Mariapaola Pierini GARY COOPER, IL CINEMA DEI DIVI, L'AMERICA DEGLI EROI Le Mani, Genova, Euro 22.00, pp. 411
Gary Cooper, così alto e spilungone, occhi chiari e sguardo mite, bel viso e sorriso di pacata ironia, fu, non senza suo stupore, magnifico attore, "l'eroe solitario del West, il legionario amato da Marlene Dietrich, l'ingenuo di Frank Capra, il sergente York, il campione Lou Gehrig, il Robert Jordan di Hemingway, lo sceriffo di Mezzogiorno di fuoco, per stringersi ad una sintesi suggerita in premessa da Mariapaola Pierini. La quale non manca subito di avvertire quanto e come, con una recitazione "invisibile ad occhio nudo, scritta direttamente sulla pellicola", Cooper sapesse, non importa se con disomogeneità di raccordi ma sempre ad "apparenza naturale in un contesto artificiale", adeguarsi al sistema produttivo di Hollywood.
Su questa prospettiva, tesaurizzando vaste ricerche d'archivio, la Pierini ricostruisce a tutto tondo la personalità di Cooper, sotto regie di carismatici registi, tra gli altri Wellman, von Sternberg, Lubitsch, Hathaway, Wyler, Capra, Hawks, Curtiz, Wilder, Preminger. Dapprima, fine anni 20, ne coglie la misura di star senza essere attore, con docilità e naturalezza in oscillazione bipolare tra il cowboy del West e per la Paramount anche "romantic lead" oggetto irresistibile di desiderio.
Poi, in sintonia con l'età dell'oro della commedia americana, si paradigma in particolare su film canonici a firma Lubitsch (Partita a quattro, L'ottava moglie di Barbablù), e Capra (E' arrivata la felicità, Arriva John Doe), ma ne illustra anche la varietà delle interpretazioni di star e attore insieme, in diastole-sistole con le diverse pratiche imposte dai generi, commedia, avventura, guerra, western, melò. E, più in là, sino a Il dubbio (1961), racconta di ruoli "più dell'attore che della star" dove Cooper sapeva mettere in gioco "l'estrema rarefazione del suo vocabolario espressivo, la solidità quasi granitica della sua presenza".
Alberto Pesce
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