp. 242 (CINEMA - Alberto Pesce)
Tra nostalgìe, ricordi, aneddoti, simboli, macchiette Federico Fellini amava fare dei propri film storia di sé specchio di storia degli altri, con bisogno morale di accoppiare alla visione degli uomini il giudizio sugli uomini e segreta ambizione di essere interprete indiretto, per via d'arte, di umori, crisi, inquietudini delle generazioni a lui contemporanee. In questa prospettiva Andrea Minuz, con ricchezza di citazioni da interviste, libri, giornali, riviste, inediti d'archivio, approfondisce una lettura "politica" del cinema felliniano. Magari è un politico che per la prima volta compare esplicito con Amarcord, dove da approcci autobiografici con un "patriottismo alla rovescia" viene schizzata una "mitografia della nazione". Ma sono segni forti di "ideologia italiana" anche I vitelloni per quella "rilassatezza" nello stile di vita che diventa "inferiorità" rispetto a come si vive altrove, anche La strada per il modo con cui del nostro Paese si evoca "un'atmosfera sospesa tra realismo magico e documentario etnografico", anche La dolce vita, di riflesso a cronache rotocalchesche caleidoscopica vetrina di nostri archetipi culturali, "la Chiesa cattolica, il mito di Roma e quello del 'borgo natìo', Mussolini, Casanova, Pinocchio". Per quanto riguarda la Capitale, vissuta come spettacolo, è coloratissimo affresco Roma, nella sua "dimensione fantasmatica" di una mitologia analoga alla romanità mussoliniana che si riflette anche in quel "vitellone fascista" che è Casanova. In ogni caso, restano anche politicamente di inquietante attualità sia Prova d'orchestra "graffiante catalogo della volgarità televisiva" e nella sua "radicale idiosincrasia verso la società italiana" quegli ultimi film che da Ginger e Fred così sottilmente antiberlusconiano approdano malinconicamente testamentari a La voce della luna.
Alberto Pesce
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